Storia moderna

Cap. 1. Popolazione, economia, società

Tale pagamento poteva avvenire in natura, lavorando gratuitamente i campi di pertinenza diretta del proprietario terriero, oppure cedendogli una parte del raccolto ottenuto sui propri appezzamenti
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Alla lunga, essi si trovavano costretti a rinunciare al proprio status di lavoratori indipendenti e a trasformarsi in lavoranti alle dipendenze di imprenditori più ricchi e fortunati.
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E fu proprio all’interno di queste comunità mercantili che si misero a punto nuovi strumenti societari e finanziari, come la società in accomandita e la lettera di cambio, che consentiva di effettuare un pagamento in una città e farlo riscuotere in un’altra.
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Non potendo procurarselo abbastanza in fretta attraverso l’imposizione fiscale, essi erano costretti a farselo anticipare da queste compagnie di grandi mercanti-banchieri, che compensavano cedendo loro il diritto esclusivo a sfruttare miniere (per esempio quelle d’argento o di rame dell’Europa orientale), a incamerare le tasse su un particolare prodotto (per esempio il sale), oppure a esigere le imposte dirette di una determinata regione.
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Il maggiore sfruttamento cui furono sottoposte le terre, per soddisfare la crescente domanda di cereali e altri prodotti, ne danneggiò la fertilità, provocando un peggioramento dei raccolti.
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Sommario

Il 16. secolo fu caratterizzato da un notevole aumento della popolazione che, anche a causa dell’immigrazione, interessò in modo particolare le città.
Le cause di questo fenomeno non sono chiare: forse un rallentamento delle epidemie, forse un abbassamento dell’età al matrimonio.
La crescita della popolazione provocò un aumento dei prezzi dei generi di prima necessità così forte da far parlare di una “rivoluzione dei prezzi”.
L’aumento della domanda di grano e altri prodotti favorì le aziende agricole, ma la struttura agraria più diffusa continuò ad essere la signoria, che prevedeva diversi oneri a carico dei contadini, e la produttività della terra restò assai bassa.
Un’altra conseguenza dell’aumento dei prezzi agricoli fu la diminuzione del potere d’acquisto dei lavoratori urbani, alla produzione di manufatti, all’interno del sistema delle corporazioni di mestiere.
L’aumento dei prezzi riguardò anche questo tipo di beni urbani, ma la domanda di essi risentiva immediatamente di ogni piccolo innalzamento dei prezzi dei prodotti agricoli, facendo precipitare nell'indigenza anche molti artigiani indipendenti.
L’aumento della popolazione comportò anche una crescita delle attività commerciali e, con esse, di quelle finanziarie e creditizie, anche su scala internazionale.
Si costituirono compagnie commerciali, spesso dotate di privilegi, e in grado di ottenere alti profitti dalle loro attività.
Anche il prestito ai sovrani, benché rischioso, fu spesso assai redditizio.
La crescita della popolazione, non adeguatamente sostenuta da un aumento della povertà che, a sua volta, attrasse l’attenzione di molti governi cittadini, preoccupati di mantenere l’ordine.
Furono creati così i primi istituti di assistenza ai poveri che svolgevano contemporaneamente un ruolo di assistenza e di repressione.
Alla fine del ‘500 una grave crisi di mortalità diede il via a un rovesciamento della tendenza alla crescita demografica.
Anche qui le cause non sono ben note, ma è probabile che sia intervenuto un innalzamento dell’età al matrimonio.

 

 

Bibliografia

Storia economica e sociale del mondo / a cura di P. Leon. – Laterza, 1981
Storia economica dell’Europa preindustriale / C. M. Cipolla. – Il Mulino, 1990
Economia preindustriale: mille anni: dal 9. al 18. secolo / Paolo Malanima. – B. Mondadori, 1997
Storia della popolazione mondiale / M. Reinhard, A. Armengaud, J. Dupaquier. – Laterza, 1971
Storia minima della popolazione del mondo / M. Livi Bacci. – Loescher, 1993
La feudalità nell’età moderna / R. Ago. – Laterza, 1998
Storia economica Cambridge. – Vol. 4.: L’espansione economica dell’Europa nel Cinque e Seicento / a cura di E. E. Rich e C. H. Wilson. – Vol. 5.: Economia e società in Europa nell’età moderna / a cura di E. E. Rich e C. H. Wilson. – Einaudi, 1978
Civiltà materiale, economia e capitalismo, secoli 15.-18. / F. Braudel. – Einaudi, 1981
La società e i poveri / J.-P. Guitton. – Mondadori, 1977
La pietà e la forca: storia della miseria e della carità in Europa / B. Geremek. – Laterza, 1986
Le donne nell’Europa moderna / M. E. Wiesner. - Einaudi, 2003

 

 

Cap. 2. Viaggi oceanici e scoperte geografiche

Piccolo paese con una popolazione di appena 1.200.000 abitanti, il Portogallo non poteva certo assorbire tutto lo zucchero, le spezie e l’oro provenienti dai territori d’oltremare, che venivano perciò riesportati verso gli altri paesi d’Europa, garantendo l’arricchimento della corona e dei mercanti implicati in queste operazioni.
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Ma il successo degli invasori è da attribuirsi anche al favore con cui furono accolti dalle popolazioni sottomesse degli Atzechi e dai Maya, che tre i due mail pensarono di scegliere il minore.
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E poiché i prezzi che aumentavano più velocemente erano quelli dei generi più richiesti, cioè dei prodotti agricoli e in particolare del grano, negli ultimi decenni del ‘500 era diventato economicamente più vantaggioso importare cereali dalle aree periferiche d’Europa, come la Polonia, pagandolo in manufatti
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Sommario

L’interruzione delle tradizionali vie di comunicazione con l’Oriente, dovuta alle conquiste dell’Impero ottomano, spinse gli europei, e in particolare i portoghesi, a cercare di aprirsi una via marittima verso le Indie.
Le spedizioni  esplorative culminarono nel 1497-1498 con la circumnavigazione dell’Africa dal parte di Vasco de Gama.
Queste imprese furono facilitate dai progressi tecnici nelle costruzioni navali e in particolare della caravella, nave portoghese veloce e maneggevole.
E fu proprio il Portogallo a lanciarsi alla conquista di empori commerciali e piazzeforti lungo le coste dell’Africa e dell’Oriente, fino all’India, costituendo un impero marittimo e ottenendo il monopolio quasi assoluto del commercio delle spezie.
Il successo delle imprese portoghesi spinse anche la Spagna, da poco unificata, a lanciarsi nei viaggi oceanici e ad accogliere la proposta di Cristoforo Colombo di raggiungere le Indie navigando verso Occidente.
Fu la scoperta dell’America (1492), anche se non fu Colombo, ma Vespucci, alcuni anni dopo, a rendersi conto che non si trattava delle Indie bensì di un nuovo continente.
Attirati dalle grandi ricchezze che sembravano provenire dalle nuove terre, i sovrani di Spagna, Portogallo, Francia e Inghilterra promossero altri viaggi che portarono a ulteriori scoperte.
Le prime spedizioni spagnole si erano limitate alle isole Antille e fu solo nel 1519, con Cortés, che ebbe inizio la conquista del continente.
All’arrivo dei conquistatori, alcune delle civiltà del nuovo continente presentavano una struttura sociale complessa, una vita politica evoluta, una florida economia e una raffinata cultura.
Gli Atzechi, insediatisi di recente nell’altopiano del Messico, avevano costituito un vasto impero sottomettendo le popolazioni della regione e costringendole a pagare pesanti tributi.
E fu proprio l’appoggio ricevuto da queste popolazioni a consentire agli spagnoli di portare a termine in breve tempo la conquista del territorio azteco.
Oltre ai domini aztechi, gli spagnoli conquistarono l’impero dei Maya, che vivevano nella penisola dello Yucatan attorno a centinaia di luoghi di culto, avevano un complesso sistema di scrittura e un avanzatissimo calendario.
Infine, in Perù, approfittando di una crisi dinastica, sottomisero l’impero degli Incas, il meglio organizzato di tutti, almeno sul piano politico.
La facilità con cui gli spagnoli portarono a termine le loro conquiste non si spiega solo con la superiorità delle loro armi e l’appoggio delle popolazioni sottomesse, ma anche con la “paralisi culturale” che colpì gli amerindi di fronte alle sventure di cui erano vittime e con la diffusione di malattie nei confronti delle quali non avevano difese immunitarie.
I massacri e il lavoro coatto nelle miniere d’oro e d’argento fecero il resto.
Ne derivò un gravissimo crollo demografico.
L’organizzazione politica e sociale introdotta dagli europei ricalcava il modello feudale della signoria spagnola, ma la corona intervenne a più riprese sia per difendere i propri diritti, sia per mitigare lo sfruttamento degli indigeni.
L’attività economica più importante era costituita dall’estrazione di oro e argento, per la quale venivano utilizzati gli indigeni ma anche i nuovi schiavi provenienti dall’Africa.
L’importazione di metalli preziosi dall’America ebbe importanti conseguenze sull’economia europea, aggravando il processo di inflazione già in atto.
Con la conquista del nuovo mondo gli europei scoprirono l’”altro”.
Di fronte alle popolazioni indigene l’atteggiamento fu spesso di totale chiusura e molti conquistatori si abbandonarono alle più efferate e gratuite forme di crudeltà.
Tuttavia alcuni missionari e persino alcuni avventurieri adottarono un atteggiamento più attento nei confronti degli amerindi, lasciandoci preziose testimonianze del loro modo di vivere

 

 

 

Bibliografia

La conquista e l’elaborazione dei nuovi mondi, 16. secolo / P. Chaunu. – Mursia, 1977
Dalla scoperta alla conquista: Spagna e Portogallo nel nuovo mondo, 1492-1700 / L. N. McAlister. – Il Mulino, 1986
Alle origini dell’espansione europea: la nascita dell’Impero portoghese, 1415-1580 / B. W. Diffie, G. D. Winius. – Il Mulino, 1987
L’espansione europea in Asia, secc. 15.-18. / G. Abbattista. – Carocci, 2002
Cristoforo Colombo / F. Fernandez Armesto. – Laterza, 1992
Gli Inca / A. Métraux. – Einaudi, 1969
La civiltà atzeca / G. C. Vaillant. – Einaudi, 1970
America indiana: storia, cultura e situazione degli indios / a cura di R. Romano. – Einaudi, 1976
Formazioni economiche e politiche del mondo andino / J. V. Murra. – Einaudi, 1980
Gli atzechi / H. J. Prem. – Il Mulino, 2000
I Maya / B. Riese. – Il Mulino, 2000
Gli Inca / C. Julien. – Il Mulino, 2000
Le scoperte americane nella coscienza italiana del Cinquecento / R. Romeo. – Laterza, 1989
Il vecchio ei l nuovo mondo / J. H. Elliott. – Il Saggiatore, 1985
Verso il nuovo mondo: la dimensione e la coscienza delle scoperte / F. Surdich

Cap. 3. La Riforma

Una successiva Dieta, tenutasi sempre a Spira nel 1529, introdusse un principio di tolleranza a favore delle minoranze, ma solo per quelle cattoliche all’interno dei territori luterani: questi perciò “protestarono”, vale a dire “affermarono”, la propria fede, guadagnandosi in tal modo l’appellativo di protestanti.
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Sommario

All’inizio del ‘500 da più parti si avvertiva l’esigenza di una profonda riforma della Chiesa, che mettesse fine all’assenteismo del clero e all’eccessivo coinvolgimento del papato negli affari mondani.
Le crescenti esigenze finanziarie della Curia romana spinsero invece il papa a lanciare una nuova campagna di “vendita” delle indulgenze.
Il monaco agostiniano tedesco Martin Lutero contestò questa operazione, negando la capacità della Chiesa di rimettere pene inflitte da Dio, e per questa sua affermazione venne scomunicato.
Prima di rendere effettiva la condanna di scomunica Carlo 5. accettò di convocare Lutero alla Dieta di Worms, dove fu invitato a ritrattare le sue tesi, cosa che rifiutò fermamente di fare.
Messo in salvo dall’elettore di Sassonia, suo diretto signore, si dedicò alla traduzione in tedesco della Bibbia e alla precisazione dei contenuti della sua dottrina, che si diffuse rapidamente in Germania, ottenendo il consenso di vasti strati della popolazione.
La diffusione della dottrina luterana fu enormemente facilitata dall’invenzione della stampa, che consentì di riprodurre i suoi scritti in migliaia di esemplari.
Lutero aveva voluto essere un riformatore religioso, tuttavia in molti casi le sue parole furono interpretate in senso politico, dando l’avvio a numerose rivolte,
La prima fu quella dei cavalieri, che fu rapidamente repressa.
Molto più grave fu la guerra dei contadini – scoppiata nel 1524 – che protestavano contro le usurpazioni compiute ai loro danni dai signori feudali e chiedevano il rispetto delle parole del Vangelo.
Contro le rivolte dei contadini Lutero ebbe parole durissime e incoraggiò i principi nella loro opera di repressione.
Il successo delle dottrine luterane e la loro diffusione in gran parte della Germania provocarono una spaccatura tra i principi tedeschi, che si unirono in due leghe contrapposte, protestante e cattolica.
Questo portò a una serie di scontri e di tentativi di riconciliazione tra protestanti e cattolici che si conclusero nel 1555 con la pacificazione di Augusta: Carlo 5. accetto la presenza del luteranesimo all’interno dell’impero e stabilì che ogni suddito avrebbe dovuto seguire la religione del suo signore territoriale.
Le istanze di riforma dottrinaria non ebbero come unico punto di riferimento Lutero e i suoi allievi.
In molte città svizzere e tedesche, teologi come Butzer e Zwingli portarono avanti loro personali percorsi di riforma, in genere con il pieno consenso delle autorità cittadine, che in questa maniera assumevano il controllo delle Chiese locali e mettevano fine al drenaggio di risorse a favore della Curia romana.
Anche a Ginevra si ebbe qualcosa di simile, ad opera di Giovanni Calvino, uno dei più rigorosi teologi dell’area riformata.
Sotto la sua guida gli ordinamenti politici vennero modificati in base al principio della stretta integrazione tra spirito religioso e comunità politica.
Tutta la vita degli abitanti della città era organizzata in ottemperanza ai dettami evangelici e strettamente controllata dalle autorità.
Forte fu l’intransigenza dottrinaria di Calvino, che non esitò a condannare al rogo l’antitrinitario Serveto.
L’adesione alla Riforma fu massiccia in molte aree d’Europa, in Francia, nei Paesi Bassi, in alcuni territori tedeschi, in Scozia, in Ungheria si diffuse il calvinismo, mentre il luteranesimo fece proseliti in parte della Germania e in Scandinavia.
In Inghilterra Enrico 8.  Diede vita – dopo il rifiuto del papa di annullare il suo matrimonio – alla Chiesa anglicana (1534), con un distacco dalla Chiesa di Roma che fu politico piuttosto che dottrinario.
Le ragioni di questo successo sono complesse e non si possono ridurre al rapporto con il nascente spirito del capitalismo, come aveva ipotizzato Max Weber.
In Italia la Riforma ebbe una limitata diffusione, sia perché l’ostilità contro la Curia romana era minore che altrove, sia perché non ottenne l’appoggio di alcun potere politico.
Grande influenza ebbe tuttavia Valdes, i cui seguaci furono variamente perseguitati.
Altri “eretici”, costretti ad emigrare, ebbero una grande influenza sulla cultura europea, diffondendo idee di tolleranza religiosa che erano estranee sia ai cattolici sia ai riformati.

