Storia medievale di Montanari
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Storia medievale Montanari
Cap. 1. La metamorfosi del mondo romano e la fine dell’Impero di Occidente, secoli 3-5
Riassunto
Una trasformazione profonda si realizzò durante i due secoli e mezzo che precedettero la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476), l’organismo politico che aveva costruito ed esercitato la propria egemonia in larga parte del mediterraneo e dell’Europa. Tale periodo di mutamento, che è stato definito “rivoluzione tardo romana” (Brown), è distinguibile in 4 fasi. Nella prima metà del 3 secolo l’impero visse ancora un’età di pace d relativo splendore. Nella seconda metà del 3 secolo le strutture militari che servivano a contenere la pressione alle frontiere cedettero e i romani furono ripetutamente sconfitti dalle popolazioni stanziate ai confini settentrionali e orientali. Nel 4 secolo l’emergenza militare determinò una serie di trasformazioni amministrative e politiche. Fu questo il momento in cui avvennero le più importanti modifiche: la cristianizzazione dell’impero, l’insediamento di popoli “barbari” entro i suoi confini, l’ampliarsi del divario fra ricchi e poveri e di quello fra Oriente e Occidente. Solo nel 5 secolo in occazione di nuovi movimenti di popoli, queste trasformazioni fecero emergere in Occidente una società nuova, una società senza impero.
Bibliografia
Il mondo tardo antico: da Marco Aurelio a Maometto / P. Brown. – Einaudi, 1974
Il tardo impero romano / A. Cameron. – Il Mulino, 1999
La fine dell’impero e le trasmigrazioni dei popoli / L. Cracco Ruggini. – In: La Storia: i grandi problemi dal Medioevo all’età contemporanea / a cura di N. Tranfaglia e M. Firpo, vol. 2. – UTET, 1986
Il mondo tardo antico / A. Schiavone. – In: Storia medievale. – Donzelli, 1998
La caduta della Repubblica romana / P. A. Brunt. – Laterza, 1990
L’economia romana / A. H. M. Jones. – Einaudi, 1984
Il tardo impero romano, 284-602 d. C. / A. H. M. Jones. – Il Saggiatore, 1973-1981. – 3 voll.
La fine del mondo antico / S. Mazzarino. – Rizzoli, 1988
Le invasioni barbariche / C. Azzara. – Il Mulino, 1999
Lo sfondo sociale della lotta tra paganesimo e cristianesimo / A. H. M. Jones. – In: Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo 4 / a cura di A. Momigliano. – Einaudi, 1968
Società romana e impero tardoantico / a cura di A. Giardina. – Laterza, 1986
Industria artistica tardoromana / A. Riegl. – Einaudi, 1958
Economia naturale e economia monetaria / A. Dopsch. – Sansoni, 1967
Maometto e Carlomagno / H. Pirenne. – Laterza, 1969
Cap. 2. Il cristianesimo: le chiese episcopali e il monachesimo delle origini, secoli 4-6
Riassunto
Il cristianesimo fu inizialmente una delle numerose religioni salvifiche diffuse fra le classi aristocratiche dell’impero romano. Il suo straordinario successo pressi i ceti eminenti urbani, e l’organizzazione gerarchica che presto la nuova religione si diede, fecero si che essa acquisisse dal 4 secolo in poi un ruolo centrale nella conservazione delle strutture amministrative, sociali e culturali della compagine imperiale nel momento della sua dissoluzione.
Bibliografia
La formazione dell’Europa cristiana: universalismo e diversità / P. Brown. – Laterza, 1995
Il cristianesimo latino altomedievale / G. Tabacco. – In: Storia del cristianesimo: il Medioevo / a cura di G. Filoramo…et al. – Laterza, 1997
L’evangelizzazione dell’Europa e lo sviluppo della potenza ecclesiastica / G. Tabacco i. – In: La Storia: i grandi problemi dal Medioevo all’età contemporanea / a cura di N. Tranfaglia e M. Firpo, vol. 2. – UTET, 1986
Terra e società nell’Italia padana: i secoli 9 e 10 / V. Fumagalli. – Einaudi, 1976
Ortodossia ed eterodossia / M. Gallina. – In: Storia del cristianesimo: il Medioevo / a cura di G. Filoramo…et al. – Laterza, 1997
Il millennio bizantino / H. G. Bec. – Salerno, 1981
Cap. 3. Le invasioni e i regni romano-barbarici
Riassunto
Tra 4 e 6 secolo popoli che a lungo erano vissuti ai confini dell’impero romano – con il quale spesso avevano stabilito forme di convivenza o di alleanza – migrarono al suo interno in seguito all’irruzione di nuove popolazioni provenienti dalle steppe euroasiatiche e per altri fattori di natura economica, politica e militare. Le loro migrazioni portarono alla caduta dell’Impero romano d’Occidente e alla formazione di nuovi regni, determinando una profonda frattura nella storia del continente europeo.
Bibliografia
Le origini etniche dell’Europa: barbari e romani tra antichità e medioevo / W. Pohl. – Viella, 2000
Stato e nazione nell’alto medioevo: ricerche sulle origini nazionali di Francia, Italia e Germania / E. Sestan. – ESI, 1952
Prima delle nazioni: popoli, etnie e regni fra antichità e medioevo / S. Gasparri. – NIS, 1997
Le invasioni barbariche / C. Azzara. – Il Mulino, 1999
Storia dei Goti / H. Wolfram. – Salerno, 1985
Cap. 4. L’impero romano d’Oriente, secoli 6-9
Riassunto
Nella sua parte orientale l’Impero romano continuò ad esistere: i secoli 5 e 6 non rappresentarono qui un momenti di cesura come in Occidente. Anzi, nel corso del 6 secolo, lo stesso Occidente fu profondamente segnato dal programma di azione politica dell’imperatore Giustiniano, che si propose di ricondurre a unità l’Impero riconquistando i territori che erano già stati inclusi nella sua parte occidentale. Tale intento, seppure solo parzialmente realizzato, comportò una generale rielaborazione delle categorie culturali e amministrative romane, da cui derivò una sorta di summa dei valori che il mondo antico poteva lasciare in eredità alla nuova società multietnica creatasi nei territori imperiali a iniziare dal 4 secolo.
Bibliografia
L’eredità di Roma da Odoacre a Costantino / O. Capitani. – In: Storia dell’Italia medievale. – Laterza, 1992
Potere e società a Bisanzio: dalla fondazione di Costantinopoli al 1204 / M. Gallina. – Einaudi, 1995
Storia dell’Impero bizantino / G. Ostrogorsy. – Einaudi, 1963
Il millennio bizantino / H. G. Beck. – Salerno, 1981
L’Italia bizantina dall’invasione longobarda alla caduta di Ravenna / A. Guillou. – In: Storia d’Italia, vol. 1. – UTET, 1980
I bizantini in Italia / V. von Falkenhausen. – Scheiwiller, 1982
Cap. 5. I Longobardi e le due Italie, secoli 6-8
Riassunto
I Longobardi sono uno dei popoli germanici che maggiormente hanno attirato l’attenzione di storici e archeologi a causa della particolarità della loro struttura sociale e per le modalità con cui fondarono un nuovo regno in Italia. Valicate le Alpi nel 568, nel giro di pochi anni essi conquistarono a danno dei Bizantini gran parte delle regioni settentrionali della penisola, coste escluse, e alcuni importanti territori del centro-sud, dando vita a un regno destinato a durare circa due secoli. Con il loro avvento si ruppe l’unità politica e culturale che sin dall’antichità aveva segnato l’Italia.
Bibliografia
Storia dei longobardi / J. Jarnut. – Einaudi, 1995
I Longobardi: storia e archeologia di un popolo / N. Christie. – ECIG, 1997
Nobili e re: l’Italia politica nell’alto medioevo / P. Camamrosano. –Laterza, 1998
L’età longobarda / G. P. Bognetti. – Giuffré, 1966-1968. – 4 voll.
Alle origini dei poteri temporali dei papi: riferimenti dottrinari, contesi ideologici e pratiche politiche / G. Arnaldi. – In: Storia d’Italia. Annali 9, La Chiesa e il potere politico. – Einaudi, 1986
Cap. 6. L’Impero arabo-islamico, secoli 7-10
Riassunto
In poco più di cento anni, dai primi decenni del 7 secolo alla metà del successivo, nella penisola arabica si costituì un nuovo impero che estinse quello persiano dominato dalla dinastia sasanide, mutilò gravemente quello bizantino e finì per estendersi dalla Spagna all’India. Questa impresa, che è stata definita “la più grande rivoluzione politica del mondo antico” (Brown), ebbe inizio con l’affermazione di un nuovo monoteismo, predicato dal profeta Maometto, che riuscì per la prima volta a coinvolgere nello stesso progetto religioso e politico le diverse tribù che abitavano l’Arabia. Alla morte di Maometto (632) i suoi seguaci avevano già convertito tutta la penisola. Nel periodo in cui dominarono i 4 luogotenenti del profeta (in arabo califfi) si cercò di mantenere una netta separazione tra conquistatori e conquistati e l’impero ebbe la sua affermazione più spettacolare giungendo a comprendere l’intera regione mediorientale e parte del Nord-africa. Nella fase successiva (661-750), caratterizzata dai califfi della dinastia omayyade, che stabilirono la capitale nella città di Damasco, la separazione cominciò a cedere il passo a diverse forme di integrazione. Le conquiste si estesero a est fino all’Indo mentre a ovest si completò la conquista del Maghreb e si arrivò, attraverso la Spagna, alla Francia meridionale. Nei due secoli seguenti, con l’avvento della dinastia abbaside (750-945), che fondò la città di Baghdad stabilendovi la nuova capitale, le conquiste finirono e si provvide a consolidare l’amministrazione. Nella cornice del nuovo impero si formarono una serie di regni dominati da dinastie locali, destinati a sopravvivere all’impero stesso e a consegnare ai posteri l’eredità del mondo arabizzato.
Bibliografia
La formazione dell’Europa cristiana: universalismo e diversità / P. Brown. – Laterza, 1995
L’Islam e l’Europa / P. Guichard. – In: Storia dell’Europa, vol. 3: Il medioevo. – Einaudi, 1994
Storia delle società islamiche / J. M. Lapidus. – Einaudi, 1993
Maometto / M. Rodinson. – Einaudi, 1973
Maometto: la sua vita, la sua fede / T. Andrae. – Laterza, 1981
Orientalismo / E. Said. – Bollati Boringhieri, 1991
Cap. 7. I Franchi e l’Europa carolingia, secoli 6-9
Riassunto
Il giorno di Natale dell’anno 800 Carlo Magno, re dei Franchi, fu incoronato imperatore da papa Leone 3. Questa incoronazione ratificava l’esistenza di un nuovo, ampio impero, che si estendeva dalla Catalogna all’Italia centrale e che riuniva gran parte della cristianità occidentale. A lungo gli storici hanno voluto vedere in questo regno, tradizionalmente definito come impero carolingio, l’epoc ain cui si sono poste le basi costitutive di alcune nazioni odierne oppure un primo esempio di Europa unita, proiettando in tal modo nel passato categorie politiche e culturali odierne. Oggi questo periodo viene analizzato soprattutto come un’età di sperimentazione, durante la quale una società multietnica cercò di fondere la tradizione germanica con quella romana, dando vita a forme di organizzazione politica ed economica destinate a lasciare tracce profonde nella storia europea.
Bibliografia
L’impero carolingio / H. Fichtenau. – Laterza, 1974
L’Europa carolingia e la sua dissoluzione / G. Sergi. – In: Storia del cristianesimo: il Medioevo / a cura di G. Filoramo…et al. – Laterza, 1997
Le ideologie politiche del Medioevo / G. Tabacco. – Einaudi, 2000
I Carolingi: una famiglia che ha fatto l’Europa / P. Riché. – Sansoni, 1988
Carlo Magno: un padre dell’Europa / A. Barbero. – Laterza, 2000
Carlo magno / M. Becher. – Il Mulino, 2000
L’Italia carolingia / G. Albertoni. – Carocci, 1997
Cap. 8. Conti e vassalli, feudi e comitati, secoli 8-10
Riassunto
Efficaci forme di organizzazione sociale e politica si realizzarono nel regno dei Franchi tra 7 e 8 secolo. Su di esse si fondò l’affermazione dei Carolingi nell’Europa occidentale durante il regno di Pipino il Breve e del figlio Carlo, e con la nascita dell’Impero tali modelli organizzativi si diffusero nei vasti territori soggetti alla dinastia carolingia.
Queste forme istituzionali sono state per lungo tempo accomunate dalla storiografia con l’aggettivazione “feudale”: feudali sono state definite le forme di organizzazione sociale, ovvero il fatto che le persone fossero legate da rapporti di fedeltà personale; feudali le forme di organizzazione politica, ossia l’attribuzione a fedeli delle cariche pubbliche; feudali le forme di organizzazione economica, ossia il sistema curtense e lo sfruttamento economico dei “benefici” o feudi.
Non solo: la storiografia tradizionale spesso utilizza il termine “feudale” per definire, senza distinzioni, l’insieme di questi fenomeni politici e socio-economici, sia che si tratti della loro fase di nascita nel regno dei Franchi e nell’Impero carolingio (secoli7-11), sia delle forme che assunsero durante l’età signorile (10-11 secolo), sia infine della ricomposizione istituzionale del 12 e 13 secolo. La storiografia attuale tende invece a distinguere nei tempi e nei modi questo insieme estremamente diversificato di situazioni.
Bibliografia
Che cos’è il feudalesimo? / F. L. Ganshof. – Einaudi, 1989
Sperimentazioni del potere nell’alto Medioevo / G. Tabacco. – Einaudi, 1993
Cap. 9. Economia e paesaggi, secoli 5-10
Riassunto
Da quasi due secoli gli storici discutono sulle modalità e le ragioni della grande trasformazione che interessò l’economia europea tra 500 e 1000. La difficoltà di questa discussione è legata anche alla scarsità delle fonti disponibili per questi secoli e alla conseguente necessità di ricorrere a congetture. Su almeno due punti, tuttavia, la maggior parte degli studiosi si trova d’accordo: il declino demografico e l’impoverimento materiale. Nei 4 secoli tra 200 e 600 la popolazione europea diminuì drasticamente, per ricominciare a crescere solo verso il 700 e toccar attorno al 1000 un livello (forse 30-40 milioni) vicino a quello di partenza. Altrettanto evidente è la diminuzione complessiva di ricchezza. E’ stato osservato come dal 7 secolo non vi sia traccia di edilizia monumentale né della presenza – indice di un commercio attivo – di ceramica africana nel Mediterraneo (Wickham). A partire invece dal secolo 8, soprattutto in virtù di un nuovo modo di sfruttamento della terra, la ricchezza sembra ricomparire, pur senza raggiungere il livello e la diffusione dell’età tardo-antica. Come e perché si sia passati dal primo all’ultimo scenario è ancora argomento di dibattito
Bibliografia
L’azienda curtense in Italia: proprietà della terra e lavoro contadino nei secoli 8-11 / B. Andreolli, M. Montanari. – Clueb, 1985
Le campagne europee prima e dopo il mille: una società in trasformazione / a cura di B. Andreolli…et al. – Clueb, 1985
Maometto e Carlomagno / H. Pirenne. – Laterza, 1990
Economia naturale ed economia monetaria / A. Dopsch. – Sansoni, 1975
La società milanese nell’età precomunale / C. Violante. – Laterza, 1974
Traffici e mercati negli antichi imperi / a cura di K. Polanyi. – Einaudi, 1978
Guerrieri e contadini nel Medioevo: le origini dell’economia europea / G. Duby. – Laterza, 1975
L’economia degli antichi e dei moderni / M. Finley. – Laterza, 1974
La transizione dall’antichità al feudalesimo / K. Modzelewski. – In: Storia d’Italia, Annali 1: Dal feudalesimo al capitalismo. – Einaudi, 1978
Il tardo impero romano, 284-602 d. C. / A. H. M. Jonas. – Il Saggiatore, 1973-1981
La villa romana e la piantagione schiavistica / A. Carandini. – In: Storia di Roma, vol. 4.: Caratteri e morfologia. – Einaudi, 1989
L’alimentazione contadina nell’alto medioevo / M. Montanari. – Liguori, 1979
La fame e l’abbondanza: storia dell’alimentazione in Europa / M. Montanari. – Laterza, 1993
Popolazione e alimentazione: saggio di storia demografica europea / M. Livi Bacci. – Il Mulino, 1987
La servitù nella società medievale / M. Bloch. – La Nuova Italia, 1975
L’anno mille, il mondo si trasforma / G. Bois. – Laterza, 1991
Schiavi, servi e villani nell’Italia medioevale / F. Panero. – Paravia, 1999
Il sistema curtense: la produzione e lo scambio / P. Toubert. – Storia d’Italia, Annali 6. – Einaudi, 1983
Terra e società nell’Italia padana / V. Fumagalli. – Einaudi, 1976
Contadini su terre di signori: studi sulla contrattualità agraria altomedievale / B. Andreolli. – Clueb, 1999
Cap. 10. La città, secoli 4-10
Riassunto
L’Impero romano aveva basato il suo ordinamento civile e politico su un’ordinata rete di città. Il crollo di tale ordinamento determinò profonde trasformazioni del tessuto urbano: gli scambi di merci ad ampio raggio vennero meno, gli apparati amministrativi entrarono in crisi, la popolazione diminuì; la città perse in larga misura la sua funzione di centro di coordinamento del territorio. Si verificò allora un radicale cambiamento dei rapporti fra città e campagna, con il ridursi degli spazi urbani e un diffuso fenomeno di ruralizzazione degli abitanti.