Bibliografia

Umanesimo e religione nel Rinascimento / D. Cantimori. – Einaudi, 1975
Erasmo della cristianità / R. H. Bainton. – Sansoni, 1989
Erasmo / L. E. Halkin. – Laterza, 1989
Martin Lutero / L. Febvre. – Laterza, 1982
Lutero / R. H. Bainton. – Einaudi, 1960
Lutero giovane / G. Miegge. – Feltrinelli, 1964
Martin Lutero: un uomo tra Dio e il mondo / H. A. Oberman. – Laterza, 1987
Giovanni Calvino: il riformatore e la sua influenza sulla cultura occidentale / A. E. McGrath. – Claudiana, 1991
Storia della Riforma / J. Lortz, E. Iserloh. – Il Mulino, 1980
La riforma protestante / R. H. Bainton. – Einaudi, 1984
Il pensiero religioso della Riforma / B. M. G. Reardon. – Laterza, 1984
Protestantesimo nei secoli: fonti e documenti / E. Campi. – Claudiana, 1991
La riforma protestante / L. Schorn-Schutte. – Il Mulino, 1998
Storia dell’anabattismo / Ugo Castaldi. – Claudiana, 1972
La riforma popolare / J. Macek. – Sansoni, 1973
La riforma luterana e la guerra dei contadini: la rivoluzione del 1525 / P. Blickle. – Il Mulino, 1983
Rivolte contadine in Europa, secoli 16.-18. / S. Lombardini. – Loescher, 1983
Enrico 8. / M. D. Palmer. – Il Mulino, 2003
Gli eretici italiani del Cinquecento e altri scritti / D. Cantimori. – Einaudi, 1992
Breve storia della riforma in Italia / M. E. Welti. – Marietti, 1985
Erasmo in Italia, 1520-1580 / S. Seidel Menchi. – Bollati Boringhieri, 1987
Riforma protestante ed eresie nell’Italia del Cinquecento: un profilo storico / M. Firpo. – Laterza, 1993
La rivoluzione inavvertita: la stampa come fattore di mutamento / E. L. Einstein. – Il Mulino, 1986
Alfabetizzazione e sviluppo sociale in Occidente / a cura di H. J. Graff. – Il Mulino, 1986
L’etica protestante e lo spirito del capitalismo / M. Weber. – Sansoni, 1991
Le culture del popolo: sapere, rituali e resistenze nella Francia del Cinquecento / N. Zemon Davis. – Einaudi, 1980

Cap. 4. Guerre d’Italia e formazione degli stati nazionali

Sommario

Gli ultimi decenni del ‘400 in Italia furono contrassegnati da una crescente instabilità politica, che si tradusse in congiure e rovesciamenti di potere all’interno di vari stati.
Alle ragioni interne di turbolenza bisogna poi aggiungere le pressioni di francesi e aragonesi che, per motivi strategici e dinastici, miravano a conquistare o mantenere possedimenti in Italia.
La situazione precipitò quando, rispondendo anche all’appello di Ludovico il Moro, che si era appena insediato al potere nel Ducato di Milano, scacciandone il legittimo erede, Carlo 8., re di Francia, entrò in Italia alla testa del suo esercito.
La discesa di Carlo 8. (1494) in Italia incontrò così pochi ostacoli da spaventare gli stati italiani, che si allearono tra loro in funzione antifrancese: Carlo 8. fu sconfitto e rientrò rapidamente in Francia.
A Firenze, la signoria medicea, che gli aveva aperto le porte fu deposta e fu instaurata una repubblica popolare guidata da Girolamo Savonarola.
Le mire delle potenze straniere sull’Italia non cessarono e anzi il re di Francia e quello di Aragona si accordarono per spartirsi il Regno di Napoli.
La guerra che seguì al fallimento di questa intesa riattivò gli intrighi dei diversi stati italiani e in particolare del papa Alessandro 6. Borgia e di Venezia.
Nel 1516, con la pace di Noyon promossa da Leone 10., si giunse ad una fase di distensione, ma presto il conflitto tra le due principali potenze europee per il controllo dell’Italia riprese.
Nel 1516 i due principali protagonisti delle guerre d’Italia erano cambiati: sul trono di Francia sedeva ora Francesco 1. e su quello unificato di Spagna Carlo d’Asburgo.
Nel 1519 quest’ultimo fu anche eletto imperatore del “Sacro Romano Impero della nazione tedesca” col nome di Carlo 5., e si trovò così a regnare su territori vastissimi.
L’Italia continuò comunque a costituire il terreno di scontro tra le due potenze rivali.
Alla morte del duca di Milano, Carlo 5. occupò quella regione e ciò riaccese la lunga lotta con la Francia che ne uscì sconfitta.
Dopo un’ennesima pace, la guerra riprese con il nuovo re di Francia Enrico 2., che spostò l’asse del conflitto dall’Italia alla Germania (ove ebbe l’appoggio dei principi luterani), finché non si concluse con la pace di Cateau-Cambresis (1559) che regolò gli equilibri politici europei per circa mezzo secolo.
Non fu però Carlo 5. a firmare questa pace.
Nel 1556 egli infatti abdicò, dividendo l’impero tra il fratello Ferdinando 1. (che ebbe la corona imperiale, le terre degli Asburgo, Boemia e Ungheria) e il figlio Filippo 2. (Spagna, Milano, Napoli, Sicilia, Sardegna, Paesi Bassi, colonie americane); con questo atto riconosceva l’irrealizzabilità dell’impero universale.
Gli stati del primo ‘500 avevano caratteristiche assai diverse da quelli odierni.
L’impero germanico era formato da centinaia di territori relativamente autonomi rispetto al potere imperiale.
Il potere politico era esercitato congiuntamente dall’imperatore, elettivo, e dall’assemblea dei ceti, la Dieta.
Tra l’uno e l’altro esisteva un rapporto che era contemporaneamente di collaborazione e di competizione.
Anche nei regni iberici Carlo 5. aveva a che fare con delle assemblee rappresentative dei ceti - le Cortes – ma qui la struttura politico-istituzionale era meno frammentata.
Organi di rappresentanza – gli Stati generali – esistevano pure in Francia, ma il loro potere era minore che altrove.
Il bisogno di denaro, legato alle guerre, spinse le monarchie europee a cercare di rafforzare il controllo sui loro territori, in moda da accrescere la possibilità di ricavarne finanziamenti e ad ampliare l’apparato burocratico.
Anche l’accordo con la Chiesa di Roma fu utilizzato come strumento per l’accrescimento del potere monarchico.

Bibliografia

Il Rinascimento e la Riforma, 1378-1598 / F. Gaeta. – Utet, 1976
L’Italia come problema storiografico / G. Galasso. – Introduzione alla Storia d’Italia. – Utet, 1979
Storia d’Italia, vol. 2/2: Dalla caduta dell’Impero romano al secolo 18. / a cura di R. Romano e C. VIvanti. – Einaudi, 1974
Il Sacco di Roma, 1527 / A. Chastel. – Einaudi, 1983
Lo stato moderno / a cura di E. Rotelli e P. Schiera. – Il Mulino, 1973
Stato e società nell’Ancien regime / A. Torre. – Loescher, 1983
Le gerarchie sociali dal 1450 ai nostri giorni / R. Mousnier. – Vita e Pensiero, 1984
La formazione degli stati nazionali nell’Europa occidentale / a cura di Ch. Tilly. – Il Mulino, 1984
Le origini dello Stato moderno in Europa, 1450-1725 / J. H. Shennan. – Il Mulino, 1991
Storia del potere politico in Europa / W. Reinhard. – Il Mulino, 2001
L’Ancien regime / P. Goubert. – Jaca Book, 1976
La nascita dello Stato moderno nella Francia del Cinquecento / H. A. Lloyd. – Il Mulino, 1986
Francesco 1. e la civiltà del Rinascimento /  / J. Jacquard. – Mondadori, 1983
Lo spirito delle istituzioni: esperienze costituzionali nella Francia moderna / D. Richet. – De Donato, 1998
Lo Stato del re: la Francia dal 1460 al 1610 / E Le Roy Ladurie. - Il Mulino, 1999
Carlo 5. e il suo impero / F. Chabod. – La Spagna imperiale, 1469-1716 / J. Elliott. – Il Mulino, 1982
Carlo 5. e il suo tempo / M. Rady. – Il Mulino, 1987
Astrea: l’idea di impero nel Cinquecento / F. A. Yates. – Einaudi, 1990

Cap. 5. La Controriforma

Sommario

Già prima di Lutero si erano manifestati nella Chiesa movimenti riformatori e una diffusa richiesta di una severa opera di moralizzazione, ma la decisione del papa Paolo 3. di convocare un concilio fu strettamente legata alla necessità di reagire alla diffusione delle dottrine luterane.
Tuttavia, le speranze di fare del concilio di Trento (1545-1563) un’occasione di riconciliazione naufragarono ancor prima che esso si aprisse.
Sul piano dottrinario i decreti del concilio segnarono una netta chiusura nei confronti di tutte le innovazioni introdotte da Lutero a proposito della salvezza, dei sacramenti e dell’organizzazione della comunità dei fedeli.
Sul piano disciplinare fu ribadito l’obbligo del celibato ecclesiastico, e furono presi provvedimenti tesi a migliorare la formazione del clero e la sua attività pastorale.
Alla diffusione delle dottrine riformate la Chiesa reagì anche attraverso il potenziamento dell’apparato repressivo costituito per combattere le eresie (il tribunale dell’inquisizione) e il rafforzamento della censura (con la creazione di un indice dei libri proibiti).
Questo sforzo repressivo fu tuttavia accompagnato da un rinnovato spirito di evangelizzazione, che si espresse anche nella formazione di nuovi ordini religiosi, quali la Compagnia di Gesù.
Allo scontro tra cattolici e protestanti si accompagnarono una rinnovata persecuzione contro gli ebrei e una capillare repressione dei culti popolari.
Particolarmente cruento fu il fenomeno della caccia alle streghe: decine di migliaia di persone furono mandate a morte in tutta Europa con l’accusa di stregoneria.

Bibliografia

Riforma cattolica o Controriforma? / H. Jedin. – Morcelliana, 1957
La Controriforma / S. Zoli. – La Nuova Italia, 1979
Il Concilio di Trento come crocevia della politica europea / H. Jedin, P. Prodi. – Il Mulino, 1979
Il Concilio di Trento: un’introduzione storica / A. Prosperi. – Einaudi, 2001
La censura ecclesiastica e la cultura / A. Rotondò. – In: Storia d’Italia, vol. 5.: I documenti. – Einaudi, 1973
I tribunali della coscienza: inquisitori, confessori, missionari / A. Prosperi. – Einaudi, 1996
La Bibbia al rogo: la censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura, 1471-1605 / G. Fragnito. – Il Mulino, 1997
La cultura della Controriforma / A. Asor Rosa. – In: Letteratura italiana, vol. 26. – Laterza, 1986
La cultura italiana nell’età del Concilio di Trento / C. Dionisotti. – Einaudi, 1976
La religione e il declino della magia / K. Thomas. – Mondadori, 1983
L’Occidente cristiano, 1400-1700 / J. Bossy. – Einaudi, 1985
Ebrei in Europa dalla peste nera all’emancipazione, 14.-18. secolo / A. Foa. – Laterza, 1992
I Benandanti: stregoneria e culti agrari fra ’50 e ‘600 / C. Ginzburg. – Einaudi, 1976
La stregoneria in Europa, 1450-1650 / a cura di M. Romanello. – Il Mulino, 1981
Storia notturna: una decifrazione del sabba / C. Ginzburg. – Einaudi, 1989

 

 

 

Cap. 6. Il Rinascimento maturo: le arti, le lettere, le scienze

Sommario

Lo splendore dell’Italia del Rinascimento è anche legato a quello delle sue corti, che furono centri di vita artistica e culturale oltre che di intrighi politici.
Per il prestigio annesso all’arte e alla cultura, il mecenatismo divenne strumento della politica e i diversi principi – italiani ed europei – fecero spesso a gara per assicurarsi i servizi di un artista o scienziato di grido.
La presenza delle corti comportò anche un’evoluzione dei modelli di consumo: lo sviluppo del commercio internazionale mise a disposizione degli europei molti manufatti provenienti dall’Oriente e il loro successo presso il pubblico stimolò le manifatture europee a produrre oggetti analoghi.
Uscendo dal chiuso delle università, la cultura subì una trasformazione, abbandonando lo stile delle dispute accademiche per mettersi al servizio della vita politica e diplomatica.
I maestri furono individuati negli antichi, ma la riscoperta dell’antico interessò molti altri campi del sapere, delle arti figurative alle teorie scientifiche.
Anche i saperi pratici accumulati dagli artigiani nell’esercizio del loro mestiere contribuirono all’evoluzione della cultura tecnico-scientifica del Rinascimento.
Altrettanto fecero i viaggi oceanici e le scoperte geografiche.
Nel corso del ‘500 l’ottimismo dei primi umanisti cedette spesso il passo al disincanto.
Con Machiavelli iniziò una riflessione sul potere e sulla politica che proseguì con i pensatori politici delle generazioni successive, tutti ugualmente animati dal desiderio di definire la sovranità per porre argine alla violenza distruttrice delle guerre.