Sul significato da dare a questo insieme di fenomeni gli studiosi non sono tuttavia concordi. Interpretando in maniera difforme sia le testimonianze scritte, sia quelle materiali offerte dall’indagine archeologica, alcuni insistono sull’idea di decadenza e riconoscono nella storia delle città una netta cesura, destinata a ricomporsi solo con la “rinascita” dei secoli successivi al Mille (come riteneva H. Pirenne) o già a iniziare dall’epoca carolingia (come ha sostenuto Cinzio Violante e come oggi generalmente si ammette). Altri studiosi preferiscono invece rilevare gli elementi di continuità che, pur con importanti cambiamenti sul piano materiale e istituzionale, garantirono la sopravvivenza e il rinnovamento delle funzioni urbane anche nei secoli di maggiore crisi.
Bibliografia
La città vescovile nell’alto Medioevo / G. Tabacco. – In: Modelli di città: strutture e funzioni politiche / a cura di P. Rossi. – Einaudi, 1987
Le città del Medioevo / H. Pirenne. – Laterza, 1971
La società milanese nell’età precomunale / C. Violante. – Laterza, 1974
Terra e società nell’Italia padana: i secoli 9 e 10 / V. Fumagalli. – Einaudi, 1976
Signori e vassalli nell’Italia delle città, secoli 9-12 / a cura di G. G. Marlo. – UTET, 1995
Cap. 11 Alfabetismo e cultura scritta, secoli 5-11
Riassunto
Dal 4 secolo la capacità di scrivere andò concentrandosi nelle mani di un numero sempre minore di persone. Tra la fine del 5 e l’inizio del 7 secolo, in coincidenza con la fine dell’impero, questo processo di intensificò. Si passò “da un tipo di libro inteso come strumento di lettura e trasmettitore di cultura, a un altro e opposto tipo di libro sentito e visto piuttosto come scrigno prezioso di misteri e a volte addirittura come venerando oggetto di culto” (Petrucci, Romeo). Questo processo era collegato alla “clericalizzazione della produzione letteraria e narrativa” che limitò ai soli ecclesiastici la produzione di tutte le scritture che non avessero un carattere “privato o comunque di circoscritta ed immediata utilità” (Cammarosano). Con l’Impero era venuto a mancare il sistema scolastico che aveva caratterizzato l’età tardo-antica. Il ridimensionamento del ruolo delle città e la scomparsa di una classe di funzionari da formare fecero si che la cultura scritta non si insegnasse più in strutture stabili. Rimasero le scuole cristiane, vescovili e monastiche, che anche i laici cominciarono a frequentare, e presero piede forme di trasmissione del sapere più privare e informali.
In età carolingia, tra 8 e 9 secolo, la tendenza verso una sempre più limitata alfabetizzazione non venne meno, anzi aumentò ai livelli sociali più bassi. Grazie all’azione dei sovrani carolingi, tuttavia, ai livelli più alti si moltiplicarono i centri di copiatura di codici, in particolare gli scriptoria situati presso i monasteri. Tanto nei contesti monastici quanto nelle corti maturarono esperienze culturali nuove, come la rinascita del classicismo e l’inizio di una nuova speculazione teologica e scientifica. Era il primo segno di una nuova stagione che sarebbe maturata nel secolo 12, quando, per una concomitanza di fattori economici e sociali, i laici tornarono ad affacciarsi alla ribalta della produzione culturale.
Bibliografia
Storia dell’alfabetizzazione occidentale / H. J. Graff. – Il Mulino, 1989
L’istruzione in Italia nei primi secoli del Medioevo / W. Giesebrecht. – Sansoni, 1985
Scriptores in urbibus: alfabetismo e cultura scritta nell’Italia altomedievale / A. Petrucci, C. Romeo. – Il Mulino, 1992
Educazione e cultura nell’occidente barbarico dal 6 al’8 secolo / P. Riché. – Armando, 1966
Le scuole e l’insegnamento nell’occidente cristiano: dalla fine del 5 secolo alla metà dell’11 secolo / P. Riché. – Jouvence, 1984
Le scuole medievali sino al 1300 / M. Deansley. – In: Storia del mondo medievale. – Garzanti, 1978
Istruzione ed educazione nel Medioevo / C. Frova. – Loescher, 1974
Italia medievale: geografia e storia delle fonti scritte / P. Cammarosano. – Carocci, 2000
Storia dell’Italia medievale, 410-1226 / O. Capitani. – Laterza, 1986
Libri e lettori nel Medioevo: guida storica e critica. – Laterza, 1977
Cap. 12. Le seconde invasioni e la ristrutturazione del territorio europeo, secoli 9-11
Riassunto
Tra i secoli 9 e 11 l’Europa occidentale fu teatro di nuove ondate migratorie che, in alcune regioni, modificarono profondamente gli assetti sociali, politici e territoriali. Si trattò di un fenomeno assai meno omogeneo rispetto alle “invasioni barbariche” dell’età tardo-antica. Ne furono protagoniste popolazioni di diversa provenienza, Saraceni, Normanni, Ungari, Slavi, che compirono incursioni devastanti ma diedero anche vita a nuovi stanziamenti. Data la quasi simultaneità di tali migrazioni, queste popolazioni furono percepite dai contemporanei come diverse facce di un unico pericolo e ciò ha indotto, sino a tempi recenti, la stessa storiografia ad analizzarli unitariamente, all’interno di un fenomeno definito come “seconde invasioni”. In realtà le loro vicende, pur incrociandosi, seguirono strade assai diverse.
Bibliografia
Le invasioni barbariche / C. Azzara. – Il Mulino, 1999
Gli slavi: le civiltà dell’Europa centrale e orientale / F. Conte. – Einaudi, 1991
Gli slavi occidentali e meridionali e l’area balcanica / S. Circovic. – In Storia d’europa, vol. 3. – Einaudi, 1994
Le incursioni ungare in Europa nel secolo 10 / G. Fasoli. – Sansoni, 1945
Castelli e villaggi nell’Italia padana / A. A. Settia. – Liguori, 1984
Dalla terra ai castelli: paesaggio, agricoltura e poderi nell’Italia medievale / P. Toubert. – Einaudi, 1995
La società feudale / M. Bloch. – Einaudi, 1949
I Normanni in Italia / D. J. A. Matthew. – Laterza, 1997
Normanni, svevi, angioini, aragonesi: il mezzogiorno d’Italia nel Medioevo / S. Tramontana. – Carocci, 2000
Cap. 13. Il trionfo dei poteri locali nelle campagne e nelle città, secoli 10-11
Riassunto
I secoli 10 e 11 in Europa furono caratterizzati da un sistema politico, sociale ed economico che è stato a lungo definito “feudale”, mentre la storiografia attuale preferisce designarlo come “ordinamento signorile” (Berthelemy). La tradizione storiografica ha spesso associato – a dire il vero abusivamente – l’aggettivo “feudale” al concetto di anarchia. Parlare di “ordinamento signorile” costituisce invece un modo per sottolineare l’importanza di considerare tale periodo per se stesso, piuttosto che come un’epoca di disordine e di trapasso fra la dissoluzione dell’impero carolingio e la nascita di nuove strutture politiche quali i comuni cittadini, i principati e i regni nazionali.
Bibliografia
Una società francese nel Medioevo: la regione di Macon nei secoli 11 e 12 / G. Duby. – Il Mulino, 1985
Dai re ai signori: forme di trasmissione del potere nel Medioevo / G. Tabacco. – Bollati Boringhieri, 2000
I confini del potere: marche e signorie fra due regni medievali / G. Sergi. – Carocci, 1998
Castelli e villaggi nell’Italia padana / A. A. Settia. – Liguori, 1984
Dalla terra ai castelli: paesaggio, agricoltura e poteri nell’Italia medievale / P. Toubert. – Einaudi, 1995
Terra e società nell’Italia padana: i secoli 9 e 10 / V. Fumagalli. – Einaudi, 1976
Cap. 14. Impero e regni nell’età post-carolingia, secolo 10
Riassunto
Dopo la deposizione di Carlo il Grosso, avvenuta nell’887, i vari territori dell’Impero carolingio conobbero sviluppi politici e istituzionali differenti, che si intrecciarono e sovrapposero all’affermazione di poteri a carattere locale. Questo processo di ridefinizione dei poteri è stato tradizionalmente interpretato in chiave negativa, come semplice fase di decadenza dell’organizzazione politico-amministrativa carolingia. Inoltre, a partire dai primi decenni del 19 secolo, la storiografia ha ricercato in questo periodo le “radici” degli stati nazionali odierni. Oggi entrambe queste interpretazioni sono rifiutate dalla maggior parte degli storici, che sottolineano la necessità di analizzare i regni post-carolingi non in funzione di altre realtà ma in se stessi, nella loro specificità.
Furono i poteri signorili a caratterizzare il 10 secolo e fu sulla loro base che si riorganizzò il potere regio. Esito di questo processo fu l’affermazione di un’organizzazione “policentrica” dei poteri (Tabacco), che caratterizzò sia i singoli regni, sia l’impero, il cui ruolo universalistico fu rilanciato proprio nella seconda metà del secolo 10 dagli imperatori della dinastia sassone.
Bibliografia
L’impero romano-germanico e la sua crisi, secoli 5-14 / G. Tabacco. – In: La storia. – UTET, 1986
Una sera dell’anno mille: scene di Medioevo / G. M. Cantarella. – Garzanti, 2000
Storia della Francia / a cura di G. Duby. – Bompiani, 1989
Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano / G. Tabacco. – Einaudi, 1979
Storia dell’Italia medievale, 416-1216 / O. Capitani. – Laterza, 1986
L’Italia dei poteri locali / L. Provero. – Carocci, 1998
Nobili e re: l’Italia politica dell’alto Medioevo / P. Camamrosano. – Laterza, 1998
Cap. 15. L’anno mille: continuità e trasformazioni
Riassunto
Da più di un secolo gli storici hanno smesso di pensare all’anno mille come momento di massima decadenza dell’Occidente, come l’epoca in cui un’umanità prostrata dall’ignoranza e dal pregiudizio credette che fosse giunta la fine del mondo. Tale idea nacque nel Rinascimento e costituì uno dei modi con cui la cultura europea manifestò il suo disprezzo verso i secoli ”rozzi” e “oscuri” dai quali usciva. Oggi una simile immagine è stata abbandonata. Molti studiosi, tuttavia, utilizzano ancora l’anno mille come momento di cesura tra due epoche. Si tratta naturalmente di una convenzione, ma è indubbio che, come tutte le convenzioni capaci di resistere a lungo, essa offre numerosi vantaggi ed è fondata su alcune bune ragioni. L’anno Mille rappresenta un confine ovvio essendo posto al centro esatto di un’epoca storica. Inoltre, il paragone tra la società europea dell’età carolingia e quella del 1050 rivela una serie di decisivi cambiamenti dal punto di vista politico, economico e sociale. Al tempo stesso, non si può dare a questa convenzione un valore troppo ampio o rigido. Non è mancato, soprattutto in passato, chi con un salto logico ha tentato di leggere l’anno Mille come punto di svolta tra l’età antica e la moderna, cercandovi – con molta fantasia – le prime manifestazioni di elementi tipici della modernità come il capitalismo o la formazione della classe borghese. Oggi il dibattito si è spostato su un problema più specifico, la cosiddetta “mutazione feudale”. Da un lato sono schierati quanti sostengono che attorno al Mille si verificò una mutazione rapida e radicale, capace di cancellare il volto dell’Europa carolingia e di produrre una nuova società fondata sulla signoria territoriale e sui rapporti feudali, che sarebbe durata almeno fino alla riaffermazione del potere regio nei secoli 12 e 13. Dall’altro si pongono quanti pensano che il cambiamento si ebbe in virtù di un’evoluzione lenta e graduale, fatta di aggiustamenti progressivi.
Bibliografia
L’anno mille: storia religiosa e psicologia collettiva / G. Duby. – Einaudi, 1976
L’attesa della fine dei tempi nel Medioevo / a cura di O. Capitani e J. Miethike. – Il Mulino, 1990
Maometto e Carlomagno / H. Pirenne. – Laterza, 1969
Tecnica e società nel Medioevo / L. White jr. – Feltrinelli, 1967
Storia minima della popolazione del mondo / M. Livi Bacci. – Mondadori, 1998
La popolazione italiana dal Medioevo ad oggi / L. Del Panta…et al. – Laterza, 1996
Economia preindustriale: mille anni dal 9 al 18 secolo / P. Malanima. – Bruno Mondadori, 1995
Storia economica dell’Europa preindustriale / C. M. Cipolla. – Il Mulino, 1997
L’infanzia dell’Europa: economia e società dal 10 al 12 secolo / R. Fossier. – Il Mulino, 1987
L’anno mille: il mondo si trasforma / G. Bois. – Laterza, 1991
Il secolo 11: una svolta? / a cura di C. Violante…et al. – Il Mulino, 1993
Cap. 16. Il nuovo monachesimo e la riforma della Chiesa, secoli 10-12
Riassunto
L’integrazione di vescovi e abati nella gestione del potere, già praticato in età carolingia, si diffuse in forme nuove nel corso del 10 secolo, l’età di affermazione dei poteri locali. Fu allora che numerose famiglie aristocratiche cercarono di impossessarsi in maniera duratura della cariche ecclesiastiche; a loro volta, vescovi e abati cercarono di mettere in atto i privilegi di esenzione e di immunità, costituendo delle aree di dominio signorile del tutto simili a quelle che, parallelamente, venivano costruite dai signori laici. Inoltre, nei medesimi anni si affermò il sistema delle “chiese private”, ovvero la fondazione, da parte di esponenti di famiglie eminenti, di chiese poste direttamente sotto il loro controllo. Questo processo di rafforzamento delle istituzioni ecclesiastiche a livello locale coincise con l’indebolimento del papato, sempre più in balia di famiglie dell’aristocrazia romana che spesso avevano imposto alla guida della chiesa personalità non adeguate al compito che avrebbero dovuto svolgere. La restaurazione dell’Impero attuata dagli Ottoni, il loro ricorso a strumenti ideologici di derivazione carolingia e la loro prassi politica orientata a un forte controllo dell’episcopato resero ancora più evidente la crisi della chiesa romana. Si sentì pertanto, in molti ambiti ecclesiastici, l’esigenza di riorganizzare la chiesa e, soprattutto, di ripristinare l’autorità morale e politica della sua guida, il papa. Frattanto, la scarsa autorevolezza di alcuni papi e il comportamento di molti vescovi e abati, che agivano più come esponenti di un’aristocrazia militare che come guide spirituali, contribuirono alla nascita di movimenti religiosi “paureristici”, che mettevano in discussione o rifiutavano la chiesa come istituzione e proponevano un ritorno agli ideali del cristianesimo evangelico. Presero corpo in tal modo progetti diversi di riforma della chiesa, interni ed esterni alla sue istituzioni.
Bibliografia
Chiesa, chiese, movimenti religiosi / G. M. Cantarella…et al. – Laterza, 2001
Il papa e il sovrano: Gregorio 7 e Enrico 6 nella lotta per le investiture / a cura di G. M. Cantarella…et al. – Europia, 1985
Medioevo riformato del secolo 11: Pier Damiani e Gregorio 7 / G. Fornasari. – Liguori, 1996
Tradizione e interpretazione: dialettiche ecclesiologiche del secolo 11 / O. Capitani. – Jouvence, 1990
Chiesa gregoriana: ricerche sulla riforma del secolo11 / G. Miccoli. – La Nuova Italia, 1966
I monaci di Cluny / G. M. Cantarella. – Einaudi, 1993
La pataria: lotte religiose e sociali nella Milano dell’11 secolo / P. Golinelli. – Europia, 1984
Matilde e i Canossa nel cuore del Medioevo / P. Golinelli. – Camunia, 1991
Matilde di Canossa: potenza e solitudine di una donna del Medioevo / V. Fumagalli. – Il Mulino, 1996
Cap. 17. La costruzione delle monarchie feudali, secoli 11-12
Riassunto
In molte zone d’Europa tra la fine del secolo 11 e la fine del 12 il panorama politico cambiò. La forte pluralità di signorie e principati territoriali lasciò progressivamente il campo a monarchie capaci di esercitare di esercitare la propria egemonia su porzioni crescenti di territorio e sui poteri che in questo territorio si erano radicati. Questo processo di ricomposizione politica e territoriale, in virtù del quale si delineò il quadro di riferimento della successiva storia europea, ebbe sviluppi diversi in Francia, in Inghilterra, nell’Italia meridionale e nelle penisola iberica. Comune fu, tuttavia, l’importante ruolo assunto dalle relazioni vassallatico-beneficiarie. Le nuove monarchie se ne servirono, modificandole in un senso nuovo, per affermare e mantenere la propria superiorità rispetto ai principi e ai signori locali. La novità fu rappresentata quindi dall’emergere (di volta in volta per cause diverse. Nuove conquiste, relazioni diplomatiche con altri poteri, vicende dinastiche) di casate desiderose di presentarsi come superiori rispetto al pullulare di poteri locali. Queste casate provvidero a ristrutturare le relazioni feudali e a inquadrare i soggetti politici esistenti. Particolarmente sentita fu l’esigenza di ridurre il margine di autonomia dei nobili più potenti, non solo richiedendo loro la prestazione dell’omaggio feudale, ma anche promuovendo nuovi strumenti di controllo tramite riforme amministrative e giudiziarie e tramite una redazione scritta di elenchi di diritti. All’inizio del 13 secolo, nei territori in cui era avvenuta questa ristrutturazione in senso monarchico, i signori, come anche le comunità urbane e rurali e le chiese, apparivano ancora dotati di potere, ma tali poteri erano disposti all’interno di una nuova struttura politica gerarchica che aveva il proprio vertice il sovrano.
Bibliografia
I re taumaturghi / M. Bloch. – Einaudi, 1973
I due corpi del re / E. Kantorowicz. –Einaudi, 1989
Principi e corti: l’Europa del secolo 12 / G. M. Cantarella. – Einaudi, 1997
Il regno normanno di Sicilia / M. Caravale. – Giuffrè, 1996
I Normanni in Italia / D. Matthew. – Laterza, 1997
Cap. 18. Società cittadina e origine degli ordinamenti comunali, secoli 11-12
Riassunto
Tra la fine dell’11 e gli inizi del 12 secolo nacquero e progressivamente si definirono all’interno delle società urbane ordinamenti e magistrature tendenzialmente indipendenti dai rappresentanti dei poteri tradizionali, che miravano all’autogoverno delle comunità.
L’origine e lo sviluppo dei comuni cittadini costituiscono uno degli argomenti su cui maggiormente si cono esercitati gli storici italiani a partire dai primi decenni dell’Ottocento, quando si volle leggere in tale fenomeno la manifestazione della rivolta dello spirito nazionale italiano contro la dominazione imperiale germanica, trasponendo ai secoli passati il concetto e le tensioni politiche di quegli anni. Tale indirizzo ideologico dato allo studio die comuni cittadini ha provocato nel secondo Novecento la reazione di molti storici italiani e stranieri, che hanno contestato la centralità assoluta del fenomeno comunale nella storia italiana e proposto, invece, una rilettura delle vicende dei secolo 11 e 12 in rapporto con le contemporanee vicende europee, valorizzando lo studio delle campagne e dei poteri signorili. Proprio questo nuovo orientamento storiografico, tuttavia, consentendo una valutazione meno ideologica e più concreta della realtà cittadina e comunale italiana, ha fatto emergere, nel confronto con le altre realtà europee, i tratti assolutamente originali e caratteristici delle vicende urbane nell’Italia centro-settentrionale.
Bibliografia
Signori e vassalli nell’Italia delle città, secoli 9 e 12 / H. Keller. – Einaudi, 1995
Italia medievale: struttura e geografia delle fonti scritte / P. Cammarosano. – NIS, 1991
Cap. 19. La nascita della cavalleria e l’invenzione delle crociate, secoli 11-13
Riassunto
A partire dal 10 secolo nelle fonti di diverse regioni europee si affaccia sempre più frequentemente il termine, miles, già utilizzato nei secoli precedenti con accezioni di colta in volta differenti, che andavano dal significato più generico di guerriero, a piedi o a cavallo, a quello più tecnico di vassallo. Ma chi erano i miles attorno al Mille? A questa domanda, in apparenza semplice, sono state date dagli storici risposte profondamente diverse, perché essa si intrecci con altre questioni cruciali per comprendere l’organizzazione sociale dell’epoca, a cominciare dalla definizione di nobiltà e di feudalesimo fino ad arrivare alle crociate.
Bibliografia
La società feudale / M. Bloch. – Einaudi, 1974
Cavalieri e cavalleria nel Medioevo / J. Flori. – Laterza, 1985
Nella Francia nord-occidentale del 12 secolo: i “giovani” nella società aristocratica / G. Duby. – In: Terra e nobiltà nel Medioevo. – SEI, 1971
Lo specchio del feudalesimo: sacerdoti, guerrieri e lavoratori / G. Duby. - Laterza, 1980
Santiago di Compostela: il pellegrinaggio medievale / G. Cherubini. – Protagon, 1998
La civiltà dell’Occidente medievale / J. Le Goff. – Einaudi, 1981
Storia delle crociate / S. Runciman. – Einaudi, 1966
L’invenzione delle crociate / C. Tyerman, . Einaudi, 1998
Colonialismo medievale: il regno latino di Gerusalemme / J. Prawer. – Jouvence, 1982
Cap. 20. L’impero bizantino e l’est europeo, secoli 7-15
Riassunto
Gli storici hanno discusso a lungo su quale data segni il momento in cui non si può parlare di impero romano d’Oriente bensì di un impero bizantino con caratteristiche diverse rispetto alla tradizione antica. Una recente proposta metodologica ha indotto a spostare l’attenzione dal dato cronologico a quello geografico: “le sorti dell’impero seguono quelle del suo territorio” (Guillou). La storia bizantina comincia allora con la ridefinizione territoriale conseguente alle conquiste di Arabi, Slavi e Bulgari. A partire da questo momento essa può essere suddivisa in alcune fasi, scandite da rilevanti modifiche dell’estensione dell’Impero: una prima fase (secoli 8-9) di riassestamento politico-amministrativo di ciò che restava dell’antico impero; una seconda (secoli 9-10) di rinnovata espansione; una terza (secoli 11-12) ancora di ripiegamento fino alla massima contrazione provocata dalle conquiste degli occidentali con la quarta crociata (1204-1259); infine, un tentativo di riaccorpamento proseguito fra molte difficoltà fino alla conquista dell’Impero da parte dei Turchi (1453).
Bibliografia
Storia dell’impero bizantino / G. Ostrogorsky. – Einaudi, 1968
Il millennio bizantino / H. G. Beck. – Salerno, 1981
Potere e società a Bisanzio: dalla fondazione di Costantinopoli al 1204 / M. Gallina. – Einaudi, 1995
Cap. 21. Il rinnovamento culturale, secolo 12
Riassunto
I testi scritti, che rappresentano il principale strumento di lavoro degli storici, in Europa si moltiplicano enormemente a partire dal secolo12. Tale vera e propria esplosione, facilmente percepibile a chi osservi cataloghi di biblioteche ed inventari di archivi, costituisce il segno di un processo importante. La ripresa di una tradizione culturale laica che pone fine al monopolio ecclesiastico sulla produzione e la conservazione di scritture. Questa novità è alla base di una serie di fenomeni distinti ma tutti connessi all’ampliarsi del numero delle persone alfabetizzate al di fuori della cerchia dei chierici: l’origine dell’università, la riscoperta del diritto romano e del sapere greco, la prima scrittura delle lingue neolatine.
Bibliografia
La società medievale / a cura di S. Collodo…et al. – Monduzzi, 1999
Libri e lettori nel Medioevo: guida storica e critica / a cura di G. Cavallo. – Laterza, 1998
Gli intellettuali nel Medioevo / J. Le Goff. – Mondadori, 1989
Le origini dell’università / a cura di G. Arnaldi. – Il Mulino, 1974
La rinascita del 12 secolo / C. H. Haskins. – Il Mulino, 1972
La filosofia nel Medioevo / E. Gilson. – La Nuova Italia, 1990
Sant’Agostino e la fine della cultura antica / H.-I. Marrou. – Jaca Book, 1987
Cap. 22 L’Impero e la dinastia sveva, secoli 12-13
Riassunto
Quando Federico di Svevia, detto il barbarossa, divenne re di Germania e poi fu incoronato imperatore, l’autorità imperiale tornò ad essere protagonista delle vicende europee dopo quasi cinquant’anni di relativo silenzio. Tuttavia, nell’arco di sole tre generazioni della casata di Svevia, l’impero passò da una fase di rinnovata affermazione del suo ruolo a una fine senza appello del concetto stesso di potere universale che gli era connaturato.
Le complesse vicende che videro protagonisti i sovrani svevi – Federico 1, Enrico 6 e Federico 2 – solo legate da un comune denominatore, ossia il tentativo di definire giuridicamente, attraverso il recupero del diritto romano da una parte e la formalizzazione di un diritto feudale dall’altra, gli ambiti legittimi di azione del potere imperiale. La loro attività, seppure talvolta estremamente efficace, venne contrastata da molteplici forze ostili nello scenario dei territori a loro formalmente soggetti: sia il regno germanico che l’Italia del centro-nord avevano vissuto nei primi decenni del 12 secolo sviluppi politici e istituzionali di tale portata da rendere, nel lungo periodo, inefficace la robusta azione dei sovrani della dinastia sveva.
Bibliografia
Federico 2 imperatore / E. Kantorowicz. – Garzanti, 1988
Federico 2: un imperatore medievale / D. Abulafia. – Einaudi, 1990
Cap. 23. I comuni italiani, secoli 12-14
Riassunto
Nel corso dei secoli 12-14 nei comuni dell’Italia centro-settentrionale la conformazione dell’aristocrazia cittadina e il sistema di governo cambiarono profondamente. Nel 1150 i comuni non erano ancora stati ti riconosciuti dall’imperatore, che formalmente li dominava detenendo la corona del regno d’Italia. Con la pace di Costanza del 1183 l’impero riconobbe la legittimità dei governi autonomi delle città italiane, aprendo la strada a uno sviluppo sociale e istituzionale che nel giro di due secoli modificò il paesaggio politico della penisola. L’impero e le signorie locali cessarono di essere le principali strutture di inquadramento dei territori e cedettero il passo a una molteplicità di regimi cittadini, disposti secondo reti di alleanza che si sarebbero col tempo trasformate in più vaste coordinazioni politiche. Attorno al 1350, dagli stessi comuni si erano sviluppati ampi stati territoriali la cui salute politica era ben più florida di quella dell’impero stesso.
Bibliografia
Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano / G. Tabacco. – Einaudi, 1979
Cap. 24. Il consolidamento dei regni europei, secolo 13
Riassunto
Lo storico francese Jacques Le Goff ha affermato di recente che uno degli aspetti fondamentali della storia europea del 13 secolo è costituito dalla “irresistibile ascesa delle monarchie e dello stato che esse costituiscono”. Infatti, dopo la difficile costruzione delle monarchie su base feudale avvenuta nel secolo precedente, nel corso del Duecento si ebbe in gran parte dell’Occidente europeo, in modi e tempi diversi, un ulteriore rafforzamento del potere monarchico, proprio mentre tramontavano le idee universalistiche di potere legate all’impero e al papato. Spesso questo rafforzamento è stato interpretato come un primo passo verso l’affermazione dello stato moderno, attraverso un’analisi che potremmo definire finalistica. In altri termini, a partire dall’idea di stato che si affermò nel Cinquecento e nel Seicento, si è cercato di rintracciare nel passato le origini di un percorso che, appunto, sarebbe sfociato nello stato assoluto di età moderna. Oggi invece si preferisce analizzare la formazione duecentesca di un nuovo modello di stato monarchico come un processo di grande interesse in sé, al di là degli sviluppi successivi, , che non sono sempre lineari né basati su un semplice rapporto di evoluzione progressiva.
Bibliografia
Il basso Medioevo / J. Le Goff. – Feltrinelli, 1967
Il medioevo da Ugo Capeto a Giovanna d’Arco, 987-1460 / G. Duby. – Laterza, 1993
Storia dell’Inghilterra da Cesare ai giorni nostri / K. G. Morgan. – Bompiani, 1993
Storia del Medioevo / S. Claramunt…et al. – B. Mondadori, 1997
Cap. 25. Papato universale e stato della chiesa, secoli 12-14
Riassunto
Come le monarchie europee e i comuni italiani, anche il papato romano cominciò fra 9 e 12 secolo a riorganizzarsi dal punti di vista territoriale, istituzionale e amministrativo, giungendo, già nel corso del Duecento, a esercitare il suo potere su soggetti politici sino a quel momento dotati di autonomia e indipendenza (nobili, città, chiese). Rispetto ai regni e ai regimi comunali, tuttavia, il papato ebbe alcune specificità, come il prestigio spirituale da esso rivendicato nel corso della lotta per le investiture o il carattere elettivo della propria monarchia. Queste caratteristiche pesarono fortemente nel modello di organizzazione che esso si diede, sia come potere temporale all’interno di un territorio determinato (lo stato pontificio), sia come vertice della gerarchia ecclesiastica, sia, infine, come autorità spirituale e punto di riferimento universale per l’intera cristianità
Bibliografia
Il trono di Pietro: l’universalità del papato da Alessandro 3 a Bonifacio 8 / A. Paravicini Bagliani. – Carocci, 1996
Il nepotismo nel Medioevo / S. Carocci. – Viella, 1999
Cap. 26. Eresie e ordini mendicanti, secoli 12-14
Riassunto
Le vicende religiose e politiche che dall’11 secolo videro protagonista la chiesa di Roma furono decisive per l’affermarsi di un coerente dominio temporale soggetto al papato, ma causarono forti disagi all’interno della cristianità occidentale, che nell’azione dei pontefici vedeva dimenticati gli ideali evangelici. La risposta del potere ecclesiastico alle correnti religiose, spontaneamente originate da tali disagi fu duplice: alcuni movimenti, anche di radicale contestazione, furono ricondotti nel seno della chiesa; altri furono condannati sia sul piano teologico che sul piano giudiziario, e qualificati come “eresie”. Essi avevano un immediato riflesso politico, non solo perché sovvertivano l’ordinamento ecclesiastico con la creazione di chiese parallele e in alcuni casi minacciavano la pace sociale, ma anche perché, con la loro stessa esistenza, intaccavano l’autorità della chiesa di Roma mettendone in discussione il monopolio dottrinale.
Bibliografia
L’eresia medievale / O. Capitani. – Patron, 1971
Medioevo ereticale / O. Capitani. – Patron, 1977
L’eresia del male / R. Manselli. – Morano, 1980
eretici ed eresie medievali / G. G. Merlo. – Il Mulino, 1989
Movimenti religiosi e serre ereticali nella società medievale italiana / G. Volpe. – Donzelli, 1997
La storia religiosa / G. Miccoli. – In: Storia d’Italia, vol. 2 t. 1. – Einaudi, 1974
Ordini mendicanti e società italiana, 13-15 secolo / A. Vauchez. – Il Saggiatore, 1990
Francesco d’Assisi e il primo secolo di storia francescana. – Einaudi, 1997
Francesco e l’invenzione delle stimmate / C. Frugoni. – Einaudi, 1993
San Francesco d’Assisi / J. Le goff. – Laterza, 2000
Fra’ Dolcino: nascita, vita e morte di un’eresia medievale / a cura di R. Orioli. – Europea, 1987
Eretici del medioevo / L. Paolini. – Patron, 1989
Cap. 27. Crisi e nuovi equilibri, secolo 14
Riassunto
La storia del 14 secolo è segnata da alcuni eventi drammatici, quali la serie di cattivi raccolti che a più riprese colpirono le campagne europee, la peste che si diffuse in tutta Europa a partire dal 1348, le rovonose campagne militari in cui furono impegnati gli eserciti delle maggiori monarchie. Questi eventi presero corpo in un contesto economico-sociale dagli equilibri precari, che, al termine di una prolungata fase di espansione, ne fece scoppiare le contraddizioni lasciando il campo a una profonda depressione.
Sarebbe tuttavia riduttivo definire il Trecento esclusivamente come un’età di crisi. Lo sconvolgimento degli equilibri economici, oltre a causare forti tensioni sociali nelle città e nelle campagne, fu anche l’occasione per avviare una generale riorganizzazione produttiva, che pose le basi dell’economia moderna.
Bibliografia
Storia economica e sociale del Medioevo / H. Pirenne. – Garzanti, 1967
La peste nera e la fine del medioevo / K. Bergdolt. – Piemme, 1997
Medioevo: i caratteri originali di un’età di transizione / G. Vitolo. – Sansoni, 2000
L’economia rurale nell’Europa medievale: Francia, Inghilterra, Impero, secoli 9-15 / G. Duby. – Laterza, 1976
I contadini nella storia d’Europa / W. Rosener. – Laterza, 1995
L’Italia delle città: il popolamento urbano tra Medioevo e Rinascimento / L. Sandri. – Le Lettere, 1990
Signori contadini borghesi: ricerche sulla società italiana del basso Medioevo / G. Cherubini. – La Nuova Italia, 1974
Cap. 28. Gli stati regionali in Italia, secoli 14-15
Riassunto
Il processo di ricomposizione territoriale che in molte aree d’Europa aveva preso avvio sin dal 12 secolo a opera delle grandi monarchie, in Italia era stato condotto dalle città comunali. Attraverso la conquista del contado, i comuni cittadini avevano contribuito alla riduzione del numero complessivo dei poteri presenti sul territorio. Ma questa riduzione non era andata oltre un certo limite. Paragonate alle corone e ai principati europei le città-stato italiane erano riuscite a estendere il proprio controllo solo su aree di piccole dimensioni. Questa situazione cominciò a cambiare verso al fine del Duecento. A partire da allora, fino alle metà del Quattrocento, il pulviscolo di poteri che comprendeva i comuni e le signorie territoriali che avevano resistito alla loro espansione lasciò il posto a cinque stati regionali, con l’eccezione di poche aree si dividevano l’intera penisola. Non si trattò di un’evoluzione indolore, poiché il progressivo ridursi dei soggetti politici fu l’esito di una lunga serie di guerre, al termine delle quali i poteri più forti inglobarono quelli più deboli. Inoltre, queste guerre non si limitarono a selezionare gli stati esistenti, ma li cambiarono profondamente nella loro struttura interna, innescando la necessità di maggiori entrate e favorendo così lo sviluppo di nuovi meccanismi di prelievo economico.