Bibliografia

La civiltà del Rinascimento in Italia / J. Burckhardt. – Sansoni, 1992
Rinascite e rivoluzioni: movimenti culturali dal 14. al 18. secolo / E. Garin. – Laterza, 1976
Medioevo e Rinascimento: studi e ricerche / E. Garin. – Laterza, 1984
Umanisti, artisti, scienziati: studi sul Rinascimento italiano / E. Garin. – Ed. Riuniti, 1989
La cultura del Rinascimento / E. Garin. – Il Saggiatore, 1990
L’uomo del Rinascimento / a cura di E. Garin. – Laterza, 1991
La civiltà del Rinascimento in Europa / J. R. Hale. – Mondadori, 1994
Il Rinascimento / P. Burke. – Bulzoni, 1996
“Familia” del principe e famigli aaristocratica / a cura di C. Mozzarelli. – Bulzoni, 1988
Discorso sopra la corte di Roma / G. F. Commendone. – Bulzoni, 1996
Affari di genio: una storia del Rinascimento europeo / L. Jardine. – Carocci, 2001
Le origini del pensiero politico moderno / Q. Skinner. – Il Mulino, 1989
Il pensiero politico moderno / W. Reinhard. – Il Mulino, 2000
Machiavelli / Q. Skinner. – Il Mulino, 2000

Cap. 7. Vittorie e sconfitte delle monarchie europee

Sommario

In Francia ai problemi economici e finanziari derivati da cinquant’anni di guerre si aggiungeva un contrasto sempre più profondo tra cattolici e protestanti (ugonotti) che sfociò nella guerra civile (il più grave episodio fu, nel 1572, il massacro della notte di San Bartolomeo).
La situazione si aggravò con l’ascesa al trono di Enrico 3., quando degenerò in guerra di tutti contro tutti.
Dopo l’assassinio del re  salì al trono il Borbone col nome di Enrico 4., ma la sua successione fu riconosciuta solo dopo che si fu convertito al cattolicesimo (1593).
Nel 1598 l’editto di Nantes sancì, con una soluzione di compromesso tra cattolici e ugonotti, la pacificazione interna.
Nei Paesi Bassi, dove si erano diffuse le dottrine riformate, le violazioni del principio dell’autogoverno e la politica antiprotestante perseguita da Filippo 2. provocarono uan rivolta.
La ferocia della repressione spagnola spinse le province protestanti del Nord a proclamarsi indipendenti e a dare vita alla Repubblica delle Province Unite.
In Inghilterra, dopo i capovolgimenti religiosi legati ai brevi regni di Edoardo 6. (protestante) e Maria Tudor (cattolica), il lungo regno di Elisabetta (1558-1603) fu contrassegnato da un orientamento moderatamente filo protestante.
Un grave problema per la sovrana inglese fu tuttavia costituito dalla presenza in Inghilterra della regina di Scozia, Maria Stuart, al centro di intrighi per la restaurazione del cattolicesimo.
Ragioni religiose, politiche ed economiche accesero una profonda rivalità tra l’Inghilterra e la Spagna di Filippo 2., ma la spedizione dell’”Invincibile Armata” si rivelò un fallimento.
Durante il regno di Elisabetta l’Inghilterra conobbe un periodo di sviluppo economico grazie alla crescita del settore tessile e soprattutto all’incremento dell’attività delle compagnie commerciali, cui la corona concedeva privilegi in cambio di una partecipazione ai profitti.
Come nel resto d’Europa, però, si accentuarono i fenomeni di pauperismo, cui si rispose con la Pool Law.
Lo scontro tra cristiani e musulmani nel Mediterraneo si riassumeva in quello tra Impero ottomano e Spagna.
Alla guerra aperta si mischiava la pirateria, fenomeno centrale nella storia dell’epoca.
La pirateria musulmana costituiva un pericolo per tutte le rotte e le coste del Mediterraneo ed aveva il suo principale centro ad Algeri.
Ma ben diffusa era anche la pirateria cristiana, che none ra rivolta solo contro i musulmani.
La tensione tra spagnoli e ottomani precipitò in conseguenza della conquista turca di Cipro.
A Lepanto (1571) la flotta della Lega santa – formata dal papa, dalla Spagna e da Venezia – inflisse ai turchi una sconfitta che, se non fu decisiva, limitò notevolmente la loro presenza nel Mediterraneo.
La lotta contro i turchi ravvivò in Spagna lo spirito di crociata, che portò all’interno a ima feroce persecuzione dei moriscos.
Il dominio spagnolo sull’Italia non fu tutto e soltanto negativo.
La pax hispanica consentì una ripresa delle attività economiche e l’integrazione nell’impero spagnolo costituì un vantaggio per le élites di governo.
Tuttavia l’alleanza con la Chiesa si tradusse in rigida censura e repressione del dissenso.
L’aumento della pressione fiscale, dovuto alla partecipazione della Spagna alla guerra dei Trent’anni, sconvolse gli equilibri tra le fazioni che si contendevano il potere.
A Napoli l’introduzione di una nuova gabella, che fu ritenuta illegittima dalla popolazione, scatenò una rivolta che assunse caratteri antibaronali, oltre che antispagnoli.
Tuttavia il capo della rivolta, Masaniello, fu ucciso ed essa fallì.

Bibliografia

Il secolo di ferro, 1550-1660 / H. Kamen. – Laterza, 1982
La formazione dell’Europa moderna / G. Ritter. – Laterza, 1985
L’Europa dal 1500 al 1700 / H. Kamen. – Laterza, 1996
Il mito dell’assolutismo: mutamento e continuità nelle monarchie europee in età moderna / N. Henshall. – Il Melangolo, 2000
Lotta politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento / C. Vivanti. – Einaudi, 1963
Le guerre di religione / P. Miquel. – Sansoni, 1981
La Repubblica olandese / C. Wilson. – Il Saggiatore, 1968
La Spagna imperiale, 1469-1716 / J. H. Elliott. – Il Mulino, 1982
Storia di Inghilterra / G. M. Trevelyan. – Garzanti, 1962
Alle origini dell’Inghilterra moderna: la crisi dei parlamenti, 1509-1660 / C. Russell. – Il MUlino, 1988
Astrea: l’idea di impero nel Cinquecento / F. A. Yates. – Einaudi, 1990
Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo 2. / F. Braduel. – Einaudi, 1976
Storia degli antichi stati / a cura di G. Greco e M. Rosa. – Laterza, 1996
L’Italia del Seicento / D. Sella. – Laterza, 2000
L’Italia moderna: temi e orientamenti storiografici / C. Casanova. – Carocci, 2001
Cronomogia dell’Italia  moderna / G. Greco. – Carocci, 2003
Il mistero di Masaniello / F. Benigno. – In: Specchi della rivoluzione: conflitto e identità politica nell’Europa moderna. – Donzelli, 1999

Cap. 8. La guerra dei Trent’anni

Sommario

In Germania, la frammentazione politica era stata rafforzata dalla divisione religiosa.
Dopo alcuni decenni di pace e relativa tolleranza, all’inizio del ‘600 il conflitto religioso si riaccese (costituzione dell’Unione evangelica e della Lega cattolica) e precipitò con l’avvento al potere dell’imperatore Mattia d’Asburgo e l’assunzione della corona da parte del cugino Ferdinando di Stiria.
La politica di restaurazione cattolica perseguita da Ferdinando in Boemia provocò la ribellione della nobiltà locale (1618), che affidò la corona al capo dell’Unione evangelica.
Con l’aiuto dell’esercito spagnolo Ferdinando sconfisse i boemi nella battaglia della Montagna Bianca.
I successi imperiali e la dura repressione anti protestante spinsero il re di Danimarca a intervenire contro le forze asburgiche (nel frattempo Ferdinando era divenuto imperatore col nome di Ferdinando 2.), ma anch’egli fu sconfitto e dovette firmare la pace.
L’editto con il quale Ferdinando 2. ordinava che si restituissero alla Chiesa cattolica i beni confiscati dopo il 1552, unito alla pretesa di rendere ereditaria la corona imperiale, a favore degli Asburgo, suscitò la ferma opposizione dei principi tedeschi, intimoriti anche dall’enorme potere acquisito dall’esercito imperiale guidato da Wallenstein.
Sollecitato dalla Francia e dai principi protestanti, il re di Svezia Gustavo Adolfo intervenne con successo contro la Lega cattolica, ma perse la vita in battaglia.
Ferdinando 2., fatto uccidere da Wallenstein, si affidò alel armi spagnole, riuscendo a concludere la pace con i principi tedeschi protestanti.
Dopo aver sostenuto, anche finanziariamente, l’intervento in guerra di danesi e svedesi, Richelieu decise di intervenire direttamente.
La violenza stessa della guerra, che in questi anni toccò il suo apice, convinse il nuovo imperatore Ferdinando 2. a concludere la pace di Westfalia (1648), che sancì la sconfitta del disegno politico asburgico, la divisione della Germania in unità politico-territoriali indipendenti e il drastico ridimensionamento dell’autorità dell’imperatore al di fuori dei suoi domini ereditari di Austria, Boemia e Ungheria.
La guerra dei Trent’anni ebbe conseguenze gravissime: il passaggio dei soldati favorì la diffusione delle epidemie e le terribili devastazioni subite dalla Germania provocarono un crollo demografico che ebbe effetti profondi anche sulla struttura sociale del paese.
All’interno dell’impero spagnolo il disegno riformatore di Olivares e gli sforzi finanziari e militari legati alla guerra aggravarono le tensioni politiche, provocando rivolte in Catalogna e Portogallo, che si proclamarono indipendenti.
Solo il Portogallo mantenne tuttavia l’indipendenza, mentre la Catalogna tornò a dichiararsi fedele alla corona.
In Francia, dopo la fine delle guerre di religione, Enrico 4. e, dopo la sua morte, Luigi 12. e soprattutto il suo primo ministro, cardinale Richelieu, avviarono un processo di consolidamento dell’apparato burocratico dello Stato, attraverso la vendita delle cariche pubbliche e di rafforzamento del potere della corona.
Anche in Francia, però, lo sforzo finanziario legato alla guerra dei Trent’anni provocò rivolte, da parte sia dei ceti popolari, sia di quelli privilegiati (la Fronda).

Bibliografia

Il secolo di ferro, 1550-1660 / H. Kamen. – Laterza, 1982
Felix Austria: l’ascesa della monarchi asburgica, 1550-1700 / R. W. Evans. – Il Mulino, 1981
La guerra dei trent’anni; da conflitto locale a guerra europea nella prima metà del Seicento / J. V. Polisensky. – Einaudi, 1982
Ascesa e crisi: la Germania dal 1517 al 1648 / H. Schilling. – Il Mulino, 1997
La Spagna imperiale, 1469-1716 / J. H. Elliott. – Il Mulino, 1982
Richelieu e Olivares / J. H. Elliott. – Il Mulino, 1990
Lotte contadine e urbane del Grand Siècle / B. Porsnev. – Jaca Book, 1976
Rivolte contadine in Europa, secoli 16.-18. / S. Lombardini. – Loescher, 1983
Furori contadini: i contadini nelle rivolte del 17. Secolo / R. Mousnier. – Rubbettino, 1984
La vertigine del potere: Richelieu e la Francia dell’ancien regime / G. R. R. Treasure. – Il Mulino, 1986
Il trionfo dell’assolutismo: da Luigi 13. a Luigi 16., 1610-1715 / E. Le Roy Ladurie. – Il Mulino, 2000

Cap. 9. Le rivoluzioni inglesi

Sommario

Dopo la morte senza eredi diretti di Elisabetta (1603), sul trono d’Inghilterra salì Giacomo 1. Stuart, che adottò una politica di moltiplicazione dei titoli nobiliari, di riaffermazione dell’autorità della Chiesa anglicana, di inasprimento della tassazione.
Tali scelte suscitarono un forte malcontento.
Il malcontento si acuì dopo l’ascesa al trono di Carlo 1. Stuart. La repressione dell’opposizione religiosa anche interna all’anglicanesimo (e i sospetti di criptocattolicesimo con cui fu accolta), i provvedimenti finanziari e fiscali adottati senza la consultazione del parlamento, lo sfarzo della corte furono tutti elementi che accrebbero l’ostilità della Camera dei Comuni nei confronti del re e dei suoi ministri.
Una rivolta della Scozia puritana e l’invasione dell’Inghilterra da parte dell’esercito scozzese costrinsero Carlo 1. a convocare il Parlamento, all’interno del quale si era però aggravato un forte fronte di opposizione contro la politica del sovrano.
La situazione si aggravò in seguito allo scoppio della rivolta cattolica irlandese, che fece crescere i timori di un complotto “papista”.
Un tentativo (non riuscito) di colpo di Stato da parte di Carlo 1. fece scoppiare la guerra civile (1642).
La guerra civile ebbe una svolta dopo la comparsa sulla scena di Oliver Cromwell, che sconfisse l’esercito  del re:
Il fronte dei vincitori era tuttavia attraversato da divisioni politiche e religiose, con la formazione di gruppi radicali.
Nel 1648 Cromwell sconfisse definitivamente il re, che fu arrestato, processato e condannato a morte e proclamò la Repubblica (1649) dopo aver espulso dal Parlamento coloro che ancora avrebbero voluto pervenire ad un accordo con Carlo 1.
Dopo aver ristabilito l’ordine in Inghilterra e aver duramente represso la rivolta irlandese, Cromwell puntò – con l’atto di navigazione, attraverso i trattati con Svezia, Portogallo e Danimarca e tramite un’alleanza con la Francia – a incrementare la potenza commerciale inglese ai danni di Olanda e Spagna.
Sul fronte interno, tuttavia, la situazione costituzionale rimaneva instabile.
Tra le rivendicazioni del nuovo parlamento repubblicano e le trame dei realisti, Cromwell impose quindi una dittatura militare, che fu rapidamente rovesciata dopo la sua morte.
Nel 1660, con l’approvazione del Parlamento, fu dunque restaurata la dinastia degli Stuart, nella persona di Carlo 2.
La restaurazione degli Stuart fu seguita da un periodo di pacificazione politica e religiosa durato oltre un decennio.
Ma, preoccupato per la politica filofrancese di Carlo 2. e temendo un possibile ritorno dell’assolutismo e – una volta che fosse salito al trono il fratello del re – una restaurazione cattolica, il Parlamento stabilì l’esclusione di tutti i non anglicani dalle cariche pubbliche e definì ulteriormente il diritto di Habeas corpus.
Sul problema della successione si determinarono due opposti schieramenti politici: i tories, favorevoli alla successione di Giacomo Stuart, e i Whigs, che invece erano contrari.
Nel 1685 Giacomo 2. salì al trono, ma presto la sua politica filocattolica gli alienò ogni simpatia.
Nel 1688 il Parlamento offrì la corona a Guglielmo d’Orange e alla moglie Maria Stuart.
La seconda rivoluzione inglese portò a una monarchia costituzionale fondata sulle prerogative del Parlamento e sui limiti del potere monarchico.
La rivoluzione inglese, il protettorato di Cromwell e la restaurazione furono periodi di intensa attività intellettuale ed elaborazione politica.
Particolarmente importanti per il futuro del pensiero politico furono le teorie assolutistiche di Hobbes e quelle liberali di Locke.

Bibliografia

Le origini intellettuali della rivoluzione inglese / C. Hill. – Il Mulino, 1965
Le cause della rivoluzione inglese, 1529-1642 / L. Stone. – Einaudi, 1982
Alle origini dell’Inghilterra moderna: la crisi dei parlamenti, 1509-1660 / C. Russell. – Il Mulino, 1988
Società e rivoluzione in Inghilterra / G. Garavaglia. – Loescher, 1978
Popolo e rivoluzione in Inghilterra / B. Manning. – Il Mulino, 1977
Il mondo alla rovescia: idee e movimenti rivoluzionari nell’Inghilterra del Seicento / C. Hill. – Einaudi, 1981
Il movimento machiavelliano: il pensiero politico fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone / J. G. A. Pocock. – Il Mulino, 1980
Thomas Hobbes / N. Bobbio. – Einaudi, 1989
Hobbes / R. Tuck. – Il Mulino, 2001
Introduzione a Locke / M. Sina. – Laterza, 1982
John Locke: dal razionalismo all’Illuminismo / C. A. Viano. – Einaudi, 1960
John Locke / J. W. Yolton. – Einaudi, 1987
La Rivoluzione inglese del 1688-1689 / G. M. Trevelyan. – Einaudi, 1940
Revisionismi a confronto / F. Benigno. – In: Specchi della rivoluzione: conflitto e identità politica nell’Europa moderna. – Donzelli, 1999

Cap. 10. “Il disagio dell’abbondanza”: l’Olanda del ‘600

Sommario

La Repubblica delle Province Unite conservò un’organizzazione statale poco strutturata: ogni provincia mantenne i suoi organi e le sue tradizioni di autogoverno, anche se la provincia dell’Olanda, più ricca e sviluppata delle altre, esercitò una forte influenza sul resto del paese.
I primi anni di vita della Repubblica furono segnati dalla rivalità tra favorevoli e contrari al proseguimento della guerra contro la Spagna, che videro schierati sui due fronti contrapposti anche due delle principali cariche dello Stato, il Gran pensionario e lo Stadhouder (governatore militare).
Importanti furono anche i dissidi religiosi all’interno della Chiesa calvinista, che culminarono nello scontro tra arminiani e gomaristi e nella repressione dei primi ad opera dei secondi.
Questi avvenimenti contribuirono a convincere le autorità laiche della necessità di tenere separate  le questioni dottrinarie da quelle politiche e a creare quel clima di relativa tolleranza che costituì uno dei caratteri distintivi della Repubblica.
La fioritura dell’Olanda del ‘600 fu legata allo sviluppo del commercio internazionale, che si avvalse anche della formazione di compagnie commerciali privilegiate come la Compagnia unificata delle Indie orientali.
Questa cosa fu così potente che in oriente arrivò in pratica a costituirsi uno Stato.
Ma importanti furono anche lo sviluppo delle manifatture in agricoltura.
Il relativo benessere del paese si tradusse in una accresciuta domanda di prodotti di tutti i generi, facilitata dal fatto che le città portuali dell’Olanda si stavano trasformando nei principali empori commerciali d’Europa.
Grande importanza assunse la pittura, che fu utilizzata sia in funzione semplicemente decorativa, sia come strumento di autoesaltazione da parte delle élites cittadine.
Tanta abbondanza creò tuttavia qualche disagio alla severa morale calvinista, cui si rispose con l’esaltazione dell’ordine e della pulizia come metafore della virtù.


Bibliografia.

La civiltà olandese dl Seicento / J. Huizinga. – Einaudi, 1967
La Repubblica olandese / C. Wilson. – Il Saggiatore, 1968
Il disagio dell’abbondanza: la cultura olandese dell’epoca d’oro / S. Schama. – Mondadori, 1993

Cap. 11. Lo sviluppo delle scienze

Sommario

Tra ‘500 e ‘600 l’esigenza di una “nuova” filosofia e uan “nuova” scienza fu sentita da molti filosofi e scienziati. , convinti che le teorie interpretative generali mostravano irreparabili segni di usura.
La teoria eliocentrica di Copernico funzionò da detonatore: dai suoi calcoli presero le mosse tutti coloro che si sentivano degli innovatori e ritenevano di dover fondare la filosofia naturale su nuove basi desunte non dall’autorità degli “antichi”, ma dallo stesso “libro della natura”.
Uno di questi fu Giordano Bruno, che sostenne che l’universo è infinito e infine pagò con al vita il rifiuto di rinnegare le sue idee.
Par scienziati come Galilei e Bacone, la critica delle dottrine scientifiche tradizionali fu legata a un’attenta osservazione dei fenomeni naturali, che li portò a smentire alcune delle più radicate convinzioni, come quella della perfezione dei corpi celesti e della loro diversità da quelli terrestri.
La passione per l’osservazione scientifica portò alla fondazione di accademie dove scienziati e virtuosi si riunivano per condurre esperimenti e descrivere e catalogare i risultati.
Come tutte le istituzioni culturali del tempo, anche le accademia furono tributarie del mecenatismo dei sovrani e furono governate da una precisa etichetta.
Il prestigio raggiunto dalla matematica favorì la diffusione di una concezione meccanicistica della natura: per spiegare il funzionamento dei corpi – sia inanimati che animati – si ricorse alla metafora dell’orologio.
Il meccanicismo trovò il suo più grande teorico in Descartes, che elaborò anche un nuovo metodo d’indagine scientifica fondato su un modo di procedere razionale e rigoroso.
Lo sviluppo del metodo matematico e della sua applicazione ai fenomeni naturali fu portato ad altissimo grado di perfezionamento da Newton.
La nuova filosofia e la nuova scienza furono spesso oggetto di attenzione da parte della censura, che interveniva a reprimere ogni forma di anticonformismo.
Anche per questo molti studiosi cercarono l’appoggio di sovrani o altri personaggi potenti, o si limitarono a descrivere il risultato delle loro ricerche senza azzardare interpretazioni generali.

 

Bibliografia

Giordano Bruno / M. Ciliberto. – Laterza, 1990
Breve storia del pensiero scientifico / C. Singer. – Einaudi, 1963
Storia della scienza / a cura di M. Daumas. – Laterza, 1976. – 5 voll.
Storia della tecnologia: vol. 3.: Il Rinascimento e l’incontro della scienza e tecnica, circa 1500-1750 / a cura di C. Singer … et al. – Bollati Boringhieri, 1961
I filosofi e le macchine / P. Rossi. – Feltrinelli, 1962
Dal mondo chiuso all’universo infinito / A. Koyré. – Feltrinelli, 1970
Scienza, tecnologia e società nell’Inghilterra del 17. secolo / R. Merton. – Angeli, 1975
La rivoluzione nella scienza / A. R. Hall. – Feltrinelli, 1985
Magia e scienza da Paracelso a Newton / C. Webster. – Il Mulino, 1984
La rivoluzione scientifica / S. Shapin. – Einaudi, 1980
L’inventario del mondo: catalogazione della natura e luoghi del sapere nella prima età moderna / G. Olmi. – Il Mulino, 1992
Dalla corte all’accademia: spazi, autori e autorità nella scienza del Seicento / M. Biagioli. – In: Storia d’Europa, vol. 4.  – Einaudi, 1995
L’occhio della lince: i primi lincei tra arte, scienza e collezionismo, 1603-1630 / I. Baldriga. – Accademia nazionale dei lincei, 2002

Cap. 12. L’Europa nell’età di Luigi 14.

Sommario

Nel 1661, morto Mazzarino, Luigi 14. assunse direttamente il potere.
Il suo lunghissimo regno (durato fino al 1715) fu caratterizzato dal rafforzamento della monarchia all’interno e dal consolidamento dell’egemonia continentale della Francia.
Luigi 14. accentrò nelle sue mani il governo dello Stato, valendosi della collaborazione di un Consiglio ristretto formato dal re e da tre ministri (esteri, guerra, finanze), mentre l’accentramento amministrativo si realizzò attraverso gli intendenti (di origine borghese).
L’obbligo imposto alla grande nobiltà di risiedere presso la corte, nella nuova sede di Versailles, sancì il depotenziamento dell’aristocrazia e la sua dipendenza dal sovrano.
La ricerca del massimo prestigio per la monarchia portò alla promozione delle attività artistiche e alla formazione di una cultura ufficiale celebrativa.
Il rafforzamento del potere della corona portò anche all’accentuazione dell’intervento dello Stato in materia ecclesiastica (gallicanesimo) e alla persecuzione di giansenisti e ugonotti.
I primi – sostenitori della grazia come dono divino e portatori di una religiosità austera – avevano il loro principale centro presso i monasteri di Port-Royal, che furono infine soppressi dal sovrano.
La persecuzione degli ugonotti – culminata con la revoca dell’editto di Nantes – determinò il loro esodo, che rappresentò un danno economico per la Francia, mentre confermava ormai l’impossibilità, per la minoranza religiosa, di contrapporsi allo Stato.
La maggiore fiscalità regia e la reazione alla persecuzione degli ugonotti furono all’origine di rivolte popolari.
L’intervento dello Stato nell’economia, di cui fu artefice soprattutto Colbert, ebbe la più completa realizzazione  nel mercantilismo.
Contemporaneamente venne rafforzato l’esercito come strumento di espansione lungo i confini nord-orientali.
Dopo la guerra di devoluzione – che, pretestuosamente scatenata contro la Spagna, si concluse con l’annessione di alcuni territori dei Paesi Bassi spagnoli – più impegnativa fu quella contro le Province Unite.
Dopo un rivolgimento interno che portò al potere Guglielmo 3. d'Orange, le Province Unite riuscirono a volgere a loro favore le sorti del conflitto, grazie anche all’appoggio di una vasta alleanza antifrancese.
Con la pace di Nimega (1678) ottennero l’abolizione della tariffa protezionista sulle importazioni imposta dalla Francia, che si annetté, ancora a spese della Spagna, la Franca Contea.
Negli anni successivi la Francia Proseguì nella sua politica di annessioni a danno dei Paesi Bassi spagnoli.
Dopo la guerra combattuta dalla Francia contro la Lega di Augusta, un conflitto più vasto scoppiò per la successione spagnola.
L’accettazione della corona di Spagna da parte di Filippo d’Angiò, nipote di Luigi 14., scatenò una guerra che oppose Francia, Spagna e Baviera a Impero Asburgico, Inghilterra, Olanda e altri stati, tra cui il Ducato di Savoia.
Dopo alterne vicende sul piano militare, la situazione mutò in relazione all’ascesa al trono imperiale di Carlo d’Asburgo.
Nessuna potenza infatti poteva auspicare che questi ottenesse anche la corona di Spagna.
OCn la pace (Utrecht e Rastatt, 1713-14) l’Austria ottenne i Paesi Bassi spagnoli e, soprattutto, finì il dominio spagnolo in Italia: gli Asburgo ottennero Lombardia, Mantova, Regno di Napoli, Sardegna e Stato dei Presidi; i Savoia ottennero Monferrato, Lomellina e, soprattutto, la Sicilia ( che portò loro il titolo regale).
A metà del ‘600 nei domini degli Hohenzollern – caratterizzati da frammentazione territoriale (evidente soprattutto nella distanza tra il Brandeburgo e la Prussia) e da diversità di popolazione e ordinamenti – iniziò l’opera di organizzazione dello Stato assoluto.
Rafforzato l’esercito e organizzati un efficiente sistema fiscale e una capace burocrazia, Federico Guglielmo si inserì nella Prima Guerra del Nord ottenendo la fine della dipendenza feudale della Prussia dalla Polonia.
Con tale guerra la Svezia acquisì il controllo del Baltico e dei commerci che da lì si stabilivano con il resto d’Europa.
Alla fine del secolo si affermò in Svezia il potere assoluto del sovrano, ma la Seconda Guerra del Nord contro Danimarca, Polonia e Russia segnò il ridimensionamento della potenza svedese.
In Russia, il codice del 1649 sancì un irrigidimento della società, che provocò episodi di ribellione.
Particolarmente grave fu la rivolta dei cosacchi guidata da Stenka Razin (1670).
Nello stesso periodo la riforma della Chiesa russa portò a uno scisma tra vecchi credenti e fedeli della Chiesa ufficiale.
Alla fine del secolo lo zar Pietro il Grande, influenzato dal contatto con l’Occidente, si volse alla creazione di un governo assoluto e autocratico.
Fu costituita una marina da guerra e fu potenziato l’esercito, e di conseguenza vennero riorganizzati fisco e amministrazione; lo Stato potenziò l’economia secondo i principi del mercantilismo, promosse un rinnovamento dell’educazione e intervenne anche in campo religioso.
Pietro il Grande non riuscì tuttavia ad organizzare la sua successione, il che avrebbe provocato numerosi complotti dopo la sua morte, avvenuta nel 1725.
In quell’anno la Russia aveva ormai acquisito, ai danni della Svezia, l’egemonia sul Baltico; nei decenni successivi avrebbe orientato la sua espansione verso sud-ovest.