L’estensione territoriale – resa possibile dalle nuove entrate – portò infine gli stati a promuovere importanti riforme amministrative e operazioni diplomatiche tramite le quali, fra Tre e Quattrocento, essi rifondarono le relazioni con i poteri che avevano assoggettato.
Bibliografia
Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano / G. Tabacco. – Einaudi, 1979
Le signorie / L. Simeoni. – Vallardi, 1950
La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello Stato del Rinascimento / a cura di G. Chittolini. – Il Mulino, 1979
Cap. 29. Verso la formazione degli stati nazionali, secoli 14-15
Riassunto
Nel corso del Trecento e del Quattrocento i regimi monarchici che si erano sviluppati in Europa nei due secoli precedenti vennero stabilizzandosi sul piano dell’organizzazione politico-amministrativa e dell’estensione territoriale. Questa fase storica è stata spesso individuata come il momenti di passaggio verso lo stato “nazionale” di età moderna. Ma tale prospettiva pecca di eccessiva semplificazione, poiché il processo di costruzione delle monarchie nazionali – che in ogni caso solo in parte prefigurano lo stato moderno – riguardò esclusivamente alcune realtà politiche, in particolar ei regni di Francia e di Inghilterra che, dopo un conflitto durato più di un secolo, assunsero una fisionomia stabile, destinata a durare nel tempo. In altre regioni europee continuarono invece a prevalere i poteri territoriali di ambito regionale, che diedero luogo a una vasta frammentazione politica.
Bibliografia
Crisi di poteri e politologia in crisi / C. Dolcini. – Patron, 1988
La formazione degli stati nazionali nell’Europa occidentale / a cura di C. Tilly. – Il Mulino, 1984
L’Occidente nei secoli 14 e 15: gli stati / B. Guenee. – Mursia, 1992
Aquile e leoni: stato e nazione in Europa / H. Schulze. – Laterza, 1994
Le ideologie politiche nel Medioevo / G. Tabacco. – Einaudi, 2000
Cap. 30. L’invenzione del Medioevo
Riassunto
Medioevo: in un testo di storia medievale sembrerebbe impossibile non usare mai questo termine. Ma proprio questa è stata la sfida del libro che giunge qui al capitolo conclusivo: in nessun caso – tranne che nel titolo di apertura – si è fatto uso della parola “Medioevo” o dell’aggettivo “medievale”. Non presumiamo che il lettore se ne sia accorto, ma è questo il momenti di farglielo notare perché la nostra scelta non è stata solo un abile gioco di prestigio ma un modo per comunicare un’idea che ci sta particolarmente a cuore: il medioevo non esiste se non come invenzione moderna. E’ un concetto che si sviluppa a iniziare dal 15 secolo, che non ha nulla a che vedere con la realtà dei secoli cosiddetti medievali e che pertanto abbiamo deciso di trattare solo al termine del nostro percorso cronologico, quando effettivamente una storia del Medioevo, o meglio dell’idea di Medioevo, comincia a essere possibile.
Bibliografia
Viaggio intorno al concetto di Medioevo / L. Gatto. – Bulzoni, 1992
Introduzione allo studio della storia medievale / P. Delogu. – Il Mulino, 1994
Sperimentazioni del potere nell’alto Medioevo / G. Tabacco. – Einaudi, 1993
Medioevo passato prossimo: appunti storiografici: tra due guerre e molte crisi / O. Capitani. – Il Mulino, 1979
Introduzione allo studio della storia medievale / F. Natale, E. Pispisa. – Intilla, 1986
Guida allo studio della storia medievale / C. Dolcini. – UTET, 1992
Scrivere storia / V. Fumagalli. – Laterza, 1995
Storia medievale di Provero Vallerani
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Storia medievale / Provero Vallerani
Bibliografia generale
L’eredità di Roma: storia di Roma dal 400 al 1000 d. C. / C. Wickham. – Laterza, 2014
Tempi barbarici: l’Europa occidentale tra antichità e Medioevo, 300-900 / S. Gasparri, C. La Rocca. – Carocci, 2012
La caduta di Roma e la fine della civiltà / B. Ward-Perkins. – Laterza, 2005
Parte prima: La trasformazione del mondo romano
Introduzione
L’idea di Medioevo nasce quando il Medioevo finisce: furono gli umanisti, a partire dal secolo 15., a individuare un periodo di mezzo (una ‘media aetas’) che si frapponeva tra loro e l’età classica, a cui volevano richiamarsi. E’ quindi un’idea che nasce in un momento storico preciso e con intenti chiari: affermare la propria diretta discendenza dalla cultura classica e connotare il millennio precedente come un intermezzo, un periodo di barbarismi e di declino linguistico e culturale, una rottura che andava sanata. Il giudizio negativo sul medioevo, nato sul piano culturale, non faticò a estendersi alla valutazione delle forme politiche e della società: gli uomini del Rinascimento, formati in una cultura che vedeva nello Stato il modello politico più alto, guardavano con perplessità e disprezzo il Medioevo e soprattutto i suoi ultimi secoli, con l’altissima frammentazione dei poteri di cui gli stati rinascimentali apparivano come una cura.
Come tutte le periodizzazioni storiche, il Medioevo è quindi una convenzione, e come tale deve essere trattato: uno strumento concettuale, utile se ci permette di comprendere meglio il passato. Ovviamente nessuno può pensare che il millennio medievale esprima una civiltà omogenea e compatta, che sia un blocco unico che può essere letto come un insieme indifferenziato. Ma la nozione di Medioevo resta utile perché indica un periodo che si colloca tra due fasi di profondo mutamento pressoché di tutte le forme della vita associata: da un lato la trasformazione del mondo romano, tra 4. E 6. Secolo; dall’altro la formazione dell'Europa moderna, un migliaio di anni dopo.
Torneremo alla fine del volume sui cambiamenti che tra 14 e 16 secolo rivoluzionarono l’Europa occidentale e che – nella periodizzazione più comunemente accettata – pongono fine al Medioevo. I quattro capitoli della prima parte del volume intendono presentare il prima grande sistema di cambiamenti, quello che caratterizza la transizione dalla Antichità al Medioevo. Fu una fase segnata da un sistema articolato di cambiamenti, quindi, e proprio questa articolazione la rende pienamente rilevante: non solo le invasioni barbariche, ma una profonda trasformazione delle forme di vita, un mutamento che ebbe inizio ben prima della caduta dell’Impero e si concluse molto dopo. Possiamo considerare unitariamente i secoli dal 4 al 6 come una complessiva fase di trasformazione.
Cambiarono le fedi religiose, la distribuzione dei diversi popoli in Europa e nel Mediterraneo, i sistemi politici, le forme della circolazione economica. Vediamo in estrema sintesi queste quattro linee di cambiamento che connotano complessivamente i capitoli di questa parte. Il Cristianesimo si era progressivamente diffuso nei territori dell’Impero, ma nel corso del 4 secolo compì un salto di qualità fondamentale: prima la libertà di culto concessa da Costantino nel 313, poi il riconoscimento come religione ufficiale dell’Impero nel 380, trasformarono in pochi decenni il Cristianesimo da religione minoritaria e illecita a culto dominante. Negli stessi decenni gruppi sempre più numerosi di persone originariamente estranee all’Impero (e perciò dette ‘barbare’) si stanziarono all’interno del dominio romano, non in seguito a una conquista, ma riconosciuti e accolti dallo stesso Impero, di cui andarono a costituire l’esercito. Nel secolo successivo molti di questi gruppi presero il potere in diversi settori dell’Impero occidentale, formando i cosiddetti regni romano-germanici, mentre la parte orientale dell’Impero, territorialmente ridotta, conservò molte forme del potere imperiale. Infine, questa rottura del nesso politico romano trasformò radicalmente i meccanismi economici: il prelievo la redistribuzione delle tasse attraverso tutto il Mediterraneo e l’Europa avevano infatti costituito il principale sistema di circolazione economica in età imperiale: la loro interruzione, con la fine dell’Impero d’Occidente, non arrestò gli scambi tra le diverse sponde del Mediterraneo, ma certo ruppe l’interdipendenza economica tra le diverse regioni, quale si era definita nei secoli precedenti.
In estrema sintesi, all’inizio del 6 secolo pressoché tutte le forme del vivere associato erano diverse rispetto a due secoli prima: si rispondeva a poteri diversi, si erano diffuse lingue nuove (ma si continuava a parlare e soprattutto a scrivere in latino), si credeva in un Dio diverso, nella vita quotidiana si usavano per lo più oggetti di produzione locale, le città (e soprattutto Roma) erano più piccole. Un muramento così complesso ovviamente non si può ridurre a una data: non si può indicare un momento preciso di inizio del Medioevo. Molte date sono state proposte, e ognuna di queste rappresenta una scelta, una selezione, un’interpretazione del mutamento: la classica del 476 (la fine dell’Impero d’Occidente) esprime l’idea che la struttura fondante del mutamento sia rappresentata dalle istituzioni più alte, dal titolo imperiale; il 410 (il sacco di Roma da parte dei Visigoti) privilegia una lettura etnico-militare, con la libera mobilità dei popoli barbarici nei territori dell’Impero, fino alla violazione del suo centro, che da secoli (dai Galli di Brenno) non veniva raggiunto dai nemici; il 324 (fondazione di Costantinopoli) è un modo per evidenziare i quadri territoriali e istituzionali, con la creazione di una nuova capitale, alternativa a Roma; il 313 (l’editto di Milano) indica invece nel mutamento religioso il fattore più connotante.
Ogni data è una interpretazione, è l’individuazione di un singolo fattore che viene così ritenuto determinante nel mutare dell’intera civiltà: in questo senso le date possono essere utili: proprio il fatto che siano state suggerite tante date diverse ci aiuta a ricordare come il mutamento fosse costituito da molti fattori. Ma è importante ricordare che non è il fatto specifico (l’editto di Milano, la deposizione di Romolo Augustolo…) a determinare il mutamento, ma è il mutamento strutturale a manifestarsi nel fatto.
Questo è in breve il quadro che unisce la prima parte del volume: il processo di trasformazione del mondo romano attraverso un sistema di profondi cambiamenti. Questa idea di ‘trasformazione del mondo romano’ non vuole offrire l’immagine di una transizione morbida e pacifica: furono secoli di grandi conflitti e saccheggi (che per due volte colpirono la stessa Roma), persecuzioni religiose e violenze. Ma le violenze e i disordini ci furono in molti altri periodi: ciò che connota davvero questi secoli è il fatto che l’esito di queste violenze fu appunto la trasformazione del mondo romano, la creazione di molte dominazioni – dall’Impero bizantino ai piccoli regni inglesi – che in modi diversi rielaborarono i modelli di funzionamento sociale, economico e politico dell’Impero.
I 4 capitoli che costituiscono questa parte leggono il mutamento attraverso altrettante chiavi tematiche diverse: i funzionamenti dell’Impero tardoantico e l’affermazione del Cristianesimo; la formazione dei regni romano-germanici nell’Europa occidentale; lo specifico caso del regno franco, contesto in cui ci sviluppò la più efficace simbiosi tra diversi gruppi etnici; e infine la rottura del quadro mediterraneo unitario tardoromano. Al contempo i capitoli delineano in parte anche una scansione cronologica, dato che il primo si concentrerà sul 4 secolo, i seguenti su 5 e 6secolo
Cap. 1 L’Impero cristiano
Riassunto
Negli ultimi decenni sono cambiate radicalmente le letture che gli storici propongono dei secoli finali dell’età romana, il cosiddetto tardoantico, che non è più visto come una lunga fase di decadenza dell’Impero, ma come un periodo con suoi propri connotati, in un complesso e innovativo equilibrio tra la dimensione regionale del mondo romano, le istanze del governo centrale, la progressiva penetrazione di nuove popolazioni nei territori imperiali e nuove forme religiose.
Da qui dobbiamo partire: solo la comprensione dei caratteri fondamentali del tardo impero ci potrò permettere di leggere i funzionamenti della società europea del primo Medioevo. Dobbiamo quindi osservare le principali strutture di potere e di prelievo, il ruolo dell’esercito e della sua componente barbarica, il mutamento religioso che si attuò a partire dal 4. Secolo, con la cristianizzazione dell’Impero e l’avvento della figura del monaco cristiano, che assumerà un ruolo rilevante lungo il Medioevo.
E’ una fase di intensi confronti tra diversi modelli di civiltà e di spiritualità, per lo studio della quale tuttavia dobbiamo scontare importanti effetti distorsivi dovuti alle fonti disponibili, che incidono pesantemente sulla conoscenza di alcune delle trasformazioni più importanti di questi secoli: da un lato le narrazioni di parte cristiana del confronto tra pagani e cristiani e pagani hanno rapidamente messo in secondo piano le posizioni pagane (esempio classico è la figura dell’imperatore Giuliano, la cui coerente e matura ideologia pagana gli è valsa il titolo dispregiativo di “Apostata”); dall’altro lo scontro tra mondo romano e popolazioni barbare è narrato da testi esclusivamente di ambito romano, al punto che gli stessi processi di costruzione dell’identità etnica dei popoli germanici sono leggibili in massima parte attraverso testi romani o narrazioni storiche scritte secoli dopo, quando i popoli germanici erano ormai solidamente stanziati all’interno dei territori romani.
Questo sistema di fonti ha dato vita a ricostruzioni storiche spesso incerte e soprattutto caiche di implicazioni ideologiche e politiche, attorno al nesso tra potere e religione e attorno alle identità etniche e all’opposizione tra mondo tomano e mondo germanico. La medievistica ha affrontato – e sta affrontando – un duro percorso per svincolarsi dagli eccessivi lacci ideologici, valorizzando invece gli spunti innovativi che sono derivati dalle ricerche archeologiche.
Bibliografia
Il mondo tardo antico: da Marco Aurelio a Maometto / P. Brown. – Einaudi, 1974
Per la cruna di un ago: la ricchezza, la caduta di Roma e lo sviluppo del cristianesimo, 350-550 d. C. / P. Brown. – Einaudi, 2014
Storia di Roma, vol. 3: l’età tardoantica / a cura di A. Carandini, L. Cracco Ruggini, A. Giardina. – Einaudi, 1993
Cap. 2 Barbari e regni
Riassunto
Le “invasioni barbariche”, la caduta dell’Impero e la formazione dei regni romano-germanici sono state considerate tradizionalmente come i passaggi chiave della transizione dall’antichità al Medioevo. La tradizione della “caduta dell’Impero d’Occidente” ha spesso posto al centro il dato politico-militare, con el conquiste dei territori imperiali da parte di popolazioni germaniche e la deposizione dell’ultimo imperatore d’Occidente nel 476.
Come abbiamo visto nell’introduzione di questa parte del volume, il mutamento fu radicale ma fu ben più complesso delle vicende militari e istituzionali, coinvolse una profonda trasformazione delle forme di vita religiosa e dei sistemi di circolazione economica e si distese su un lungo periodo, dal 4. al 6. secolo. Dobbiamo quindi relativizzare l’importanza dell’espansione militare germanica, sia perché fu tutt’altro che improvvisa (i Germani, come abbiamo visto, costituivano gran parte dell’esercito romano), sia perché non fu l’unico o il principale motore del mutamento.
Posti questi limiti, possiamo ora concentrarci sul processo di affermazione politico-militare delle popolazioni germaniche, che – se non fu il meccanismo centrale della transizione al Medioevo – fu in ogni caso un’evoluzione di grande rilievo, che mutò i quadri politici e le forme di vita delle popolazioni e influenzò profondamente i sistemi economici mediterranei. E il punto di partenza deve essere una breve presentazione degli avvenimenti militari del 5. Secolo che, pur senza proporre un’analitica ricostruzione di vicende quanto mai complesse e frammentate, permetta di coglierne l’intensità e i principali esiti.
Bibliografia
Le origini etniche dell’Europa: barbari e romani fra antichità e Medioevo / W. Pohl. – Viella, 2000
Il mito delle nazioni: le origini medievali dell’Europa / H. Wolfram. – Carocci, 2009
Teodorico / P. Fouracre. – Il Mulino, 2013
Cap. 3 La simbiosi franca
Riassunto
Tra i diversi regni romano-germanici, quello dei Franchi merita una trattazione a sé, un po’ più ampia di quella dedicata a popoli come gli Ostrogoti o i vandali. Questo per due motivi:
- Prima di tutto i Franchi furono quelli che svilupparono con la massima efficacia l’incontro con le popolazioni di tradizione romana, realizzando una vera e propria simbiosi, un’unione profonda a costituire un nuovo popolo, in grado di integrare e sviluppare diverse culture politiche;
- Inoltre, come diretta conseguenza di ciò, i Franchi nel giro di due secoli riuscirono ad affermarsi come il regno più potente d’Europa, ponendo le basi per la straordinaria espansione carolingia alla fine dell’8 secolo.
Ma per leggere questi processi occorre ritornare indietro nel tempo, a quella fase, tra 3 e 5 secolo, in cui i Franchi prima entrarono in contatto con l’Impero romano, poi assunsero il controllo della Gallia.
Bibliografia
Storia dei Franchi: i dieci libri delle storie / Gregorio di Tours. – Liguori, 2001
Cap. 4 La rottura del Mediterraneo romano
Riassunto
Roma già in età repubblicana aveva realizzato un quadro politico-territoriale che non ha uguali nella storia, ovvero l’unità del Mediterraneo. Fu un’unità politica che non cancellò la varietà delle forme di vita, di lingua o di culto: il dominio romano restò un insieme di società molto diverse, riunite dalla sottomissione politica, dall’apparato burocratico e da un capillare sistema fiscale. Nei due capitoli precedenti abbiamo presentato il crollo di questo sistema politico-militare in Occidente, con la transizione dall’Impero ai regni; qui si torna a un orizzonte mediterraneo e si ampliano le prospettive, a mostrare come il mutamento abbia convolto aspetti che andavano ben al di là della dimensione politica.
L’ordine dei capitoli non è casuale, non per affermare un’assoluta centralità della dimensione politica, ma perché in questo specifico contesto molti mutamenti furono conseguenze della ridefinizione dei circuiti economici (in specifico in Occidente), sia il nuovo assetto dell’Impero, ridotto a prospettive poco più che regionali nel Mediterraneo orientale; infine le dispute teologiche, che in questi secoli divisero il Cristianesimo, riprodussero su un piano diverso l’approfondimento delle divisioni tra le diverse parti dell’Impero romano.
Bibliografia
La società dell’alto Medioevo: Europa e Mediterraneo, secoli 5-8 / C. Wickham. – Viella, 2009
Le origini dell’economia europea: comunicazioni e commercio, 300-900 d. C. / M. McCormick. – Vita e Pensiero, 2008
Costantinopoli: nascita di una capitale, 300-451 / G. Dragon. – Einaudi, 1991
Storia delle società islamiche / I. Lapidus. – Einaudi, 1993
Parte 2 Il sistema di dominazione altomedievale
Introduzione
Questa parte del manuale è dedicata al periodo compreso tra il 7 e il 10 secolo, un’epoca segnata da profonde trasformazioni degli assetti di potere (come la costruzione dell’Impero carolingio e la sua divisione in nuovi regni) ed economici (con lo sviluppo di un’accresciuta pressione aristocratica sulle risorse agrarie e l’apertura di nuove reti di scambio); ma è anche un periodo con alcuni importanti caratteri di stabilità: cessata l’intensa mobilità di popoli dei secoli 5 e 6 e concluso il processo di rielaborazione dell’eredità romana, ci troviamo di fronte a sistemi di dominazione fondati su un delicato equilibrio tra poteri regi e l’aristocrazia. Tutti i sistemi politici di cui tratteremo in questa parte nacquero dalle diverse forme di questo rapporto, che non si tradusse mai né in un potere monarchico assoluto, né in una totale libertà d’azione delle famiglie aristocratiche. La dinamica tra regno e aristocrazia è quindi una chiave fondamentale per leggere questi secoli: è di fatto la struttura portante di tutte le forme di potere analizzate nei prossimi capitoli: in questi secoli in tutte le dominazioni è evidente la centralità del re, ma è una centralità costruita coordinando l’aristocrazia.
Ma quando parliamo di “dominazione” altomedievale dobbiamo intendere questo termine in senso molto ampio: non è solo questione di potere regio, ma di ricchezza, di controllo degli uomini e delle risorse, di controllo delle loro anime attraverso il sistema delle chiese. Così nei capitoli di questa parte si discuterà delle forme di potere, ma anche dell’integrazione tra potere regio ed ecclesia, di sistemi di produzione e scambio. Solo nel quadro di questa integrazione si possono comprendere appieno la natura e l’efficacia della dominazione aristocratica: la potenza si esercitava assolvendo funzioni di governo e di guida militare per conto del regno, ma anche accumulando possessi fondiari, elaborando forme efficaci di sfruttamento della terra, costruendo chiese e occupando funzioni ecclesiastiche. E tra le tante diverse azioni politiche, un ruolo centrale era ricoperto dai legami personali e clientelari, vero fondamento delle dominazioni altomedievali. Non si può ovviamente ridurre la storia del potere a una storia di persone ed è importante leggere come il potere si traduca in istituzioni; ma non è possibile fare storia del potere prescindendo dalle persone e dalle loro reti relazionali e parentali.
Dati questi caratteri di lungo periodo, comuni a molte diverse dominazioni, bisogna al contempo evitare di cancellare le differenze, e per questo concentreremo una parte importante della nostra attenzione sulla più grande costruzione politico-territoriale del Medioevo, l’Impero carolingio. Non si deve però isolare l’Impero dalle altre costruzioni politiche e occorre invece vederlo come un coerente sviluppo delle forme di regalità precedenti e soprattutto del regno merovingio: come altri regni precedenti e successivi, l’Impero fu espressione di un equilibrio dinamico tra re e aristocrazia. Questa lettura ci permette inoltre di non accentuare eccessivamente né l’unità dell’Impero né l’impatto della sua fine e quindi di non opporre in modo troppo netto l’unità imperiale di Carlo magno e Ludovico il Pio alle divisioni della generazione successiva: le differenze regionali erano importanti sotto Carlo e l’idea di unità dell’Impero e del gruppo carolingio sopravvisse nella seconda metà del 9 secolo. Gli sviluppi successivi, interni ai singoli regni, costituirono sì una dissoluzione del nesso carolingio, ma furono del tutto coerenti con le dinamiche che avevano portato alla costruzione dell’Impero stesso.
Bibliografia
Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano / G. Tabacco. – Einaudi, 1979
Cap. 1 Nobili, chiese e re: ricchezze e poteri
Riassunto
Tra 6 e 8 secolo la geografia politica dell’Europa occidentale appare molto più stabile che nei due secoli precedenti: con l’eccezione della conquista longobarda dell’Italia, la mobilità dei popoli germanici rallenta decisamente e la fisionomia territoriale dei principali regni appare nel complesso definita. Constatiamo una conflittualità intensa, uno stato di guerra quasi endemico tra le diverse dominazioni, ma se questo porta a una continua mobilità dei confini, non ne consegue invece una ridefinizione complessiva dei quadri territoriali.
Possiamo quindi ragionare sui funzionamenti di regni maturi, che hanno superato la fase generativa e l’incontro romano-germanico che avevano caratterizzato i primi decenni. Tre sono le chiavi fondamentali attraverso cui leggeremo i funzionamenti sociali di questi secoli: l’equilibrio politico tra le aristocrazie e i re; lo sfruttamento delle risorse agrarie; l’apertura di nuove reti di scambio: Il quadro territoriale su cui ci concentreremo sarà lievemente diverso da quello dei capitoli 2 e 3 della prima parte: dopo la cancellazione del regno vandalo a opera degli eserciti di Giustiniano, ci occuperemo dello spazio europeo occidentale, ovvero delle isole britanniche, del regno visigoto e – più ampiamente – del regno franco. Lo spazio italiano sarà invece oggetto di una specifica trattazione nel capitolo seguente, dedicato al dominio longobardo, ma si vi si farà qui riferimento per quanto riguarda i funzionamenti economici, dal punto di vista sia dell’accentuata pressione aristocratica sulle risorse agrarie, sia della costruzione di reti di scambio.
Bibliografia
Le origini dell’economia europea: guerrieri e contadini nel Medioevo / G. Duby. – Laterza,1975
Dalla terra ai castelli: paesaggio, agricoltura e poteri nell’Italia medievale / P. Toubert. – Einaudi, 1995
Cap. 2 Nuovi quadri politici: il regno longobardo
Riassunto
La medievistica e più in generale la cultura in generale la cultura italiana del 19 e 20 secolo si sono interessate a lungo del regno longobardo, con letture profondamente diverse, connesse ad alcune sue peculiarità: fu la prima dominazione germanica in Italia a porsi in netta contrapposizione con l’Impero; ma al contempo i Longobardi rappresentarono una dominazione esclusivamente italiana, prima che la conquista franca unisse la penisola a un quadro politico più ampio – l’Impero carolingio e poi tedesco – in cui sarà inglobata per tutto il Medioevo; infine il regno longobardo convisse con le ambizioni egemoniche del papato, in una contrapposizione politico-territoriale che assunse anche connotati religiosi, tra Longobardi ariani e Romani cattolici.
Così su questa fase si sono addensati diversi interessi culturali e letture ideologiche: qui si è accentrata l’attenzione di chi si interrogava sul rapporto tra Romani e barbari, sui processi di dominazione, asservimento e fusione, con un’evidente analogia, in età risorgimentale, fra il rapporto Longobardi-Romani e quello Austriaci-Italiani; ma il regno longobardo è stato anche visto come un momento di possibile unità italiana, libera da egemonie straniere; e infine si è riflettuto su questo periodo come momento fondamentale per definire il ruolo politico della Chiesa.
Con il progressivo attenuarsi delle letture di orientamento nazionalistico e religioso, è rimasta al centro della scena la questione etnica, ovvero l’identità longobarda, i rapporti tra le due popolazioni e la loro assimilazione. Questo aspetto ha subito profonde trasformazioni nella seconda metà del secolo 20, grazie a due processi tra loro connessi: da un lato l’integrazione della storia longobarda nella più ampia storiografia europea dedicata ai regni romano-germanici e più in generale alla trasformazione del mondo romano; dall’altro la crescita della ricerca archeologica, che ha rivoluzionato le conoscenze rispetto alle ridottissime fonti scritte relative all’età longobarda.
Il corpus di testi di cui può fruire lo studio dell’età longobarda non è infatti particolarmente povero, se confrontato ad esempio alle fonti disponibili per la Spagna visigota, ma è un patrimonio documentario piuttosto limitato dal punto di vista tipologico: poiché è molto ridotta la serie di atti documentari (vendite, donazioni, sentenze…), le informazioni disponibili derivano soprattutto da due grandi testi, ovvero da un lato la Storia dei Longobardi scritta da Paolo Diacono all’inizio del 9 secolo, pochi anni dopo la caduta del regno sotto il controllo dei Franchi, e dall’altro la raccolta delle leggi promulgate da dai re longobardi, a partire dall’editto di Rotari del 643. Due fonti per molti versi straordinarie, ma che richiedono un’analisi particolarmente attenta alla natura di questi testi per cogliere gli elementi di distorsione della realtà.
Si tratta di leggere le fonti tenendo sempre presente che esse non sono nate per rappresentare o descrivere la realtà, ma per intervenire su di essa. Le leggi nacquero dal tentativo dei re di consolidare il proprio potere; la narrazione di Paolo Diacono ha delle finalità meno evidenti e più discusse, dato che non si sa con certezza dove e per chi abbia scritto Paolo: forse alla corte carolingia d’Italia, per informare i nuovi dominatori della storia della penisola nei due secoli precedenti; più probabilmente all’interno del principato di Benevento, l’ultima dominazione longobarda in Italia, che riuscì a restare autonoma dal dominio franco dopo la conquista del regno a opera di Carlo magno. In ogni caso il testo di Paolo non fu una libera narrazione, ma un racconto pesantemente condizionato dal contesto in cui nacque.
Bibliografia
Italia longobarda: il regno, i Franchi, il papato / S. Gasparri. – Laterza, 2012
Storia dei Longobardi / I. Jarnut. – Einaudi, 1995
I Longobardi / C. Azzara. – Il mulino, 2015
Longobardi e Bizantini / P. Delogu, A. Guillou, G. Ortalli. – Utet, 1980
Gregorio Magno: alle origini del Medioevo / S. Boesch Gajano. – Viella, 2004
Cap. 3 Impero carolingio, ecclesia carolingia
Riassunto
L’Impero carolingio è una realtà a cui faranno riferimento in modi diversi molti dei prossimi capitoli: le strutture del potere, economiche ed ecclesiastiche del 10 e 11 secolo possono infatti essere lette da molti punti di vista come una rielaborazione dei funzionamenti del 9. Questo avvenne perché l’Impero carolingio non solo fu la realtà politica più ampia del Medioevo occidentale, ma trasformò in profondità molti aspetti della vita associata: le reti di scambio, il ruolo delle chiese e del papato, i funzionamenti della giustizia. Per questo motivo già nei capitoli precedenti abbiamo più volte fatto riferimento all’età carolingia, quando abbiamo cercato nel regno franco merovingio gli elementi che hanno preparato lo straordinario successo dell’8-9 secolo, o quando abbiamo connesso al potere franco il diffondersi sia di nuove forme di sfruttamento delle terre (le curtes), sia il costituirsi di reti di scambio commerciale nel mare del Nord.
Questo rappresenta quindi un capitolo chiave: nello straordinario sviluppo politico e territoriale dell’Impero carolingio vediamo venire a maturazione le elaborazioni dei regni altomedievali; qui si compì la più alta simbiosi tra potere regio e potere sacerdotale, si aprirono orizzonti culturali e commerciali prima assenti. La comprensione di questa specifica fase storica diventa fondamentale per cogliere le implicazioni di molte evoluzioni dei secoli seguenti.
Per mettere in piena evidenza la natura articolata e complessa della costruzione carolingia, abbiamo introdotto nel titolo del capitolo la doppia definizione di impero carolingio ed ecclesia carolingia. Occorre chiarire fin da subito che non si tratta di una distinzione o di un’opposizione, ma piuttosto della piena simbiosi tra due realtà che appaiono separate ai nostri occhi, ma non a quelli degli uomini del 9 secolo: l’ecclesia era l’insieme dei fedeli cristiani che trovavano la propria guida nei vescovi e nell’imperatore, che convergevano con strumenti diversi verso un doppio fine, la giustizia in terra e la salvezza oltre la morte. Impero ed ecclesia non erano Stato e Chiesa, ma due modi per leggere la stessa realtà
Citazione
Per concludere, possiamo nel complesso individuare quattro ampie fasi della storia dei Pipinidi/Carolingi:
- dall’inizio del 7 secolo e fino al 751 furono una grande dinastia dell’aristocrazia austrasiana, che costruì il proprio potere all’interno del regno merovingio
- dal 751 all’840 – con Pipino 3, Carlo Magno e Ludovico il Pio – un singolo re carolingio controllò il popolo franco prima e un grande impero poi
- dall’840 (la morte di Ludovico il Pio)all’888 (la morte di Carlo il grosso) il sistema di potere carolingio si articolò in regni distinti e separati, senza una vera unità dinastico-territoriale
- dall’888 al 987 (la morte senza eredi di Ludovico 5, re di Francia) i Carolingi furono una delle dinastie che, nei diversi reni, si contendevano il potere, in una fase particolarmente conflittuale
Bibliografia
Carlo Magno il signore dell’Occidente / D. Hagermann. – Einaudi, 2015
L’Italia carolingia / G. Albertoni. – Carocci, 1997
Cap. 4 Il Mediterraneo bizantino e islamico
Riassunto
Nei decenni tra 7 e 8 secolo si assistette a una profonda trasformazione dei quadri di vita di gran parte del mediterraneo meridionale e orientale: la nascita dell’Islam fu prima di tutto una trasformazione religiosa, ma immediatamente si tradusse anche in una ridefinizione dei sistemi politici di ampi territori già appartenenti all’Impero romano/bizantino e ai regni romano-germanici. Dalla Siria alla Spagna, larga parte delle coste mediterranee furono direttamente coinvolte in questo processo, che peraltro si estese a Oriente ben al di là degli antichi confini dell’Impero, fino alla valle dell’Indo.
Partendo quindi dall’esperienza religiosa di Muhammad e dalla sua predicazione, possiamo analizzare i primi secoli di storia islamica come un processo di mutamento su molti piani, che coinvolse tutte le forze attive nel Mediterraneo. In particolare all’affermazione dell’Islam dobbiamo collegare i processi di ridefinizione dell’Impero bizantino: una riduzione degli orizzonti territoriali, non più proiettati sulle ambizioni universali proprie della tradizione imperiale romana; una ridefinizione dei funzionamenti interni; una nuova centralità dell’esercito. Ma la stoia bizantina dei secoli centrali del Medioevo non fu solo una vicenda di crisi, ma anche di ricostruzione si nuove basi (militari, fiscali e ideologiche) di una potenza sovraregionale in grado di esercitare un’efficace egemonia su larghi settori dell’Europa orientale.
Bibliografia
Bisanzio: storia di un impero, secoli 4-13 / M. Gallina. – Carocci, 2008
Il commonwealth bizantino: l’Europa orientale dal 500 al 1453 / D. Obolensky. – Laterza, 1974
Storia della più grande dinastia islamica: ascesa e declino della corte dei califfi / H. Kennedy. – Newton Compton, 2005
Cap. 5 Società e poteri nel 10 secolo
Riassunto
I territori già compresi nell’Impero carolingio, nel 10 secolo seguirono percorsi divergenti ma coerenti: divergenti poiché i diversi regni svilupparono proprie dinamiche politiche specifiche; coerenti perché le principali linee di tendenza furono comuni. Questo capitolo si muoverà quindi in una continua alternanza tra quadri generali e approfondimenti su singole realtà territoriali.
Il periodo di cui trattiamo è la cosiddetta “età postcarolingia”, una definizione del tutto corretta, che però abbiamo scelto di non porre in primo piano: questo capitolo non deve essere letto con un occhio rivolto prevalentemente al passato (ovvero in termini di declino dell’Impero e dei suoi funzionamenti), ma al presente, per cogliere quali equilibri sociali, funzionamenti politici e forme religiose vennero costruiti nel 10 secolo. Per l’Impero carolingio si ripropone infatti lo stesso rischio dell’Impero romano: i secoli dopo la fine dell’Impero sono spesso ridotti a una lettura in termini di declino, superamento ecc. Indubbiamente nel 10 secolo vediamo tramontare definitivamente la struttura imperiale unitaria, che aveva rappresentato un’intelaiatura politica, istituzionale e culturale che attraversava gran parte dell’Europa occidentale; non si tratta quindi di negare questo declino, ma di rileggerlo cercando anche e soprattutto le novità, i meccanismi di costruzione del potere e della società, che nel 10 secolo assunsero forme oggettivamente nuove.