Bibliografia

Luigi 14. e venti milioni di francesi / P. Goubert. – Laterza, 1968
Luigi 14. e la Francia del suo tempo / P. R. Campbell. – Il Mulino, 1977
L’ancien regime / E. Le Roy Ladurie. – Il Mulino, 2000
La società di corte / N. Elias. – Il Mulino, 1980
L’uomo barocco / a cura di R. Villari. – Laterza, 1980
Le origini della Prussia / F. L. Carsten. – Il Mulino, 1982
La Russia degli zar / M. Raeff. – Laterza, 1984

Cap. 13. L’Europa e il mondo

Sommario

Le origini della supremazia europea – le cui basi si posero tra ‘600 e ‘700 e che sarebbe durata fino alla prima guerra mondiale – possono individuarsi in tre ordini di fattori, che mancarono invece nei grandi imperi asiatici: lo sviluppo di un mercato libero e del capitalismo commerciale, la tutela dei diritti di proprietà, la superiorità tecnologica.
Dalla metà del ‘500 iniziò la decadenza  dell’Impero ottomano.
La crisi emerse anzitutto sul piano istituzionale, con un indebolimento del potere centrale, mentre, per quanto riguardava le attività economiche, l’impero continuò invece a mostrare una notevole vitalità.
Nella seconda metà del ‘600 furono tentate alcune riforme e vi fu una ripresa dell’espansionismo, che portò ad un periodo di guerre destinato a protrarsi fino alla fine del ‘700 (proprio le sconfitte subite in Europa determinarono la crisi del sistema militare ottomano).
Una riorganizzazione istituzionale tentata al principio del ‘700 finì col provocare una sanguinosa rivolta, e per tutto il secolo la crisi dell’impero continuò ad aggravarsi.
Tra il 15. e il 17. secolo India, Cina e Giappone subirono importanti trasformazioni politiche.
Nel 1526 gli afghani invasero l’India dando vita all’Impero Moghul, con una struttura sociale di tipo feudale (le attività artigianali ci erano tuttavia molto sviluppate) e una capillare struttura amministrativa e militare.
La convivenza tra cultura islamica e quella indù fu piuttosto difficile.
Il processo di pacificazione iniziato a metà del ‘500 fu interrotto un secolo dopo con l’introduzione di una politica intransigente, che portò alla disgregazione dell’impero e alla formazione di stati regionali indù in continua ostilità tra di loro.
Dopo un lungo periodo di dominazione straniera (10.-14. secolo), si affermò in Cina la dinastia nazionale Ming.
A metà del ‘600 l’ultima invasione di nomadi, provenienti dalla Manciuria, dette inizio al lungo periodo della dinastia Qing.
Dopo un primo periodo caratterizzato da una politica repressiva, anche i mancesi vennero assorbiti dalla cultura e dalla civiltà cinese, soprattutto riguardo alle forme di governo (incentrato sul ceto dei burocrati-letterati).
Nel periodo Qing si verificò un grande sviluppo demografico e una notevole prosperità nelle campagne.
La formazione di un ceto mercantile vero e proprio fu ostacolata dal discredito in cui le attività commerciali venivano tenute dal confucianesimo; il commercio con l’estero servì soprattutto all’esportazione, essendo la Cina un paese autosufficiente.
Verso la metà del ‘500 la situazione interna giapponese (caratterizzata da un’infinità di domini e da parallelo indebolimento del loro legame con l’imperatore e lo shogun) si modificò grazie all’introduzione delle armi da fuoco, che favorirono un processo di concentrazione del potere.
Tale processo culminò nel 1600 con la nomina a shogun di Iayasu Togukawa, che diede vita a una dinastia che avrebbe governato il Giappone per 250 anni.
Nel periodo Togukawa fu colpita la vecchia struttura feudale, furono garantiti la pace e l’ordine interni, furono eliminati quasi interamente i contatti con il mondo esterno (si ebbe tuttavia un notevole sviluppo economico).
Fino al 19. secolo la presenza dell’Europa in Oriente fu soprattutto commerciale.
Alle metà del ‘600 l’olandese Compagnia Unificata delle Indie orientali – che agiva anche come rappresentante dello Stato olandese – soppiantò l’egemonia commerciale portoghese, controllando per mezzo secolo il traffico delel spezie.
Nel corso del 18. secolo la inglese Compagnia delle Indie Orientali scalzò a sua volta l’egemonia commerciale  olandese e, dopo un lungo conflitto con la Francia, trasformò le basi commerciali in India in un possedimento coloniale (detenuto per conto della corona inglese).
Nell’America spagnola il consolidamento del dominio coloniale avvenne prima che in quella portoghese.
L’impero coloniale della Spagna era governato da viceré, cui si affiancavano le audiencias.
L’organizzazione amministrativa del Brasile portoghese fu più tara, iniziando nel ‘600 sul modello spagnolo.
Nel corso del ‘600 e ‘700 il Brasile mostrò un notevole dinamismo, espandendo i suoi confini.
Una esperienza unica nella colonizzazione americana fu quella realizzata dai gesuiti nel Paraguay dove, nel ‘600, costituirono comunità di indiani, le riduzioni, organizzate su principi di eguaglianza sociale al fine di dar corpo ad una repubblica cristiana.
Il tentativo terminò a metà del ‘700, quando le comunità furono chiuse dal Portogallo.
Fin dall’inizio, nell’economia dell’America latina ebbe un ruolo decisivo l’ingente produzione di oro e d’argento, inviata in Europa.
Nel ‘500, con la coltivazione della canna da zuccheto in Brasile, iniziò il sistema delle piantagioni, dove furono impiegati schiavi neri importati dall’Africa.
Attorno al traffico di schiavi si impiantò quel “commercio triangolare” (Africa-America-Europa) che divenne il tratto caratteristico del sistema mercantile atlantico.
Alle colonia spagnole era permesso commerciare solo con la madrepatria; ma questo sistema economico chiuso era costantemente incrinato dal contrabbando e dalla pirateria, che avevano il loro centro nelle Antille.
In queste isole si installarono, nel corso del ‘600, olandesi, francesi e inglesi, per aggirare il monopolio commerciale spagnolo.
Nello stesso secolo gli inglesi unificarono i loro possedimenti dell’America del Nord, mentre la Francia fondò le sue prime importanti basi in Canada.
Dopo la guerra franco-inglese, che riproduceva in America lo scontro in atto in Europa per la successione spagnola, la Francia perse alcuni territori, conservando però Louisiana e Canada.
Nel ‘700 si affermò la supremazia inglese nell’America del Nord e nel commercio atlantico.
Nel 1713 l’Inghilterra, che era diventata la prima potenza commerciale, ottenne il monopolio del commercio degli schiavi con le colonie spagnole.
Con la guerra dei Sette anni gli inglesi acquisivano Canada e parte della Louisiana (dalla Francia) e la Florida (dalla Spagna).
I possedimenti francesi in America si riducevano, così, alle Antille.
Il contributo delle economie periferiche allo sviluppo europeo va individuato soprattutto nel fatto che esse fornirono un mercato mondiale alla produzione industriale europea.
L’aspetto meno noto dell’espansione europea è quello ecologico: l’Europa infatti trasformò sensibilmente l’habitat delle popolazioni soggette al suo dominio, esportando non solo merci, ma anche malattie, piante, animali, uomini.

Bibliografia

Il miracolo europeo: ambiente, economia e geopolitica nella storia europea e asiatica / E. L. Jones. – Il Mulino, 1984
Le macchine del tempo: l’orologio e la società, 1300-1700 / C. M. Cipolla. – Il Mulino, 1981
Storia del tempo: l’orologio e la nascita del mondo moderno / D. S. Landes. – Mondadori, 1984
I primi del mondo: l’egemonia economica dalla Venezia del Quattrocento al Giappone di oggi / Cp P. Kindleberger. – Donzelli, 1997
Imperialismo ecologico / A. W. Crosby. – Laterza, 1988
L’Islamismo. – Vol. 2.: Dalla caduta di Costantinopoli ai nostri giorni. – Vol. 15 della Storia universale Feltrinelli
Storia dell’India / P. Spear. – Rizzoli, 1970
Storia della Cina: dalle origini alla fondazione della repubblica / M. Sabbatini, P. Santangelo. – Laterza, 1986
Accumulazione e sviluppo economico in Giappone: dalla fine del 16. alla fine del 19. secolo / C. Zanier. – Einaudi, 1975
Le origini sociali della dittatura e della democrazia: proprietari e contadini nella formazione del mondo moderno / B. Moore. – Einaudi, 1969
L’espansione europea, 1600-1870 / F. Mauro. – Mursia, 1977
Gli imperi coloniali dal 18. secolo / D. K. Fieldhouse. – Vol. 29 della Storia universale, Feltrinelli, 1977
America centrale e meridionale / R. C. Konetzke. - Vol. 22 della Storia universale, Feltrinelli, 1968
Lo Stato cristiano-sociale dei gesuiti nel Paraguay / E. Gothein. – La Nuova Italia, 1987
Città di Dio e città del sole: lo “Stato” gesuita dei Guarani, 1609-1768 / A. Armani. – Studium, 1977
Civiltà materiale, economia e capitalismo, secoli 15.-18. / F. Braudel. – Einaudi, 1981-82. – 3 voll.

 

 

 

Cap. 14. Guerre ed egemonia nell’Europa del ‘700

Sommario

Fra il 1700 e il 1763 si verificò tra Francia e Inghilterra un conflitto mondiale destinato a durare sino agli anni dell’Impero napoleonico.
Alla sconfitta francese e all’affermarsi dell’egemonia coloniale inglese si accompagnarono l’emarginazione degli stati iberici e il loro inserimento nel sistema commerciale britannico.
Le guerre verificatesi in Europa dopo il 1714 trovano una spiegazione in un contesto geopolitico.
Un arco di aree forti (cioè di comunità statali definite e consolidate: Spagna, Portogallo, Province Unite, Francia, Inghilterra, Stati scandinavi, Russia) chiudeva due grandi aree deboli: il bassopiano tedesco-polacco e la penisola italiana.
Profondamente legata a queste due ultime aree, l’Austria non era però in grado di esercitarvi pienamente il proprio controllo.
I grandi conflitti europei del ‘700 sono, dunque, solo superficialmente spiegabili alla luce dei problemi di successione dinastica che, in realtà, furono solo pretesti per giustificare le iniziative delle grandi potenze.
Per evitare ciò – anche se invano -, già dal 1713 l’imperatore Carlo 6. si adoperò per ottenere il riconoscimento della “prammatica sanzione” che assicurava la successione anche alle figlie femmine.
Nel 1718, l’accordo con cui si concluse un conflitto scatenato dalla Spagna determinò in Italia la cessione della Sicilia all’Austria da parte dei Savoia, che ricevettero in cambio la Sardegna.
Nel 1733 scoppiò una guerra legata al problema della successione in Polonia, conclusasi con una pace che comportò importanti modifiche in Francia e in Italia: il Ducato di Lorena fu assegnato al detronizzato sovrano polacco Stanislao Leszczynski con la clausola che alla sua morte sarebbe passato alla Francia; il Granducato di Toscana fu assegnato al duca di Lorena (sposo della futura imperatrice d’Austria); Carlo di Borbone ricevette il Regno di Napoli  e la Sicilia; l’Austria ottenne il Ducato di Parma; i Savoia ingrandirono con Novara e Tortona i loro territori.
Poco dopo, la guerra di successione austriaca terminò ( (pace di Aquisgrana, 1748) con il riconoscimento della prammatica sanzione (e dunque dell’ascesa al trono di Maria Teresa d’Austria) e con la cessione, da parte dell’Austria, della Slesia alla Prussia e del Ducato di parma ai Borbone; per l’Italia iniziava un lungo periodo di pace.
Nel 1756-1763 la guerra dei Sette Anni vide contrapposte Austria, Francia e Russia a Inghilterra e Prussia.
Il conflitto – che ebbe dimensioni mondiali e sancì, sul piano coloniale, la supremazia inglese – fece emergere il nuovo ruolo della Prussia come potenza europea.
Alla fine del ‘700, tre successive spartizioni tra Prussia, Russia e Austria segnarono la scomparsa della Polonia come Stato autonomo.
Dopo la “Gloriosa rivoluzione” e l’avvento di Guglielmo 3. d'Orange la società inglese attraversò un periodo di slancio economico e culturale.
La vita parlamentare fu dominata, dal 1714 al 1760, dai whigs, interpreti dei principi della “Gloriosa rivoluzione” e di un governo svincolato dagli arbitri del sovrano.
La variabilità delle circoscrizioni elettorali determinava la disparità nella rappresentanza ai Comuni, mentre clientele e vincoli di parentela rendevano frequente la corruzione.
Gli anni in cui Walpole fu alla guida del paese furono contrassegnati da prosperità all’interno e pace all’estero; nello stesso periodo prese forma il governo di gabinetto.
Con Pitt si affermò una politica internazionale più decisa, votata al rafforzamento dell’impero commerciale inglese.
Nel cinquantennio successivo alla morte di Luigi 14. la Francia collezionò una serie di insuccessi in politica estera, che videro sconfitti gli obiettivi di dominio oltremare.
Durante la reggenza del duca di Orleans e il regno di Luigi 15., tutta la politica francese appare contrassegnata dall’incertezza e dalla crisi della monarchia assoluta.
Uno degli episodi significativi, sul piano della politica interna, fu la rivoluzione monetaria e fiscale di Law, che si risolse in un clamoroso fallimento.
La Prussia fu la grande protagonista delle guerre europee della metà del ‘700, grazie soprattutto al potenziamento dell’apparato burocratico e dell’esercito operato da Federico 2.
In tutti i paesi reclutamento e addestramento delle truppe erano difficili (e numerosissime le diserzioni); la disciplina durissima costituiva un elemento indispensabile per controbilanciare l’estraneità dei soldati alle motivazioni della guerra.