Nello specifico caso italiano, i secoli 10 e 11 sono spesso visti – a livello manualistico – come un periodo di declino dell’ordinamento carolingio o come preparazione dell’età comunale; il nostro intento è invece quello di mettere in rilievo i peculiari funzionamenti di questa fase, in cui gli elementi residui dell’ordinamento carolingio si unirono con una liberissima sperimentazione di forme di potere totalmente nuove.
Bibliografia
Nobili e re: l’Italia politica dell’alto Medioevo / P. Cammarosano. – Laterza, 1998
Gli ottoni: una dinastia imperiale fra Europa e Italia, secc. 10-11 / H. Keller. – Carocci, 2012
Lo specchio del feudalesimo: sacerdoti, guerrieri e lavoratori / G. Duby. – Laterza, 1980
Parte terza Poteri locali e poteri regi tra l’11 e il 13 secolo
Introduzione
Alla fine del secolo 10 l’Europa postcarolingia era ormai un mondo plurale: nuovi re, conti e marchesi di origine carolingia, monasteri, chiese e comunità dovevano trovare sistemi per governarsi e resistere alle pressioni esterne, senza poter contare su un inquadramento istituzionale sovralocale. La riduzione degli orizzonti politici e dello spazio e dello spazio d’azione delle forze sociali fu la conseguenza più immediata di questo nuovo contesto localizzato che aveva trasformato il volto delle regioni europee fra 10 e 12 secolo: contavano moltissimo i legami di prossimità ai re, i rapporti diretti tra potenti confinanti, la solidarietà di villaggio, il radicamento locale a tutti i livelli.
Eppure non si arrivò mai a una disintegrazione incontrollata del potere pubblico. Una serie di reazioni e di correttivi furono messi in pratica da autorità diverse, che si sforzarono di conferire un ordine alle relazioni fra le persone e i poteri istituzionalizzati nascenti. Questa terza parte dà conto proprio dei tentativi e dei progetti di riordinamento della società elaborati dai diversi protagonisti del Medioevo centrali: chiese, papi, capi militari, signori di castello, città e regni.
Si è scelto di dare la precedenza ai progetti di riforma della Chiesa a livello locale e centrale. Per varie ragioni, infatti, non ultima la scomparsa di buona parte dell’apparato pubblico carolingio, furono i vescovi a guidare in questa fase le prime iniziative di riordino dei rapporti fra gruppi sociali e territori sotto il profilo religioso ed ecclesiastico. Recuperare i beni delle chiese, rivendicare una dimensione autonoma del messaggio religioso e predicare un ritorno alla spiritualità cristiana delle origini furono gli obbiettivi dei gruppi riformatori interni alle chiese episcopali, soprattutto in Germania, nel cuore dell’Impero ricreato dagli Ottoni. Iniziative locali e spinte dall’alto, provenienti anche da parte della stessa curia imperiale si sommarono nel corso del secolo 11: il risultato fu un vasto movimento di riforma della Chiesa che giunse a coinvolgere il papato, fortemente rinnovato dai pontefici di origine tedesca. I papi riformatori rivendicavano una maggiore centralità nella Chiesa e una superiorità anche sul piano politico nei confronti dei poteri laici. Il conflitto con l’imperatore Enrico 4, più volte deposto da papa Gregorio 7, mise in luce la crisi profonda del precedente equilibrio di poteri d’età carolingia: il papa rivendicava ora un potere superiore sugli uomini, sottoponendo l’Impero al suo controllo. Il dominio sui fedeli si sovrapponeva al dominio sui sudditi e le due autorità universali inevitabilmente erano portate a scontrarsi. In realtà l’intera vita religiosa della società locali fu sottoposta a un maggiore controllo da parte delle autorità ecclesiastiche: le pratiche quotidiane dei fedeli, le loro credenze, il percorso verso la salvezza ricaddero sotto la cura pastorale di un clero più colto e intenzionato come guida della società cristiana. Questo riguardava sia le masse di fedeli delle città e delle campagne, destinatarie di una specifica azione di evangelizzazione, sia le élite militari spesso indisciplinate e senza regole, richiamate al rispetto dell’ordine imposto dalla Chiesa.
Se la violenza legittima e la guerra non potevano certo essere eliminate, potevano tuttavia essere regolate secondo nuovi criteri di legittimità. La Chiesa cercò di delimitare i momenti e i luoghi in cui era lecito usare violenza; anzi conferì una sacra alla guerra combattuta per la Chiesa e per il papato. Le spedizioni in Terrasanta, chiamate più tardi crociate, nacquero in un contesto di promozione della guerra che diventava “santa” se condotta per difendere la fede cristiana. D’altra parte l’inquadramento del ceto militare era un problema ancora aperto anche per i poteri laici. La relativa autonomia delle clientele vassallatiche d’età postcarolingia costrinse gli esponenti dell’alta aristocrazia regia a sperimentare nuove forme di connessione interne al ceto militare: l’intenso ricorso al giuramento di fedeltà, rafforzato da alcune garanzie, e l’entrata dei soldati di professione in una élite superiore, definita ora cavalleria e caratterizzata dall’uso delle armi secondo un codice di autocontrollo condiviso da tutti. L’appartenenza ad un ceto “eletto” tuttavia non cancellava le differenze di livello sociale ed economico tra diversi membri di questo gruppo militare. La qualità del potere dei singoli cavalieri era infatti determinata non solo dall’uso delle armi, ma dal possesso di una signoria territoriale.
La signoria territoriale o di banno ebbe uno sviluppo poderoso nel Medioevo centrale, in parte spontaneo e in parte guidato da alcune tendenze già in atto nei secoli precedenti: la costruzione dei castelli, l’affermazione sul territorio di un potere esteso a tutti i residenti (anche ai contadini che non dipendevano da quel signore) e soprattutto la messa in opera di un efficace sistema di prelievo trasformarono in profondità il volto delle società rurali dei secoli 11 e 12. Le forme di dominazione esercitate da un ceto di signori-militari erano pesanti e basate sulla forza, ma fu all’interno di questo regime che prese forma la prima rivoluzione agricola medievale dopo molti secoli di crisi e stagnazione: l’aumento della superficie coltivabile, le nuove tecniche agricole e una maggiore “libertà” della forza lavoro favorirono una crescita fortissima della produzione e la possibilità, anche per i piccoli contadini, di mettere sul mercato il surplus del raccolto. Nel Duecento le campagne erano molto più ricche e ben coltivate dei due secoli precedenti, le comunità di villaggio più forti e in grado di imporre ai signori una distribuzione meno squilibrata dei carichi di lavoro e una ripartizione concordata delle risorse.
In questo contesto di crescita economica presero forma le città. Ne furono anzi una delle creazioni più originali. Le città divennero centri di trasformazione e di scambio delle merci con le campagne circostanti, mantenendo stretti rapporti di dipendenza con i poteri signorili, che tollerarono e in molti casi favorirono la formazione delle nuove istituzioni politiche all’interno delle mura. Le città europee, infatti, non furono mai anti-signorili, a differenza, in parte, dell’Italia: i magistrati cittadini erano eletti e confermati dai signori laici ed ecclesiastici che esercitavano la loro influenza anche sui centri urbani interni al loro territorio.
Questo mosaico di poteri diversi e intrecciati fece da sfondo alle vicende dei regni fra 11 e 13 secolo. Le monarchie, almeno in una fase iniziale, erano istituzioni deboli, poco estese e con una scarsa capacità di coalizzare i poteri regionali in un disegno unitario condiviso. La crescita territoriale dei regni rimase infatti fino al Duecento relativamente modesta, mentre i rapporto con i principati locali furono caratterizzati da una diffidenza che spesso sfociò in aperta ostilità. Davanti a queste sfide i re cercarono da una parte di imporre un ordine gerarchico alle fedeltà vassallatiche, dall’altra di sperimentare nuove pratiche amministrative in grado di assicurare una rudimentale struttura centrale di governo. Le medesime corti elaborarono pertanto elaborate strategie di sottomissione dei feudi e, allo stesso tempo, innovativi strumenti di indagine per conoscere il potenziale economico e militare dei regni. Tutto poteva essere usato per dare forza a un’idea di sovranità che elevava i re al di sopra dell’intreccio delle fedeltà locali. Del resto la tensione fra pretese regie e poteri territoriali alimentò ancora a lungo il gioco politico dei paesi europei, dall’Inghilterra alla Francia, dalla Spagna alle terre d’Impero e all’Italia meridionale.
Da questo quadro così ampio abbiamo isolato il caso dell’Italia centro settentrionale, contrassegnato da una tipologia specifica di potere territoriale: le città comunali autonome con pretese di governo sul territorio circostante (contado). Non perché si tratti di un caso unico e irripetibile: l’Italia centro-settentrionale faceva parte dell’Impero (come regno d’Italia) e le città italiane presentano molti tratti comuni alle altre città europee. E’ vero tuttavia che le istituzioni urbane, in Italia, hanno assunto un ruolo politico diverso, vicino, per certi versi, a quello giocato dai poteri principeschi negli altri paesi europei. Furono le città – prima coordinate dai vescovi e poi da collegi di consoli – a tentare, con molti sforzi, un riordino giurisdizionale dei territori del regno, riutilizzando le circoscrizioni di antica originecarolingia (i comitati); e furono i magistrati comunali ad assolvere le funzioni di autogoverno cittadino all’interno di un quadro regio ormai privo di istituzioni permanenti. I magistrati comunai riempivano un vuoto, svolgevano una funzione di supplenza, esercitando in città e nel contado gli stessi poteri (pubblici) dei vecchi ufficiali carolingi.
Una finzione, in buona misura, perché quel modello era lontano e non più applicabile e soprattutto perché i re non avevano più nessun controllo delle istituzioni urbane; eppure fu una finzione efficace, che animò esperienze politiche di assoluta originalità nel contesto europeo, con città di fatto autonome, governate da magistrati eletti dai consigli e da assemblee formate dai cittadini scelti a rotazione tra la popolazione urbana. Fu nelle città comunali che maturò il primo lessico politico e che presero forma esperimenti di una statualità non “regia” che segnarono a lungo le vicende di questa parte d’Italia.
Cap. 1 Le istituzioni della Chiesa e l’inquadramento religioso delle popolazioni fra 11 e 12 secolo.
Riassunto
Nel corso del secolo 11 le chiese, benché condizionate sempre di più dai contesti locali come gli altri poteri territoriali, conservarono una maggiore capacità rispetto ai regni di modellare i quadri sociali delle popolazioni europee, di dare una parvenza di ordine al caos delle relazioni di potere interne al mondo signorile, di immaginare schemi di governo in grado di individuare chiaramente una gerarchia di comando. Fu uno sforzo che coinvolse in un primo momento la Chiesa stessa come istituzione sacra sulla terra. Sulla spinta di tante chiese locali, di vescovi capaci, di imperatori pii e di intellettuali militanti si mise in moto un processo di ripensamento delle funzione della Chiesa conosciuto con il nome di Riforma. Nei primi decenni del secolo 11 si individuarono i temi portanti di questa nuova visione della Chiesa: recupero dei beni delle chiese, affermazione della natura inalienabile e indisponibile delle cose sacre, a cominciare dalle cariche che non potevano essere cedute per denaro (simonia), esaltazione del carattere sacro del sacerdozio da non contaminare con i rapporti carnali (celibato del clero), necessità di un vertice della Chiesa libero da condizionamenti esterni. Il programma era lungo, difficile da imporre e ancora più difficile da accettare. Le resistenze vennero in primo luogo dagli stessi quadri episcopali, che pure approvavano molti punti della riforma, ma si opposero all’ondata moralistica dei riformatori radicali che mettevano in discussione le basi tradizionali del loro potere.
Sotto il pontificato di Gregorio 7 questo scontro coinvolse, oltre n numero imprecisato di vescovi, anche l’imperatore Enrico 4. La scintilla fu causata da una questione tecnica, il potere di un’autorità laica di “investire” i vescovi; ma emerse presto il motivo profondo dello scontro: il tentativo del papa di inserire i vescovi in una gerarchia solo religiosa, guidata dal pontefice di Roma, eliminando il ruolo dell’imperatore nella creazione delle cariche ecclesiastiche. Ne seguì una lotta violentissima fatta di scomuniche, deposizioni e maledizioni incrociate, con risultati, sul piano politico, tutto sommato modesti: dopo cinquant’anni di scontro, il compromesso che mise fine alla lotta lasciava le cose più o meno come erano prima di Gregorio.
Cambiò invece, e in maniera sensibile, il modo di pensare le istituzioni ecclesiastiche o meglio di pensare la Chiesa come istituzione. Le istituzioni dovevano avere una vita propria, dovevano seguire delle regole che si ripetessero nel tempo senza farsi troppo condizionare dalla azioni ei singoli. La riflessione dei giuristi diede corpo a questo insieme di regole per definire i funzionamenti delle chiese episcopali, del clero associato alle chiese, dal papato e degli uffici centrali. Si inquadrarono anche i nuovi movimenti monastici all’interno di modelli antichi (regola di San Benedetto) riattualizzati secondo le diverse necessità degli “ordini2. Questo ampio processo di produzione di norme esprimeva una profonda esigenza di stabilità che la Chiesa inseguì a lungo per sé e per la società.
Rendere stabili le istituzioni era condizione necessaria per svolgere meglio il compito fondamentale della Chiesa sulla terra: portare alla salvezza il maggior numero possibile di uomini. I modi di raggiungere la salvezza dovevano essere decisi solo dalla Chiesa. I fedeli, battezzati, rinnovati dai sacramenti, educati dai pastori a una retta condotta di vita, dovevano accettare le regole in silenzio e seguire con fiducia la guida illuminata del clero. Non era necessario capire, era sufficiente ubbidire. Il processo di inclusione dei fedeli in un percorso salvifico si interrompeva solo in caso di aperta ribellione agli ordini del clero o di disobbedienza palese ai suoi recetti di vita. Accadeva spesso che gruppi di persone decidessero in proprio come leggere il messaggio evangelico e quale forma di vita poteva assicurare meglio la salvezza, al di là e al di fuori dei riti della Chiesa cattolica. Questa scelta errata divenne presto un peccato, un reato, un crimine grave, anzi il più grave di tutti perché offendeva la maestà divina. Non era tanto il comportamento peccaminoso ad allontanare il fedele dalla Chiesa (la via del pentimento era sempre aperta), ma la sua ostinazione a negarne la natura malvagia, a ripeterlo ancora nonostante il divieto. Testardo come un “asino selvatico” il fedele disobbediente cadeva in una spirale di perdizione senza fine: diventava eretico, qualcuno che erra, sbanda, si perde; ma anche scismatico, che crea divisioni, porta disordine e provoca la rovina della società. L’eresia, come un cancro che minaccia di espandersi all’intero corpo, doveva essere recisa con decisione. Tra la “parte” e il “tutto” la Chiesa non ebbe indecisioni: bisognava salvare il corpo dei fedeli anche se questo comportava l’uso della forza. A questo dovevano pensare i poteri laici, incaricati di dare la morte agli eretici. Dio li avrebbe perdonati.
Bibliografia
Storia del cristianesimo: religione, politica, cultura, vol. 5: Apogeo del papato ed espansione della cristianità. – Città nuova, 1997
La storia religiosa / G. Miccoli. – In: Storia d’Italia, vol. 2. – Einaudi, 1974
Storia del monachesimo medievale / A. Rapetti. – Il mulino, 2013
Certosini e cistercensi in Italia / a cura di R. Comba, G. G. Merlo. – Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, 2000
Le istituzioni ecclesiastiche della cristianità medievale, 1130-1378, vol. 12 della Storia della Chiesa / A. Fliche, V. Martin. – SAIE, 1973-1974
La nascita del purgatorio / J. Le Goff. - Einaudi, 1982
Eretici ed eresie medievali / G. G. Merlo. – Il mulino, 1989
Il sole e la luna: papato, impero e regni nella teoria dei secoli 12 e 13 / O. Hageneder. – Vita e pensiero, 2000
Cap. 2 La guerra, la Chiesa, la Cavalleria
Riassunto
Dalla fine del 10 secolo l’assenza di una forte autorità centrale era stata avvertita dagli ecclesiastici come un pericoloso vuoti di potere, un elemento di disordine che liberava una violenza incontrollata e senza limiti. Una violenza che colpiva le fasce deboli della società, o poveri, i contadini, gli inermi, gli stessi uomini di Chiesa indifesi dalle scorrerie del ceto militare ormai privo di inquadramento stabile in un esercito regio. Era una conseguenza inevitabile del venir meno di un re “difensore della Chiesa” in grado di salvaguardare gli interessi delle chiese dalla rapacità degli uomini armati. Tra 10 e 11 secolo alcuni vescovi tentarono di frenare questa violenza, di incanalarla verso un uso legittimo della forza, sottoposto al controllo etico degli uomini di Chiesa e a quello politico delle autorità laiche. Se esisteva dunque una violenza giusta che difendeva lo stato di pace, poteva esistere anche una ‘guerra giusta’ o santa per difendere la fede, come scoprirono presto i papi della Riforma.
Nel corso della seconda metà del secolo 11 si assiste a un ampio processo di legittimazione della guerra da parte dei pontefici di Roma. Sulla spinta di questa sacralizzazione della violenza contro i nemici della Chiesa, il tradizionale pellegrinaggio verso i luoghi santi subì, negli anni finali del secolo 11, un’improvvisa torsione bellica: invece di partire per pregare sul santo sepolcro, quattro armate franco-normanne-tedesche partirono per combattere, riuscendo pure a prendere Gerusalemme. Il pellegrinaggio si trasformò in guerra santa. Nacquero nuovi stati “cristiani” nell’Oriente musulmano e nuove forme di unione di vita religiosa e vita militare: gli ordini monastici cavallereschi, esperimento ultimo dello sforzo della cultura ecclesiastica di creare un modello di cavaliere che combattesse per la salvezza della Chiesa.
Tentativo riuscito sul piano della rappresentazione ideologica del ceto militare, ma poco efficace sul piano del disciplinamento delle clientele militari, così poco disposte a sottomettersi a Dio, figuriamoci a un signore unico. Gli elementi che facilitavano l’autonomia degli uomini armati erano numerosi: indebolimento delle fedeltà, attenuazione del servizio militare a favore del signore, ampia disponibilità dei benefici ricevuti che potevano essere anche venduti. A queste forme di dispersione, lo strato alto del ceto militare, quello che aveva maggiore disponibilità di beni e uomini fedeli, cercò di rispondere con una rinnovata concezione dei doveri impliciti nel legame di vassallaggio: aumentarono le occasioni di sequestro del bene concesso (chiamato ora “feudo”) in caso di disobbedienza, fu imposta ai vassalli una fedeltà esclusiva e un impegno a non attaccare il proprio signore. Anche la diffusione di modelli letterari di cavalieri ideali contribuì a rafforzare l’idea di una comune appartenenza a un ceto eletto, dedito alla guerra e geloso al proprio “onore”. E’ bene tuttavia non prendere alla lettera questi modelli: il mondo composito dei militari non si chiuse in una classe nobile esclusiva e impenetrabile. Rimase un gruppo mobile, contraddistinto dall’uso professionale delle armi, ma differenziato al suo interno da livelli di ricchezza e di potenza molto distanti. La differenza non era ancora fra nobili e non nobili, ma fra signori potenti e signor i meno potenti.
Bibliografia
La guerra santa: la formazione dell’idea di crociata nell’Occidente cristiano / J. Flori. – Il mulino, 2003
L’invenzione della crociata / C. Tyerman. – Einaudi, 2000
Le guerre di Dio: nuova storia delle crociate / C. Tyerman. – Einaudi, 2012
I cavalieri di Cristo: gli ordini religioso-militari del Medioevo / A. Demurger. – Garzanti, 2002
La cavalleria medievale / J. Flori. – Il mulino, 2002
Cavalieri e cavalleria nel Medioevo / J. Flori. –Einaudi, 1998
Vassalli, feudi e feudalesimo / G. Albertoni. – Carocci, 2015
Che cos’è il feudalesimo? / L. Ganshof. – Einaudi, 1989
La società feudale / M. Bloch. – Einaudi, 1949
Cap. 3 Il dominio signorile
Riassunto
Il rafforzarsi dell’identità sociale dell’aristocrazia militare si espresse in forme molto concrete in un mutamento e un’accentuazione della pressione e del controllo politico sugli strati sociali inferiori. Il secoli 10 e 11 in tutta l’Europa furono infatti teatro di un mutamento profondo delle forme di potere: si indebolì la capacità regia di controllo, si frammentarono i distretti affidati a conti e marchesi, le chiese e le dinastie aristocratiche costruirono poteri locali autonomi, signorie di piccole e piccolissime dimensioni. Non fu in alcun modo una rinuncia volontaria da parte del regno: le signorie non erano infatti poteri concessi dal re ai suoi fedeli, ma costruzioni politiche dal basso, attuate senza alcuna delega, ma valorizzando le basi locali del potere, ovvero la terra, i castelli e le clientele armate. Se il processo fu comune a tutta l’Europa carolingia, i suoi tempi, le sue forme, e i suoi esiti furono profondamente diversi da un luogo a un altro: possiamo quindi delineare le principali linee di tendenza, sapendo però che in questi secoli ogni luogo fa storia a sé.
I poteri signorili partivano dalla terra, dal grande possesso fondiario: solo chi era ricco di terra aveva le risorse per imporre il proprio dominio sui vicini più deboli. Ma i poteri signorili non erano semplicemente uno sviluppo e un approfondimento del rapporto tra il padrone della terra e i contadini, un legame economico e sociale che era già efficace in età carolingia; qui ci troviamo di fronte a un salto di qualità importante, con il passaggio a una vera e propria forma di potere politico, una dominazione territoriale proiettata non solo sui contadini che coltivavano la terra del signore, ma su tutti i vicini. Il salto di qualità fu connesso prima di tutto alla nuova capacità di azione armata dell’aristocrazia, di quei cavalieri la cui identità sociale si andava consolidando lungo l’11 secolo.
Bibliografia
L’Italia dei poteri locali: secoli 10-12 1998
Signorie di Mezzogiorno: società rurali, poteri aristocratici e monarchia, 12-13 secolo / S. Carocci. – Viella, 2014
Comunità e clientele nella Toscana del 12 secolo: le origini del comune rurale nella piana di Lucca / C. Wickham. – Viella, 1995
I confini del potere / G. Sergi. – Einaudi, 1995
I paesaggi dell’Italia medievale / R. Rao. – Carocci, 2015
Cap. 4 Le città nell’Europa medievale
Introduzione
Nel corso del secolo 11 insieme alle signorie, ai principati territoriali e alla piena affermazione del ceto militare si sviluppò anche una fitta rete di città in molte regioni europee: in particolare la Francia settentrionale intorno a Parigi (Reims, Tours, Chartres); le Fiandre (Ypres, Bruges, Gand) e il corridoio verso le città tedesche lungo il Reno e la Mosa; una piccola ma importantissima costellazione di città sul Baltico; le città della Provenza e della Linguadoca (Arles, Avignone, Tolosa, Montpellier, fino a Marsiglia) e naturalmente l’Italia, dove però il sistema urbano, pur condividendo molti elementi con le esperienze europee, assunse una natura istituzionale diversa, che merita un’analisi separata.
Si trattò quindi di un fenomeno diffuso, che ha riguardato centri di origine molto diversa: dai villaggi rurali, ai borghi nati intorno ai castelli ( città castrensi) o alle abbazie (città ecclesiastiche), dalle città di origine romana, ai piccoli porti di scambio già attivi nei secoli precedenti e rapidamente divenuti città. Gli storici hanno avanzato spiegazioni molto diverse per giustificare questa rinascita urbana così ampia, che ha modificato in profondità l’assetto sociale e politico dei principati e poi dei regni: per alcuni le città erano l’esito inevitabile dello sviluppo economico e della formazione di una nuova classe di borghesi, i mercanti; per altri il frutto di iniziative signorili, appoggiate dagli abitanti; per altri ancora le città si formarono solo dopo una rivolta della popolazione urbana contro i poteri signorili. Sono tutte letture parzialmente valide, ma insufficienti a spiegare un processo che riguarda campi troppo diversi per avere una sola causa. Dobbiamo cercare altre vie per comprendere il fenomeno urbano, a cominciare da una definizione meno statica della città stessa. La città europea non può essere separata dal suo territorio, questo è un dato preliminare da cui dobbiamo partire: viveva con il territorio circostante, ne assorbiva le risorse in surplus, attirava nuovi abitanti, assicurava lo scambio di prodotti e merci lavorate.
Era legata anche ai centri di potere signorile che governavano i principati regionali. Senza arrivare a sostenere che le città furono creazioni interamente signorili, è vero che dovettero molto all’iniziativa dei signori. Le condizioni degli abitanti si definirono spesso in contrasto con i poteri locali, ma non senza un loro esplicito riconoscimento.
Nel corso del 12 secolo questo movimento assunse ritmi più ordinati. Le mura definirono ovunque lo spazio urbano separato dalla campagna, atti giuridici ufficiali sanzionarono lo statuto politico di città; l’affermazione di una nuova élite economica cambiò il modo di fare politica e la stessa struttura sociale. Nel corso del 13 secolo un processo di stratificazione sociale mise in luce i contrasti e le gerarchie interne al mondo urbano. Era un segnale importante della maturità raggiunta dal mondo urbano, a prezzo, appunto, di una forte emarginazione delle frange basse dei seti salariati. Lo spessore economico delle città ne fece dei soggetti politici di primo livello: furono i principi ora ad aver bisogno delle città e più ancora i regni, che conferirono alle città comunali uno statuto privilegiato.
Bibliografia
La città medievale / A. Grohmann. – Laterza, 2003
La città dal Medioevo al Rinascimento / E. Guidoni. – Laterza, 1981
Strutture del potere ed élites economiche nelle città europee dei secoli 12-16 / a cura di G. Petti Balbi. – Liguori, 1996
L’Europa delle città: il volto della società urbana tra Medioevo e Età moderna / M. Berengo. – Einaudi, 1999
Cap. 5 I regni e i sistemi politici europei fra 11 e 13 secolo
Riassunto
Il reticolo dei poteri dell’Europa nei secoli centrali del Medioevo sembra lasciare poco spazio ai tentativi di creare una dominazione politica unitaria sotto il governo di un re: signorie di castello ormai autonome, un ceto militare in cerca di una faticosa sistemazione in reti stabili di alleanze, principati regionali in conflitto e gelosi della propria autonomia, città in crescita come centri economici in gradi di influenzare gli assetti regionali. I re esistevano, naturalmente, ma fino a buona parte del secolo 12 il loro potere aveva limiti ben precisi: controllavano un territorio ristretto, dovevano contrattare le principali azioni di governo con i grandi potentati locali, provenivano da dinastia poco legittimate che faticavano a imporre i propri candidati alla successione al trono.
Una condizione di debolezza che caratterizzò a lungo le monarchie europee. Da nessuna parte era scritto che le monarchie fossero destinate a diventare la struttura politica prevalente nell’Occidente medievale. La storiografia europea tra Otto e Novecento ha spesso peccato di anacronismo, proiettando sui poteri monarchici deboli e intermittenti del secolo 12 un disegno organico di costruzione di uno ‘Stato’ nel senso moderno del termine. I compiti delle monarchie dei secoli tra l’11 e il 13 erano più elementari – e allo stesso tempo difficili – di quanto gli storici abbiamo immaginato: bisognava in primo luogo affermare un ‘diritto a esistere’ come entità politiche superiori, e quindi sforzarsi di recuperare un coordinamento (non certo un controllo diretto) dei poteri sparsi in mani diverse e contesi da principi regionali da tempo abituati a governare in piena autonomia i propri territori. Gli strumenti usati variarono moltissimo da regione a regione, ma ovunque furono improntati al più spregiudicato opportunismo politico, a un’empirica capacità di adattarsi alle realtà circostanti e di superare i vincoli posti dai rapporti di forza esistenti. Fu questa la chiave del successo dei re, almeno di quelli che riuscirono a presentare il proprio dominio come un ‘regno’ in maniera sufficientemente credibile.
Seguiremo alcuni casi più importanti per mostrare le forme e i tempi di questo processo di costruzione di un’istituzione di raccordo superiore: l’Inghilterra normanna da Guglielmo il conquistatore a Giovanni Senzaterra; la Francia fino a Filippo Augusto; la spagna dei regni lanciati verso la riconquista dei territori sotto il dominio musulmano; la Germania imperiale che intrecciò le sue vicende con il regno di Sicilia fondato dai Normanni e passato sotto il dominio di Federico 2 che era anche imperatore e dunque re d’Italia e di Germania.
Conclusioni
L’analisi dei contesti ‘nazionali’ ha messo in luce un quadro pieno di contrasti: i tentativi dei re di porsi come vertice di una configurazione sovraregionale che esisteva solo sulla carta, le contraddizioni generate dalle incerte fedeltà dei grandi, che mal sopportavano il peso dell’inquadramento regio, le tensioni continue con gli apparati pubblici promossi dai re. Il risultato, possiamo dirlo, non è nitidissimo. Se pensiamo alla costruzione di apparati monarchici ‘nazionali’ in termini di processo evolutivo, si trattò certamente di un processo interrotto, tutt’altro che risolto all’affacciarsi del Duecento. Le carte territoriali dei regni sono ancora occupate dalle macchie irregolari e mutevoli dei principati regionali, in teoria legati feudalmente ai re. Guardiamo la Francia a metà del 12 secolo e nel primo quarto del 13: le aree di dominio regio sono leggermente aumentate, ma sono ancora ‘isole’ in un sistema di dominati locali. Per la Spagna valgono le linee di espansione portate avanti dai regni: la linea del 13 secolo si arresta poco sotto la metà della penisola; il sud è ancora sotto i regni musulmani. Anche l’Impero non presenta un quadro molto migliore. Anzi, come si è visto, i principi aumentarono le sfere di autonomia sotto Federico 2, confermando una frammentazione strutturale delle regioni imperiali tedesche.
Il regno normanno d’Italia è apparentemente uno dei più solidi sul piano territoriale. Diversamente dalla Germania l’azione di Federico 2 è stata energica ed efficace sotto il profilo politico.
Se invece guardiamo alle soluzioni pratiche, agli strumenti di governo, ai sistemi amministrativi, allora il giudizio cambia. I re si proposero – o si imposero, secondo i casi – come le autorità legittimate da un lato a ricomporre un quadro unitario di questi poteri dispersi e dall’altro a creare un nuovo equilibrio fra le prerogative della potenza privata dei signori (laici ed ecclesiastici) e ‘esercizio delle funzioni pubbliche di coordinamento e di pacificazione riservate al potere regio. Perché era questo che alla fine il re doveva fare: assicurare una convenienza possibilmente ordinata dei principati, delle città, delle signorie, delle popolazioni rurali, disciplinando la violenza del ceto militare e recuperare, almeno sul piano simbolico, le funzioni di controllo della vita politica degli antichi territori del regno. Non si andava molto oltre. Nessuno pretendeva – né avrebbe permesso – un controllo diretto e capillare dei territori locali da parte dei sovrani né una vera sottomissione degli individui al governo regio. Qualche pretesa in tal senso fu avanzata, ma si arrestò presto davanti alla natura delle cose: i potentati regionali potevano essere messi al servizio del re nei momenti di necessità, ma non ‘appartenevano’ al re come depositario di un potere pubblico unico e sovrano.
In sostanza i re potevano contare sulle fedeltà dei territori, non sui territori in quanto suoi dominati. Per tutto il secolo la mediazione dei signori regionali e dei principi, che potevano controllare le forze militari locali, rimase infatti una condizione inevitabile per determinare il successo e la durata delle monarchie. Come strutturale rimase la tensione fra i progetti di centralizzazione monarchici e le difese delle sfere di autonomia dei grandi.
Per promuovere le funzioni regie, i monarchi usarono metodi molto diversi fra loro, in combinazioni altrettanto variabili. Nonostante la pretesa di superiorità ‘sovrana’ infatti dovevano procedere in maniera empirica e graduale, tenendo conto delle loro forze e delle reali capacità di imporre una fedeltà superiore ai loro vassalli.
In primo luogo, in maniera non dissimile dai vicini potenti, i re fecero ampio ricorso al diritto feudale per intervenire in territori esterni al loro dominio. Rivalutando la loro funzione di senior – il superiore a cui si doveva fedeltà – rispetto ai principi suoi vassalli, intervennero spesso nelle liti fra potenti e fra questi e i loro vassalli minori. Capitava spesso che questi ultimi, sentendosi offesi ingiustamente dal loro signore, facessero appello al re per essere difesi. In questi casi il re interveniva appunto come superiore feudale del principe e poteva arrivare anche a privare del feudo il signore che non si presentava alla sua curia o che veniva riconosciuto colpevole dai pari. Sia i re di Francia che l’imperatore di Germania, come vedremo, usarono spesso le curie feudali per regolare i conti con i grandi vassalli avversari.
Anche un secondo aspetto del sistema feudale permetteva ai re di manipolare i dominati territoriali: la natura ormai patrimoniale del feudo. Lo si è visto prima: nel secolo 12 la gran parte dei feudi o dei benefici era considerata parte integrante del patrimonio dei vassalli e poteva essere trasmesso in eredità o in dote. I re approfittarono di questa trasmissibilità del feudo, sia con politiche matrimoniali accorte sia attraverso un controllo serrato dei passaggi ereditari. E’ vero che affidare la costruzione di un regno ai matrimoni era rischioso, ma il legame matrimoniale creava obblighi giuridici che alimentavano le pretese regie per molti anni. Rivendicare i territori della moglie come dote fu una tattica usatissima dai re di Francia. Altrettanto usata fu la retrocessione (riconsegna dopo un periodo di tenuta) dei feudi di vassalli morti sena eredi o con eredi ancora in minore età, che venivano incamerati per poi essere ceduti ai nuovi eredi a caro prezzo.
La frenetica attività di controllo di nascite, morti, eredità che animava le corti europee del 12 e 13 secolo si spiega in questo modo. Era necessario seguire gli innumerevoli fili delle successioni dei principati per cercare di riunire in una trama unitaria i possessi ‘in mobilità’. In altri casi i re, sempre all’interno di una logica patrimoniale, non esitarono a comprare feudi e principati usando il denaro per acquisire poteri pubblici su territori, in teoria, di loro pertinenza. Ma ancora una volta prevaleva il criterio del possesso: rispetto a una fedeltà incerta e contrattata, l’acquisto in denaro di un feudo dava garanzie enormemente maggiori di stabilità.