Bibliografia

Le monarchie assolute / L. Guerci. – Utet, 1986
L’Europa del vecchio ordine, 1660-1800 / W. Doyle. – Laterza, 1987
L’Europa nel Settecento, 1713-1783 / M. S. Anderson. – Comunità, 1972
La cultura inglese del ‘600 e del ‘700 / B. Wiley. – Il Mulino, 1975
Il cammino verso l’industrializzazione: economia e società nell’Inghilterra del 17. e 18. secolo / C. Wilson. – Il Mulino, 1986
I piaceri dell’immaginazione: la cultura inglese del Settecento / J. Brewer. – Carocci, 1999
L’Ancien regime / E. Le Roy Ladurie. – Il Mulino, 2000
La guerra e le armi nella storia d’Europa / M. Howard. – Laterza, 1978
Federico il Grande / G. Ritter. – Il Mulino, 1970
Federico il Grande / / Th. Schieder. – Einaudi, 1989
Corti e alleanze: la Germania dal 1648 al 1763 / H. Schilling. – Il Mulino, 1999

Cap. 15. La società di ancien regime

Nel corso del ‘700 la società di ancien regime subì alcune profonde trasformazioni.
Il fenomeno più rilevante fu la crescita demografica (che non si sarebbe più arrestata), cui si legò una intensa urbanizzazione.
Si interruppe allora il rapporto di reciproca dipendenza tra popolazione e risorse.
Oltre a questo meccanismo oggettivo, esisteva anche, durante l’ancien regime. Una autoregolamentazione legata alle possibilità di lavoro e al matrimonio tardivo.
Proprio l’abbassamento dell’età matrimoniale nel ‘700 in Inghilterra mostra che stava cambiando il comportamento demografico.
Benché non se ne conoscano le cause, nel ‘700 declinò l’importanza della peste (ma non di altre malattie).
Dal punto di vista della struttura familiare non sembra più possibile parlare di un meccanico succedere della famiglia nucleare alla famiglia allargata: entrambi i tipi esistevano nella società di ancien regime in zone diverse d’Europa.
La riduzione delle nascite verificatesi in Francia nel ‘700, con un secolo di anticipo rispetto al resto d’Europa, dipese da un insieme di fattori: maggiore attenzione alla salute della donna, nuovo atteggiamento verso l’infanzia, tutela della proprietà.
Vi contribuirono anche tanto il diffondersi di un controllo razionale della vita affettiva, quanto i processi di scristianizzazione accompagnati dal rifiuto del controllo sulla vita privata da parte delle istituzioni religiose.
La società di ancien regime era fondamentalmente agricola.
Nell’Europa del ‘700 la proprietà terriera era ancora prevalentemente  di tipo feudale, pur se si erano attenuati nell’area del feudalesimo “classico” (Francia settentrionale e Germania occidentale) molti dei suoi caratteri originari.
Notevoli erano comunque le differenze nei diversi paesi europei.
Nell’Europa orientale le condizioni particolarmente dure di servaggio furono all’origine di varie rivolte sociali.
Nel corso del ‘700 si manifestarono importanti mutamenti nelle strutture agrarie, anzitutto in Inghilterra.
Qui il fenomeno delle recinzioni (iniziato da alcuni secoli) portò a una più chiara definizione della proprietà e a una coltivazione più razionale della terra, sensibile alle esigenze del mercato agricolo.
Altro fattore importante fu il superamento della rotazione triennale, che condusse a un aumento delle disponibilità alimentari e dell’allevamento.
Le campagne del ‘700 erano anche sede di un’industria rurale domestica, dedita principalmente ad attività tessili, che si sviluppò grazie alla nuova figura del mercante imprenditore.
Il lavoro a domicilio, che caratterizza la fase di protoindustrializzazione, continuerà a svolgere un ruolo importante anche dopo la rivoluzione industriale.
Un posto importante nell’economia del tempo ebbe anche la manifattura, caratterizzata dalla concentrazione in un’unica sede di più operai che svolgono, per lo più manualmente, tutte le fasi del processo produttivo.
Il concetto essenziale per definire la gerarchia sociale della società di ancien regime è quella di ceto.
Caratteristiche di tale gerarchia erano la fissità delle stratificazioni sociali, l’appartenenza ad esse per nascita, la diseguaglianza giuridica.
La società per ceti trovava sanzione ufficiale nelle assemblee per ordini, che esercitavano un’azione di resistenza nei confronti delle centralizzazione del potere realizzata dalla monarchia assoluta (una resistenza che ebbe esiti assai diversi da un paese all’altro).
Nell’Europa del ‘700 convivevano numerose forme di governo: monarchie assolute, monarchia costituzionale inglese, repubbliche oligarchiche, feudalesimo aristocratico polacco.
Nel corso del 16. secolo l’aumento del pauperismo (con i connessi problemi di controllo sociale) e lo sviluppo di una nuova etica del lavoro determinarono una profonda trasformazione dell’assistenza.
Due criteri caratterizzarono il nuovo ordinamento: l’obbligo al lavoro e l’internamento in appositi ospizi.
Ma fu soprattutto nel ‘600 (con l’Ospedale generale di Parigi e le workhouses inglesi) che prese corpo la “grande reclusione”, al tempo stesso utopia morale e sistema di coercizione fisica, che coinvolgeva, insieme ai poveri e ai vagabondi, i malati, i pazzi, le prostitute.

Bibliografia

Alle origini dell’età moderna / E. Hinrichs. – Laterza, 1984
Introduzione alla storia della società moderna e contemporanea / P. Macry. – Il Mulino, 1980
Storia economica dell’Europa pre-industriale / C. M. Cipolla. – Il Mulino, 1974
Il sistema demografico europeo, 1500-1820 / M. W. Flinn. – Il Mulino, 1983
La trasformazione demografica delle società europee / M. Livi Bacci. – Loescher, 1977
Padri e figli nell’Europa medievale e moderna / P. Aries. – Laterza, 1968
La vita privata / a cura di P. Aries e G. Duby. – Vol. 3.: Dal Rinascimento all’Illuminismo. – Laterza, 1987
La famiglia nella storia: comportamenti sociali e ideali domestici / a cura di C. E. Rosenberg. – Einaudi, 1979
La famiglia: parentela, casa, sessualità nella società pre-industriale / J.-L. Flandrin. – Comunità, 1979
La storia della famiglia negli anni Ottanta / L. Stone. – In: Viaggio nella storia. – Laterza, 1987
La famiglia nella storia / J. Casey. – Laterza, 1991
Rivolte contadine in Europa: secoli 16.-18. / S. Lombardini. – Loescher, 1987
Storia agraria dell’Europa occidentale, 500-1850 / B. H. Slicher van Bath. – Einaudi, 1972
Contadini e proprietari nell’Italia moderna: rapporti di produzione e contratti agrari dal secolo 16. a oggi / G. Giorgetti. – Einaudi, 1974
Civiltà materiale, economia e capitalismo, secoli 15.-18. / F. Braudel. – Einaudi, 1981-82. – 3 voll.
Storia economica del medio evo e dell’epoca moderna / J. M. Kulischer. – Sansoni, 1964. – 2 voll.
L’industrializzazione prima dell’industrializzazione / P. Kriedte…et al. – Il Mulino, 1984
Storia economica e sociale del mondo / a cura di P. Leon. – Vol. 2.: Difficoltà dello sviluppo, 1580-1730. – Laterza, 1980
La società e i poveri / J. P. Gutton. – Mondadori, 1976
Sorvegliare e punire: nascita della prigione / M. Foucault. – Einaudi, 1976
La pietà e la forca: storia della miseria e della carità / B. Geremek. – Laterza, 1986

Cap. 16. Illuminismo e riforme

Sommario

Nonostante siano presenti nell’Illuminismo orientamenti molto diversi, si possono individuare alcune caratteristiche unificanti: l’esaltazione di un impiego spregiudicato della ragione, la critica al principio di autorità e alle istituzioni politiche e religiose, l’analisi empirica della società legata a un’esigenza riformatrice, la fiducia nel progresso, l’adesione a una religione naturale e razionale.
L’impronta razionalista dell’Illuminismo non deve far dimenticare il parallelo interesse per le componenti affettive ed emotive.
Che proprio la Francia sia stata il centro dell’Illuminismo si spiega con l’esistenza di un’ampia cultura di opposizione.
Due delle figure di maggior rilievo dell’Illuminismo francese furono Montesquieu, sostenitore del principio della divisione dei poteri, e Voltaire, critico dell’oscurantismo e dei privilegi e fautore di un dispotismo illuminato.
La più significativa realizzazione culturale dell’Illuminismo fu l’Enciclopedia, che contribuì potentemente alla diffusione delle nuove idee.
In una posizione a sé va collocato Rousseau, per la sua critica della società e del progressi e per la sua analisi dei fondamenti della democrazia diretta.
Vanno ricordate infine le correnti utopistiche del pensiero francese del ‘700, tutte favorevoli all’abolizione della proprietà privata.
Nel corso del 18. secolo nacque una nuova scienza, l’economia politica, grazie all’opera dei fisiocratici francesi e Adam Smith.
Il maggior teorico della fisiocrazia, Quesnay, individuò nell’agricoltura l’attività economica fondamentale; ne scaturirono proposte tese a favorire il suo sviluppo capitalistico e la libertà di commerci.
Al centro dell’analisi di Smith sta il concetto di lavoro produttivo e la convinzione che il libero agire dell’individuo, teso al proprio interesse particolare, contribuisca in realtà al benessere collettivo.
Il pensiero illuminista fecondò molti campi di indagine: si gettarono le basi dell’antropologia culturale e dell’etnologia; si affermò una concezione della storia attenta alla società e ai modi di vita; fu rifondata – con Hume – una teoria della conoscenza su basi empiristiche; grandi progressi si ebbero infine anche nel campo delle scienze naturali (con Lavoisier nacque la chimica moderna).
Pur caratterizzato da un’egemonia degli intellettuali francesi, il movimento illuminista interessò tutti i paesi europei.
Nel mondo tedesco esso fu legato alla lotta contro il dogmatismo e autoritarismo della Chiesa luterana; Kant, il suo esponente di maggior rilievo, interpretò l’Illuminismo come il coraggio di far uso de proprio intelletto senza sottostare alla guida di altri.
In Italia si era già avuto un rinnovamento culturale precedente all’Illuminismo con Muratori, Vico e Giannone.
I due principali centri del pensiero illuminista nella penisola furono Napoli (con Genovesi e Galiani) e Milano: qui, attorno alla rivista “Il Caffè), si raccolsero Beccaria (propugnatore di una nuova visione della giustizia e della pena) e i fratelli Verri.
La circolazione internazionale delle idee, caratteristica del movimento illuminista, fu favorita dalla massoneria, setta segreta nata in Inghilterra all’inizio del ‘700 e subito diffusasi in tutta Europa.
Il movimento illuminista elaborò anche un disegno politico riformatore che si incontrò con l’azione dei sovrani assoluti (circa 1750-1780).
Il più deciso intervento riformatore investì, nei paesi cattolici, i poteri della Chiesa e degli ordini religiosi.
Uno dei risultati di questa azione fu l’espulsione dei gesuiti da vari paesi europei, che portò infine allo scioglimento della Compagnia di Gesù.
L’altro settore dell’attività riformatrice fu quello amministrativo, dove si mirò a rendere più razionale la macchina statale.
L’azione riformatrice si esercitò soprattutto in Austria e Prussia.
Nell’Impero asburgico Maria Teresa riorganizzò l’apparato statale centralizzando le funzioni amministrative; tassò – grazie al catasto – anche le terre dei nobili; prese provvedimenti a favore dell’istruzione; intervenne sulle prerogative del clero:
Il giurisdizionalismo ricevette un impulso con il figlio Giuseppe 2. che accentuò anche in altri campi la politica della madre (codice penale, abolizione delle servitù personali dei contadini).
Le ribellioni autonomistiche suscitate dal riformismo giuseppino – insieme allo scoppio della rivoluzione in Francia – indussero il successore Leopoldo 2. ad una politica più moderata.
In Prussia l’azione di Federico 2. fu caratterizzata da un dualismo tra principi illuminati e politica di potenza.
Fu potenziato l’esercito e, soprattutto, venne creata una aristocrazia militare legata al sovrano,
In Russia l’azione riformatrice di Caterina 2. fu assai limitata.
L’arretratezza e le resistenze della Russia tradizionale obbligarono infatti la monarchia a promuovere quell’organizzazione per ceti che era messa in crisi, invece, nel resto d’Europa.
In Italia l’attività riformatrice fu sostanzialmente limitata al Regno di Napoli, alla Lombardia e alla Toscana.
Nel Regno di Napoli l’azione riformatrice si limitò alla redazione di un catasto, ad interventi a favore degli scambi commerciali e a misure giurisdizionaliste.
Nel Ducato di Milano, dominio austriaco, vennero realizzate le stesse riforme che erano state avviate negli altri territori dell’impero (soprattutto il catasto).
In Toscana, salvo che per il catasto, si sperimentarono, sotto Pietro Leopoldo (figlio di Marie Teresa d’Austria) tutti gli interventi più tipici dell’assolutismo illuminato; la Toscana fu anzi il primo paese ad accogliere i principi di Beccaria.
In campo economico fu avviata una politica liberista e si cercò, senza successo, di favorire un ceto di piccoli proprietari contadini.

Bibliografia

Le monarchie assolute: vol. 2.: Permanenze e mutamenti nell’Europa del Settecento / L. Guerci. – Utet, 1986
La civiltà dell’Europa dei Lumi / P. Chaunu. – Il Mulino, 1987
Settecento riformatore / F. Venturi. – Einaudi, 1969-1987. – 5 voll.
Introduzione all’Illuminismo. Da Newton a Rousseau / P. Casini. – Laterza, 1980
Dal movimento dei lumi al movimento dei popoli: l’Europa tra Illuminismo e rivoluzione / F. Diaz. – Il Mulino, 1986
L’Italia del Settecento: crisi, trasformazioni, lumi / D. Carpanetto, G. Ricuperati. – Laterza, 1986
L’Europa di Maria Teresa dal Barocco all’Illuminismo / V.-L. Tapie. – Mondadori, 1982

Cap. 17. Alle origini della rivoluzione industriale

Sommario

Si dà il nome di “rivoluzione industriale” al complesso di profondi mutamenti nelle forme di produzione che si verificò in Inghilterra tra fine ’700 e inizio ‘800, mutamenti che successivamente si sarebbero affermati anche nel continente europeo.
L’affermazione del capitalismo industriale e i profondi mutamenti sociali che l’accompagnarono (con la nascita di nuovi ceti e classi) determinarono, insieme alla rivoluzione francese, l’inizio di una nuova età, quella contemporanea, contrassegnata – nonostante profondi squilibri – dal raggiungimento del benessere economico nei paesi più sviluppati.
L’economia dell’Inghilterra preindustriale presentava alcune peculiarità che spiegano perché proprio lì avrebbe preso avvio la rivoluzione industriale.
Il controllo  inglese del commercio internazionale favorì le manifatture tessili inglesi (rapido e poco costoso approvvigionamento di cotone grezzo, ampio mercato di vendita per i prodotti) e la diffusione di una mentalità imprenditoriale.
La concentrazione nella proprietà della terra e l’introduzione di nuove tecniche di coltivazione configurarono una rivoluzione agricola che stimolò in vari modi il processo di industrializzazione: maggiori disponibilità alimentari per una popolazione in crescita, estensione del mercato interno (dovuta al diffondersi del lavoro salariato e alla riduzione dell’autoconsumo), disponibilità di capitali per impieghi industriali, aumento della popolazione ed esodo dalle campagne (che consentirono la formazione di un proletariato industriale).
Infine, la rivoluzione industriale fu favorita anche dalle particolari caratteristiche del sistema politico e dalla vivacità della società inglese, in grado di esprimere anche una crescente domanda di nuovi prodotti.
Alla rivoluzione industriale si collegò l’introduzione di nuove tecnologie.
Il rapporto di reciprocità tra invenzione e produzione è evidente nel settore tessile: l’aumentata capacità della tessitura (grazie alla “navetta volante”) spinse alla meccanizzazione della filatura, che a sua volta stimolò l’invenzione del telaio meccanico.
La fase successiva della innovazione tecnologica fu quella dell’utilizzazione del vapore come forza motrice.
La prima attività in cui si sviluppò il sistema di produzione basato sulla fabbrica fu quella cotoniera, la cui produzione aumentò enormemente grazie a vari fattori fra i quali: i costi limitati delle nuove tecnologie, la possibilità di alti profitti, la disponibilità di manodopera a basso costo, l’espansione del mercato.
La meccanizzazione favorì l’industria siderurgica, che riuscì a far fronte alla nuova domanda soprattutto attraverso l’innovazione tecnologica.
Il sistema di fabbrica comportò la trasformazione del lavoratore in operaio, inserito in una crescente divisione del lavoro  e soggetto a condizioni di lavoro (disciplina , rari) e di vita durissime.
La semplificazione del processo produttivo rese possibile inoltre, soprattutto nell’industria tessile, l’impiego di donne e bambini.
La prima reazione al sistema di fabbrica fu opera di lavoranti a domicilio e artigiani del settore tessile, tra cui si diffuse il luddismo.
Spentesi le agitazioni luddiste all’inizio dell’800, e nonostante la politica repressiva del governo inglese, cominciarono a diffondersi tra gli operai nuove forme di organizzazione (società di mutuo soccorso, leghe di categoria).
Le trasformazioni legate all’industrializzazione sollecitarono, nell’ambito del radicalismo inglese, una nuova riflessione sui temi della partecipazione politica e della riforma sociale.
Bentham, principale teorico dell’utilitarismo, individuò nel concetto di utile il criterio fondamentale cui deve conformarsi l’azione politica.
Ricardo, il maggiore teorico dell’economia “classica”, pose in relazione la conflittualità sociale con la distribuzione del prodotto complessivo tra le varie classi.
La rivoluzione industriale inglese, inoltre, diede l’avvio a un nuovo sistema produttivo che, dal 1830 circa, si sarebbe esteso al resto dell’Europa e agli Stati Uniti.
Complessivamente considerato, il quadro dell’economia dell’Europa continentale dal 1815 alla metà dell’800 si presenta contraddittorio, per la compresenza di elementi di arretratezza e di fattori economici.
Tale economia era dominata dalle attività agricole, che rimanevano tecnicamente arretrate.

Bibliografia

La prima rivoluzione industriale / P. Deane. – Il Mulino, 1982
Prometeo liberato / D. S. Landes. – Einaudi, 1978
La rivoluzione industriale e l’impero / E. J. Hobsbawn. – Einaudim 1972
La rivoluzione industriale, 1760-1830 / T. S. Ashton. – Laterza, 1969
La rivoluzione industriale / P. Hudson. – Il Mulino, 1995
Leggere la rivoluzione industriale / J. Mokyr. – Il Mulino, 1997
L’età del progresso: l’Inghilterra fra il 1783 e il 1867 / A. Briggs. – Il Mulino, 1987
Storia economica Cambridge. Vol. 6.: La rivoluzione industriale e i suoi sviluppi. – Einaudi, 1974
Storia economica dell’Europa continentale / A. S. Milward, S. B. Saul. – Il Mulino, 1977
La conquista pacifica: l’industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970 / S. Pollard. – Il Mulino, 1984
L’industrializzazione in Europa nell’800 / T. Kemp. – Il Mulino, 1975
La trasformazione demografica delle società europee / M. Livi Bacci. – Loescher, 1977
Nascita della classe operaia / J. Kuczinski. – Il Saggiatore, 1967
Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra / E. P. Thompson. – Il Saggiatore, 1969
Classi lavoratrici e classi pericolose / L. Chevalier. – Laterza, 1976

Cap. 18. La nascita degli Stati Uniti

Sommario

La colonizzazione inglese del Nord America, iniziata al principio del ‘600 e costantemente legata ad un’aspra lotta contro gli indiani, fu il prodotto dell’iniziativa di compagnie commerciali e dell’emigrazione di minoranze politiche e religiose (anzitutto puritani).
Alla metà del ‘700 i possedimenti inglesi comprendevano tredici colonie, tutte sulla fascia costiera atlantica.
L’economia delle colonie del Nord si fondava sulla coltivazione dei cereali e, nei centri urbani, su una vivace attività commerciale e cantieristica.
Nel Sud prevalevano le piantagioni di tabacco, con grandi proprietà basate sul lavoro degli schiavi.
Nel Centro, l’economia presentava un quadro differenziato e gli squilibri sociali erano più marcati.
Per tutte le colonie, alla forte dipendenza economica dalla Gran Bretagna faceva riscontro una notevole autonomia sul piano politico.
I vincoli delle colonie con la madrepatria erano sempre stati strettissimi.
Il contrasto da cui ebbe origine la lotta per l’indipendenza nacque, negli anni ’60 del secolo 18., in seguito alla decisione della Gran Bretagna di far pagare in misura crescente alle colonie i costi del proprio impero americano (che, dopo la guerra dei sette anni, si estendeva dal Canada alla Florida).
I coloni affermavano il principio che ogni tassa dovesse essere approvata da un’assemblea in cui fossero rappresentati i diritti dei tassati (e non era questo il caso del Parlamento britannico).
Su tale base la protesta di andò sempre più orientando verso la rivendicazione dell’indipendenza.
Nel 1774, dopo dure misure di ritorsioni inglesi, la ribellione divenne aperta.
Nel 1775 si formò un esercito di coloni, sotto il comando di Washington; l’anno successivo il Congresso continentale approvò la Dichiarazione d’indipendenza.
Sul piano militare le colonie avevano un netto svantaggio rispetto alle truppe inglesi, e inoltre erano divise al loro interno; notevoli anche i problemi finanziari della guerra contro la Gran Bretagna.
Poterono valersi della solidarietà dell’opinione pubblica europea e, soprattutto, dell’intervento in loro favore di Francia e Spagna.
Nel 1783 la Gran Bretagna riconobbe l’indipendenza delle tredici colonie.
Nel 1787 una Convenzione costituzionale dette vita ad uno Stato federale, e ad un sistema politico di tipo presidenziale basato sulla divisione e l’equilibrio dei poteri.
Il presidente della repubblica era a capo dell’esecutivo e indipendente dal legislativo (esercitato dalla Camera dei rappresentanti e dal Senato); il potere giudiziario era posto sotto il controllo di una Corte suprema.
La Costituzione doveva però essere approvata dai singoli stati dell’Unione: in questa fase si sviluppò un acceso dibattito tra federalisti (che erano favorevoli ad un forte potere centrale ed esprimevano gli interessi di commercianti, industriali e grandi proprietari terrieri) e antifederalisti (che esprimevano le esigenze dei ceti medio-bassi ed erano portatori di posizioni democratiche e “ruraliste”).
Prevalsero le tesi federaliste, pur se mitigate dall’approvazione di dieci emendamenti alla Costituzione.
Nel 1789 Washington fu eletto presidente.
Negli anni successivi, la politica economica di Hamilton, leader dei federalisti, suscitò l’opposizione dei proprietari del Sud e dei coloni dell’Ovest, che trovarono un punto di riferimento nel partito repubblicano-democratico, il cui esponente più autorevole fu Jefferson.
Contemporaneamente si precisavano i criteri dell’espansione verso ovest: le regioni di nuova colonizzazione acquisivano lo status di “territori” per poi trasformarsi, raggiunti i 60000 abitanti, in Stati dell’Unione.

Bibliografia

Le origini degli Stati Uniti / B. Bailyn, G. S. Wood. – Il Mulino, 1987
La rivoluzione americana: una rivoluzione costituzionale / N. Matteucci. – Il Mulino, 1987
La formazione degli Stati Uniti d’America / A. Aquarone…et al. – Nistri-Lischi, 1961
La rivoluzione americana / T. Bonazzi. – Il Mulino, 1977
Storia degli Stati Uniti / A. Nevins…et al. – Einaudi, 1980
Gli Stati Uniti / R. Luraghi. – Utet, 1974
L’era delle rivoluzioni democratiche / R. R. Palmer. – Feltrinelli, 1971

Cap. 19. La Rivoluzione francese

Sommario

La debolezza della monarchia francese si riassumeva nell’incapacità di risolvere la crisi finanziaria superando le resistenze della nobiltà e del clero, ostili all’abolizione dei propri privilegi fiscali.
Di fronte all’opposizione dei Parlamenti Luigi 16. si rassegnò alla convocazione degli Stati generali, che determinò la mobilitazione politica del Terzo Stato.
All’inizio del 1789 si tennero le elezioni dei deputati agli Stati generali, nel contesto di forti tensioni popolari determinate dalla crisi economica.
Quando, avviati i lavori degli Stati generali, il Terzo Stato si autoproclamò Assemblea nazionale, iniziò una rivoluzione istituzionale che il re fu costretto a riconoscere: la rappresentanza per ordini veniva meno, come richiesto dal Terzo Stato, e nasceva la nuova Assemblea nazionale costituente.
Il processo rivoluzionario subì un’accelerazione con l’assalto alla Bastiglia il 14 luglio (che segnò l’entrata in scena del popolo parigino), la nascita di nuove municipalità, la sollevazione delle campagne che spinse l’Assemblea a decretare l’abolizione del regime feudale, l’approvazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
La requisizione dei beni ecclesiastici, infine, determinò la vendita di una consistente porzione del territorio nazionale, legando saldamente alla rivoluzione i nuovi proprietari.
A un anno dalla presa della Bastiglia l’ampiezza del consenso mascherava sensibili differenze politiche.
I due maggiori problemi di questa fase furono comunque legati all’opposizione da parte del clero al giuramento di fedeltà (stabilito dalla Costituzione civile del clero) e all’ostilità del re alle conquiste rivoluzionarie, resa evidente dal suo fallito tentativo di fuga.
Alla fine del ’91 nessuna forza era in grado di imporre la propria egemonia: i moderati, che avevano la maggioranza nell’Assemblea legislativa (apertasi il 1° ottobre); i giacobini, presenti soprattutto nell’attività dei club; la corte e gli emigrati, che organizzavano la controrivoluzione, incoraggiati da Austria e Prussia; i ceti popolari, mobilitati dal grave disagio sociale.
In questa situazione si vide nella guerra (dichiarata nell’aprile ’92) una via d’uscita, sia pure per motivi opposti: il re per sconfiggere la rivoluzione, i girondini, il geuppo più attivo della Legislativa, per diffondere gli ideali rivoluzionari.
Di fronte alle prime difficoltà militari, l’iniziativa fu ripresa dal popolo di Parigi, con due manifestazioni alle Tuileries, la seconda delle quali vide il successo degli insorti e determinò l’arresto e la sospensione del re (10 agosto 1792).
La grave situazione militare alimentò le voci di un complotto controrivoluzionario da cui trassero origine i “massacri di settembre”, che rivelarono le potenzialità del radicalismo dei sanculotti.
Poso dopo, la vittoria di Valmy, oltre ad allontanare la minaccia esterna, sancì la nuova identificazione tra passione nazionale e ideali rivoluzionari (cui si legava una politica espansionistica).
Il giorno successivo (21 settembre ’92) venne dichiarata la decadenza della monarchia dalla nuova assemblea eletta a suffragio universale, la Convenzione nazionale (i cui lavori, fino al giugno ’93, furono caratterizzati dalla lotta tra girondini e montagnardi).
Il processo e l’esecuzione del re accentuarono l’ostilità delle altre potenze.
In una situazione grave – e per le tensioni interne (rivolta contadina in Vandea e rivendicazioni del popolo parigino), e per il nemico alle frontiere – i deputati del centro (la Pianura) si allearono con i montagnardi, adottando una serie di misure radicali e istituendo il Comitato di salute pubblica.
Sconfitti i girondini, dal giugno del ’93 prendeva corpo la dittatura dei giacobini (che ormai si identificavano con i montagnardi), il cui principale esponente fu Robespierre.
Proclamandosi unici interpreti del popolo, essi inaugurarono un modello di “democrazia totalitaria”.
La nuova costituzione del ’93 non entrò mai in vigore; fu invece instaurata una dittatura attraverso l’eliminazione fisica degli avversari (il Terrore) e l’accentramento dell’esecutivo.
Fu repressa l’insurrezione “federalista” e, sua pure provvisoriamente, fu domata la Vandea; contemporaneamente la riorganizzazione dell’esercito portò, alla fine dell’anno,  a nuove vittorie.
Se con il maximum dei prezzi e salari i giacobini vennero incontro alle richieste dei sanculotti, tentarono anche di ridurre l’influenza del movimento popolare.
Fu promossa un’opera di scristianizzazione, che portò all’introduzione del calendario repubblicano, alla celebrazione di feste laiche e al culto della dea ragione e dell’Essere supremo.
La lotta del gruppo dirigente robespierrista contro le altre frange rivoluzionarie fece maturare la congiura termidoriana (luglio ’94).
La Convenzione termidoriana smantellò le strutture della dittatura giacobina: fu attenuato l’accentramento dell’esecutivo e furono abolite le norme repressive su cui si era fondato il Terrore, si introdusse la separazione tra Stato e Chiesa, fu abolito il maximum.
La stabilizzazione interna fu consolidata dai successi militari  e da alcuni trattati di pace.
Una nuova Costituzione proclamò la difesa del diritto di proprietà e accentuò il carattere censitario del sistema elettorale; fu creato un parlamento bicamerale e un Direttorio cui era affidato il potere esecutivo.
La debolezza del nuovo regime costrinse il Direttorio ad una politica pendolare tra la destra filomonarchica e la sinistra giacobina (il cui gruppo più radicale, capeggiato da Babeuf, tentò nel ’96 un’insurrezione).
Il rafforzarsi della destra spinse la maggioranza del Direttorio ad un colpo di Stato (settembre ’97) realizzato con l’intervento dell’esercito.
La guerra, l’uccisione del re e il Terrore ridussero notevolmente, in Europa, il numero dei sostenitori della rivoluzione.
La riflessione politica fu aperta dall’inglese Burke, che contrappose la difesa della tradizione all’astrattezza dei principi dell’89.
La rivoluzione da un lato spinse i governi europei a reprimere il dissenso interno, dall’altro stimolò lo sviluppo dei nuclei di opposizione.
L’influenza della rivoluzione fu marcato in Belgio e Olanda, dove l’intervento francese portò nel primo caso all’annessione e nel secondo alla costituzione della Repubblica batava.
In Italia si formarono vari club giacobini, duramente repressi dai governo.
Il Direttorio continuò nella politica di espansione in Europa, che univa il progetto di liberazione dei popoli ad obiettivi di sfruttamento economico.
Nel 1796 Bonaparte ottenne il comando dell’armata in italia.
I suoi straordinari e rapidi successi costrinsero l’Austria alla pace.
Con il trattato di Campoformio(1797) gli austriaci venivano compensati delle loro perdite con il Veneto, l’Istria e la Dalmazia (la Repubblica di Venezia cessò di esistere).
A quel momento i francesi avevano in Italia il controllo diretto di Lombardia, Emilia e Romagna.
Lo sfruttamento dei territori italiani si legava al progetto della creazione di una serie di Repubbliche “giacobine”: nel 1896-97 la Repubblica cispadana (Emilia e Romagna), che si fuse poco dopo con la Cisalpina (Lombardia) e la Repubblica ligure; nel 1798 la Repubblica romana (Lazio, Umbria, Marche); nel 17999 la Repubblica partenopea.
Queste repubbliche ebbero costituzioni moderate e i loro organi legislativi e di governo furono soggetti al controllo francese.
L’estraneità dei ceti popolari al dominio francese determinò frequenti episodi di rivolta (la sollevazione dei contadini fu decisiva per la restaurazione borbonica nell’Italia meridionale, cui seguì una durissima repressione).
Mentre l’instabilità politica caratterizzava la situazione interna francese, Bonaparte organizzò una spedizione in Egitto (1798) per colpire da lì gli interessi commerciali inglesi.
Il suoi successi militari furono annullati dalla distruzione della flotta francese operata da Nelson, mentre l’Inghilterra organizzava una seconda coalizione contro la Francia.
Le sconfitte militari provocarono una ripresa dell’attività giacobina in opposizione al Direttorio.
La situazione di crisi politica si risolse attraverso il colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre ’99), che – ideato da Sieyés – poté realizzarsi solo grazie all’intervento militare di Bonaparte).
Il colpo di Stato pose fine alla dinamica politica rivoluzionaria, pur se la stabilizzazione delle conquiste della rivoluzione si realizzò soltanto negli anni del consolato di Napoleone.
Con la rivoluzione francese cambiarono radicalmente modi e contenuti della politica: in questo senso dà inizio alla storia contemporanea divenendo il punto di riferimento obbligato di tutte le tendenze politiche dell’800.

Bibliografia

La rivoluzione francese / F. Furet, D. Richet. – Laterza, 1974
La Rivoluzione francese / A. Soboul. – Laterza, 1964
La Rivoluzione francese / G. Lefebvre. – Einaudi, 1958
L’età della rivoluzione europea, 1780-1848 / F. Furet. – Vol. 26. della Storia universale Feltrinelli, 1970
La Rivoluzione francese, 1789-1799 / M. Vovelle. – Guerini, 1993
Introduzione alla storia contemporanea, vol. 1.: L’antico regime e la rivoluzione francese, 1750-1815 / P. Remond. – Rizzoli, 1976
Le rivoluzioni, 1770-1799 / J. Godechot. – Mursia, 1975
Dizionario critico della rivoluzione francese / a cura di F. Furet e M. Ozouf. – Bompiani, 1988
Rivoluzione e controrivoluzione: la Francia dal 1789 al 1815 / D. M. G. Sutherland. – Il Mulino, 2000
Le origini culturali della Rivoluzione francese / R. Chartier. – Laterza, 1991
Libri proibiti: pornografia, satira e utopia all’origine della rivoluzione francese / R. Darnton. – Mondadori, 1997
L’Ottantanove / G. Lefebvre. – Einaudi, 1949
La grande paura del 1789 / G. Lefebvre. – Einaudi, 1953
1789: l’anno primo della libertà / A. Soboul. – Episteme, 1975
La Francia rivoluzionaria: la caduta della monarchia, 1787-92 / M. Vovelle. – Laterza, 1974
La mentalità rivoluzionaria: società e mentalità durante la rivoluzione francese / M. Vovelle. – Laterza, 1987
La Grande Nazione: l’espansione rivoluzionaria della Francia nel mondo, 1789-1899 / J. Godechot. – Laterza, 1962
Storia sociale della Francia dal 1789 ad oggi / H.-G. Haupt. – Laterza, 1991
Come uscire dal Terrore: il Termidoro e la Rivoluzione / B. Baczko. – Feltrinelli, 1989
L’autunno della Rivoluzione: lotta e cultura politica nella Francia del Termidoro / S. Luzzatti. – Einaudi, 1994
In nome del popolo sovrano: alle origini della rivoluzione francese / T. Tackett. – Carocci, 2000
Storia dell’Italia moderna, vol. 1.: Le origini del Risorgimento / G. Candeloro. – Feltrinelli, 1956
Italia giacobina / R. De Felice. – Esi, 1965
Vincenzo Cuoco / A. De Francesco. – Laterza, 1997
La rivoluzione francese: miti e interpretazioni, 1789-1970 / A. Gérard. – Mursia, 1972
La società francese e la rivoluzione / A. Cobban. – Vallecchi, 1967
Il mito della rivoluzione francese / a cura di M. Terni. – Il Saggiatore, 1981
Critica della rivoluzione francese / F. Furet. – Laterza, 1980
L’albero della rivoluzione / a cura di B. Bongiovanni e L. Guerci. – Einaudi, 1989
La rivoluzione francese: problemi storici e metodologici / A. Groppi… et al. – Angeli, 1978

Cap. 20. Napoleone e l’Europa

Sommario

Fondato sul ruolo avuto dall’esercito nella vicenda rivoluzionaria, il potere di Napoleone fu sancito dalla Costituzione dell’anno 8. Al Primo Console era attribuito il potere esecutivo e parte di quello legislativo; di fatto si instaurò un governo dittatoriale, basato su un consenso diretto del popolo ottenuto su un consenso diretto del popolo ottenuto attraverso i plebisciti.
L’istituzione dei prefetti fu il principale strumento della centralizzazione burocratica e amministrativa, mentre lo Stato allargò enormemente il campo delle proprie competenze (dedicando, tra l’altro, particolare attenzione all’istruzione).
Sconfitte le opposizioni più radicali di destra e di sinistra, il consolidamento del potere napoleonico restava legato al raggiungimento della pace, conclusa nel 1801 con l’Austria e l’anno successivo con l’Inghilterra, ultimo avversario in campo.
Rafforzato ulteriormente il proprio potere mediante il Concordato con la Chiesa di Roma (1801), Napoleone si fece nominare console a vita nel 1802; due anni dopo, il Codice civile – che accoglieva le più importanti conquiste del’89 – rappresentò il coronamento della sua opera riformatrice.
Dopo la pace con l’Austria proseguì l’espansione francese in Italia (Piemonte, Parma, trasformazione della Repubblica Cisalpina in Repubblica Italiana).
Repressa duramente la congiura realista, nel 1804 Napoleone si fece nominare imperatore dei francesi.
Le guerre dei cinque anni successivi sconvolsero profondamente la carta d’Europa.
Nel 1805 la Repubblica italiana si trasformò in Regno d’Italia e, sconfitti gli austro-russi ad Austerlitz, il dominio napoleonico in Italia si estese a Veneto, Istria e Dalmazia, Regno di Napoli; la vittoria inglese a Trafalgar segnò tuttavia la rinuncia definitiva al progetto di invadere l’Inghilterra.
Nel 1806 Napoleone creò la Confederazione del Reno e proclamò la decadenza del Sacro Romano Impero; sconfisse la Prussia, quindi per minare la potenza inglese proclamò il blocco continentale che stabiliva il divieto per i paesi europei di commerciale con l’Inghilterra.
Nel 1807 la pace di Tilsit con la Russia, inserendo lo zar nella politica internazionale francese, segnò l’apice della potenza napoleonica.
L’espansione francese si scontrò tuttavia con gravi difficoltà in Spagna, dove la sollevazione del paese portò nel 1808 alla prima sconfitta dell’esercito napoleonico.
L’anno successivo una nuova sconfitta dell’Austria determinò altri ingrandimenti territoriali del Regno d’Italia e dell’Impero francese: a quest’ultimo vennero anche annessi nel 1808-1809 Parma, Toscana e – dopo l’arresto del papa – Lazio e Umbria.
Nel 1810 Napoleone volle legittimare il proprio dominio sposando Maria Luisa d’Austria.
L’impero napoleonico si fondava su una supremazia militare basata su un esercito di “cittadini” reclutato attraverso la coscrizione obbligatoria.
L’esercito rappresentò anche la principale via di ascesa sociale, contribuendo fortemente alla formazione della nuova nobiltà napoleonica.
Negli stati conquistati o annessi, ove fu esteso il sistema amministrativo e giuridico francese, il consenso al nuovo regime fu sempre modesto.
Soprattutto in Germania e in Italia il dominio napoleonico portò al superamento della dimensione particolaristica, suscitando aspirazioni all’indipendenza.
L’economia degli stati soggetti all’egemonia napoleonica fu sottoposta alle esigenze della Francia e danneggiata dal blocco continentale; e ciò contribuì ad accrescere l’ostilità antifrancese.
In Spagna e Nella Sicilia (occupata dagli inglesi) furono approvate nel 1812 costituzioni moderate che sarebbero state assunte a modello del movimento liberale dell’età della Restaurazione.
In Prussia la sconfitta militare stimolò una rinascita intellettuale tedesca, una politica di riforme economiche e sociali ed un rinnovamento dell’esercito.
Il periodo relativamente pacifico tra il 1809 e il 1812 non portò a un consolidamento dell’Impero, impedito dall’ostilità inglese, dal conflitto con il papa, dalla ribellione spagnola e dall’opposizione delle forze nazionali.
A ciò si aggiunse lo sganciamento russo dall’alleanza con la Francia, che Napoleone tentò di fronteggiare con l’invasione della Russia (1812).

L’avanzata francese, di fronte a un nemico che faceva terra bruciata e si rifiutava di trattare, si risolse infine in una ritirata a prezzo di fortissime perdite.
Una nuova coalizione tra Inghilterra, Russia, Prussia e Austria sconfisse i francesi a Lipsia; dopo l’occupazione di Parigi, Napoleone dovette abdicare (aprile ’14) e ricevette il possesso dell’Isola d’Elba.
Al trono di Francia saliva Luigi 18. mentre il Congresso di Vienna iniziava la ridefinizione della carta d’Europa.
Nel marzo 1815 Napoleone, tornato in Francia, riassunse il potere facendo leva sul malcontento serpeggiante tra gli strati popolari e l’esercito.
Sconfitto a Waterloo, venne deportato a Sant’Elena.
Di lì a poco un’analoga impresa compiuta da Murat nell’Italia meridionale si risolse tragicamente.

Bibliografia

L’Europa e l’America all’epoca napoleonica, 1800-1815 / J. Godechot. – Mursia, 1985
Napoleone: il mito del salvatore / J. Tulard. – Rusconi, 1980
Napoleone / G. Lefebvre. – Laterza, 1960
L’età di Napoleone / J.-C. Herold. – Il Saggiatore, 1967
Napoleone / V. Criscuolo. – Il Mulino, 1997
Napoleone e la conquista dell’Europa / S. J. Woolf. – Laterza 1990
Napoleone e la società francese, 1799-1815 / L. Bergeron. – Guida, 1975
Le campagne di Napoleone / D. G. Chandler. – Rizzoli, 1973
L’anti-Napoleone / J. Tulard. – Veutro, 1970