Su un piano invece più tecnico-amministrativo, i re capirono che una chiave importante del successo dipendeva dai funzionari di corte e dagli ufficiali locali che dovevano governare i soggetti del loro dominato. Per lungo tempo – ancora nella prima metà del secolo 12 – i maggiori uffici di corte erano affidati, per via ereditaria, a grandi vassalli di rango principesco, spesso gli stessi che guidavano o progettavano le resistenze più accanite contro i re. Al di fuori del loro dominio poi, il controllo dei centri abitati e dei castelli era totalmente in mano ai signori territoriali. Verso la fine del 12 secolo, invece, questa tendenza si invertì. A corte emersero persone di livello sociale medio, spesso di origini non nobili – cavalieri, chierici, agenti contabili di provenienza urbana – che presero il posto dei grandi vassalli: avevano meno ambizioni ed erano più fedeli; soprattutto s dimostrarono capaci di usare tecniche contabili più complesse, perché i regni, come i grandi principati, avevano un pressante bisogno di rinnovare i sistemi di prelievo e gli apparati finanziari per condurre campagne militari efficaci.
La guerra si era monetizzata: per pagare il soldo ai vassalli, grandi e piccoli, che decidevano le sorti di una battaglia, bisognava avere risorse disponibili e in crescita. Il controllo del territorio si rivelò allora uno strumento importante: sul piano giudiziario, in primo luogo, ma poi sempre più su quello fiscale. Sotto la direzione del ristretto nucleo di corte, gli agenti locali, chiamati balivi o maniscalchi – diffusi già nella prima metà del secolo 12 in Normandia e Fiandra e poi in Borgogna e dal 1190 anche in Francia – divennero i collettori locali del fisco regio: curarono la raccolta delle tasse, individuarono nuovi soggetti tassabili e nuove fonti di reddito. Sfruttarono meglio il ‘dominio’ (le terre di proprietà del governante) dei principi, ma riuscirono a integrare nella contabilità regia nuove acquisizioni, prima di tutto le città.
Su un piano tuttavia, le corti monarchiche erano naturalmente superiori ai loro vicini: quello dell’elaborazione culturale e giuridica delle forme del potere. Non si trattava solo di promuovere teorie più o meno generali sulla monarchia – cosa che peraltro alcuni re fecero – quanto di porre il sovrano come “vertice politico” in base a cui gli altri poteri dovevano conformare il proprio spazio di azione. Il re occupava una sfera di potere in qualche modo superiore perché era in grado di fare cose che gli altri principi non potevano ripetere: le funzioni di pacificatore, di giudice supremo, di difensore della fede e dell’ortodossia delle popolazioni, di detentore legittimo dei poteri pubblici concessi feudalmente; tutte funzioni che servivano a identificare i contorni di questa maestà di costruzione.
Bibliografia
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Feudalesimo e potere monarchico in Francia nel basso Medioevo / J.-F. Lemarignier. – Jouvence, 1998
La domenica di Bouvines / G. Duby. – Einaudi, 1977
Federico Barbarossa / F. Opli. – Ecig, 1994
Feudi e vassalli / S. Reynolds. – Jouvence, 2004
Gli inizi del diritto pubblico: L’età di Federico Barbarossa: legislazione e scienza del diritto / a cura di G. Dilcher, D. Quaglioni. – Il mulino, 2007
Fra cristiani e musulmani: economie e territori nella Spagna medievale / M. Vaquero Pineiro. – Bruno Mondadori, 2008
Signorie di Mezzogiorno: società rurali, poteri aristocratici e monarchia, 12-13 secolo / S. Carocci. – Viella, 2014
Federico 2, un imperatore medievale / D. Abulafia. – Einaudi, 1990
Federico 2 imperatore / E. Kantorowicz. – Garzanti, 1976
I misteri dello stato / E. Kantorowicz. – Marietti, 2005
Cap. 6 Nuove strutture politiche nell’Italia medievale: città e comuni
Riassunto
Nei secoli passati, la città medievale è stata oggetto di valutazioni altalenanti e contraddittorie. Considerata per lungo tempo il “principio ideale” della storia italiana, il vero centro organizzatore della vita politica della penisola, la città è stata caricata nel corso dell’Ottocento di miti politici assai ingombranti: sede delle popolazioni latine contrapposte a una nobiltà feudale germanica del territorio, primo embrione delle libertà italiane contro l’imperatore tedesco, prefigurazione dei governi liberali rappresentativi del 19 secolo. Di contro dal primo ventennio del Novecento si ebbe una reazione violenta contro il mito comunale della borghesia: le città furono accusate di essere piccoli organismi corporativi, luoghi di passioni politiche insensate e violente, generatrici di fazioni e di quello spirito grettamente “municipalista” che ha segnato le borghesia italiane di antico regime. Negli ultimi decenni il ridimensionamento della storia urbana medievale è continuato, anche se in maniera meno ideologica. Questa volta è stata messa in dubbio la sua capacità di essere veramente un centro in grado di coordinare ambiti territoriali coerenti. Anche sul piano politico si tende a contenere l’esperienza comunale in un campo ristretto di realizzazioni limitate e temporanee. Sono critiche parziali, in parte eccessivamente riduttive di un fenomeno complesso. Sfaccettato, che ha segnato a lungo il panorama politico italiano. E’ ora di ridare centralità – al di là delle mitologie negative e positive – a una delle più importanti “strutture elementari” del sistema politico del basso Medioevo.
Bibliografia
I comuni italiani / G. Milani. – Laterza, 2010
I comuni italiani, 1100-1350 / F. Menant. – Viella, 2011
Cavalieri e cittadini: guerra, conflitti e società nell’Italia comunale / J. C. Maire Vigueur. – Il mulino, 2004
A consiglio: la vita politica nell’Italia dei comuni / L. Tanzini. – Laterza, 2014
Giustizia pubblica medievale / M. Vallerani. – Il Mulino, 2005
Le guerre del Barbarossa: i comuni contro l’imperatore / P. Grillo. – Laterza, 2014
Signorie cittadine nell’Italia comunale / J. C. Maire Vigueur. – Carocci, 1991
Parte 4 Crisi e inquadramento delle società europee: metà 13-15 secolo
Introduzione
Alla fine del Duecento l’Europa aveva raggiunto uno sviluppo ormai imponente: la crescita economica dovuta ai progressi dell’agricoltura e dei commerci aveva rivitalizzato le campagne, trasformato le strutture insediative, disseminato i territori di centri urbani in grado di assicurare uno scambio commerciale regionale e interregionale a lunga distanza. La mobilitazione delle ricchezze monetarie aveva condizionato in profondità le forme di dominazione dei signori di banno, sempre più basate sul privilegio in denaro, e aveva favorito l’affermazione di élite urbane formate da banchieri e da ricchi mercanti. Anche i regni avevano attraversato una fase di crescita, nonostante le debolezze che ancora scontavano nel 13 secolo: grazie a una miscela di strumenti amministrativi e feudali erano riusciti a imporre un ruolo centrale dei poteri monarchici nella costruzione degli spazi politici sovraregionali.
Nei secoli successivi la messa in opera di questi apparati ancora imperfetti si scontrò con una serie di difficoltà strutturali che ne misero in forse l’esistenza. Si trattò di una crisi a più livelli, che scontava alcune contraddizioni fortissime degli assetti politici e sociali. Da un lato le pretese di questi poteri erano altissime: i re e i papi si ergevano al di sopra delle loro istituzioni e della società reclamando poteri quasi assoluti e il riconoscimento dell’origine divina delle loro cariche. Dall’altro queste pretese a volte troppo astratte e slegate dai contesti locali, suscitarono resistenze fortissime in seno alla società e ai gruppi politici più organizzati. Abbiamo ricostruito questo quadro seguendo quattro fili principali: la Chiesa e il controllo dei fedeli, l’affermazione della monarchia come forma di governo, la saldatura fra le istituzioni del regno e le forze sociali, l’inquadramento gerarchico dei rapporti sociali in una convivenza disciplinata di ceti diversi.
La Chiesa sperimentò presto la violenza di questi contrasti. Per tutta la prima metà del Duecento il papato si rafforzò sul piano istituzionale interno ed esterno, imponendo il suo controllo sulla vita delle diocesi e sull’elaborazione dottrinale della fede. Ma dovette fare i conti con un episcopato non sempre disposto all’obbedienza e con una pluralità di modi di vivere la religiosità dei laici assai distante dai disegni unitari del clero cattolico- Esclusi dalle funzioni sacre, i laici riemergevano come corpo di fedeli indocile e non sottomesso. Era necessario trovare strumenti nuovi e più flessibili che integrassero una parte delle esigenze del mondo urbano più dinamico e colto; ma allo stesso tempo si impose una repressione feroce delle resistenze più ostinate, che non accettavano alcuna forma di compromesso. Si spiega così la coesistenza della spiritualità evangelica promossa dai nuovi ordini mendicanti e dell’apparato repressivo dell’Inquisizione affidata agli stessi ordini. Persuasione e repressione erano due facce della stessa medaglia. Di certo la disciplina religiosa della popolazione divenne un elemento centrale nella costruzione degli Stati e la crisi del papato nel Trecento favorì un processo di trasferimento ai re della difesa della fede e della salvezza della comunità.
I regni si dibattevano in contraddizioni altrettanto profonde. La forma monarchica si sviluppò enormemente nel Trecento e ancora di più nel Quattrocento, sia sul piano culturale e ideologico sia su quello istituzionale; ma fu proprio questo il periodo in cui più forte si fece la resistenza ai re (esponenti di dinastie ancora incerte e deboli) e più violenta la lotta delle fazioni per il dominio sui regni. Guerre civili, deposizioni, uccisioni di regnanti, cambi di dinastia e artificiose alleanze matrimoniali accompagnarono la crescita delle monarchie “nazionali” per tutto il basso Medioevo. Anche in questo caso i processi di ricomposizione seguirono vie empiriche e non predeterminate. Alcuni regni superarono la crisi grazie alla forza delle istituzioni centrali che assicuravano un controllo del regno anche in assenza dei re; in altri la nascita di istituzioni rappresentative permise ai re di negoziare le decisioni politiche più delicate con le forze sociali locali; quasi ovunque fu necessario integrare una parte della nobiltà principesca concorrente (e più ostile ai re) in qualche forma di governo condiviso del regno. In sostanza la monarchia si impose o si salvò grazie alla sua flessibilità, alla sua capacità di adattamento alle situazioni più diverse e alla scelta, per certi versi obbligata, di condividere il governo del regno con le élite regionali più dinamiche, dalla nobiltà signorile che controllava di fatto gran parte della società rurale, ai ceti dirigenti delle città che dominavano i giochi dello scambio finanziario ed economico.
Questa relativa stabilizzazione istituzionale andò di pari passo con un processo di inquadramento della società portato avanti dai ceti eminenti del tardo Medioevo (esaminato nell’ultimo capitolo). Nelle campagne e nelle città si avviò una profonda trasformazione dei rapporti sociali, ancora una volta con numerose contraddizioni. I ceti signorili e in generale detentori di capitali e di mezzi di produzione (grandi mercanti, banchieri-investitori, capi bottega) si sforzarono di imporre un controllo diretto e più “economico” sui processi di produzione e sulla forza lavoro. Nuovi assetti proprietari e nuove forme contrattuali si diffusero fra Tre e Quattrocento nelle campagne, già duramente colpite dalle crisi di carestia e dalla peste del 1348. Una massa ingente di contadini rimasti senza terra fu impiegata come forza lavoro salariata alle dipendenze dei signori più vicini e più esigenti; un’altra parte emigrò in città ingrossando le file di un salariato operaio poco specializzato e poco pagato. I rapporti fra queste masse di lavoratori non proprietari (e dunque dipendenti dal lavoro salariato) e i poteri politici ed economici delle città e delle campagne europee furono spesso turbolenti, segnati da ribellioni violente e da repressioni altrettanto feroci. In molte regioni europee, la condizione contadina peggiorò sensibilmente, fino a un ritorno più o meno mascherato del servaggio o comunque a una riduzione sensibile delle libertà personali.
In altri contesti le crisi ripetute portarono i ceti eminenti e i governi a elaborare nuove strategie di contenimento della povertà. Istituzioni caritative, ospedali, confraternite si impegnarono in una diffusa opera di redistribuzione di una parte dei profitti in forme organizzate di “carità pubblica”. Il controllo della povertà divenne per i ceti dirigenti delle città un segno esplicito di sensibilità religiosa verso il deboli, una sorte di redenzione in terra per le ricchezze accumulate e fornì allo stesso tempo una fonte di sostegno necessaria per le fasce a rischio delle popolazioni urbane e rurali. In ogni caso questa capacità di intendere e di gestire l’economia in tutte le sue declinazioni (commercio, finanza, ricchezza dello Stato, bene della comunità) divenne un carattere indispensabile per accedere alla sfera politica delle società della fine del Medioevo per indicare il legame dinamico fra le parti e il tutto. Per continuare a vivere bisognava restare uniti e ripetere nel tempo le funzioni assegnate a ciascun organo. Cambiare ruolo, rifiutare la propria condizione metteva a rischio l’equilibrio generale della società. I re erano garanti di questa necessaria stabilità.
Cap. 1 Il papato, gli ordini mendicanti e la crisi della Chiesa (1215-1378)
Riassunto
La vasta costruzione dottrinale e pastorale elaborata nei 150 anni successivi alla Riforma fu sistematizzata all’inizio del Duecento, sotto Innocenzo3, in un famoso concilio ecumenico (a cui parteciparono tutti i vescovi) tenutosi nel 1215 a Roma, in Laterano. Il concilio lateranense 4 disciplinava e rinnovava la procedura giudiziaria interna alla Chiesa, la lotta agli eretici, le pratiche pastorali da seguire nelle diocesi, inquadrando queste regole in un sistema istituzionale sempre più centrato sulla figura del papa come guida spirituale e politica dell’intera cristianità. La curia pontificia di Roma divenne un vero centro di potere e di controllo della vita religiosa delle diverse diocesi europee. Nel tardo Duecento presero forma anche nuove teorie teocratiche, che attribuivano al pontefice romano poteri di giudice e di legislatore: il papa prendeva sempre le decisioni giuste per la Chiesa, emanava leggi valide per tutti e poteva derogare da quelle stesse leggi grazie all’autorità di dispensare dalla loro osservanza; si preparava il terreno per la dottrina della potestà assoluta del papa e della sua infallibilità.
Il concilio lateranense 4 promulgò anche due canoni che cercavano di dare una forma ai nuovi movimenti religiosi nati nei primi anni del Duecento. Soprattutto ai due principali ordini mendicanti – così chiamati perché avevano rinunciato alle ricchezze e ai possessi sostenendosi con il lavoro e le elemosine – i predicatori, fondati da Domenico di Caleruega, e i minori, seguaci di Francesco d’Assisi (più tardi chiamati domenicani e francescani). La nascita e la rapidissima diffusione dei due ordini rappresentò senz’altro una delle maggiori novità nella vita religiosa delle società europee: con il loro esempio riuscirono a conquistare un ruolo di guida delle coscienze delle popolazioni urbane in qualità di predicatori e di confessori, e si posero come mediatori fra le istanze di ordine della Chiesa e le domande dei laici di una partecipazione attiva alla vita religiosa. Come inquisitori esercitarono certo anche una funzione di ‘polizia’, ma questo rientrava nei loro compiti di difensori della fede e di devoti servitori del papa di Roma.
L’eresia divenne infatti un campo di tensioni fortissime nel mondo politico-religioso del tardo medioevo. Da un lato esisteva chiaramente l’eresia religiosa, quella perseguita dagli inquisitori; dall’altro però il reato di eresia fu sempre di più applicato alla politica: l’infedeltà politica divenne anche infedeltà religiosa, la ribellione si confuse con l’eresia in un unico reato di lesa maestà che richiedeva un intervento eccezionale del potere religioso e civile.
Il ricorso spregiudicato all’eresia per salvare la Chiesa dalle resistenze dei fedeli riottosi non mise il papato del secolo 14 al riparo da una crisi politica senza precedenti. Prima lo scontro fra Bonifacio 8 e il re di Francia nel 1303, culminato con un processo per eresia intentato contro il papa ormai defunto; poi l’abbandono di Roma e il trasferimento del papato ad Avignone per un settantennio (1307-1378). E infine, dopo il primo tentativo di riportare la sede a Roma nel 1378, uno scisma fra un papa romano e un antipapa francese che divise in due l’Europa per un altro cinquantennio. Le pretese di dominio sul mondo cristiano avanzate dai papi romani si scontrarono con le debolezze interne della Chiesa e dovettero fare i conti con il sistema politico dei regni europei che non accettava più inquadramenti dall’alto, neanche sul piano religioso. Anzi, proprio la lotta tra i papi romani e papi francesi mise in luce il carattere “nazionale” delle chiese che sempre di più ubbidivano a logiche locali nelle loro scelte. Il controllo delle istituzioni ecclesiastiche era condiviso ormai con i re e la vita religiosa era anche un affare di Stato.
Bibliografia
Il trono di Pietro: l’universalità del papato da Alessandro 3 a Bonifacio 8 / A. Parravicini Bagliani. – Carocci, 1996
Il diritto nella storia medievale / E. Cortese. – In: Il basso medioevo, vol. 2. – Il cigno, 1995
Frate Francesco / G. G. merlo. – Il mulino, 2013
Francesco d’Assisi: realtà e memoria di un’esperienza cristiana / G. Miccoli. – Einaudi, 1991
Nel nome di San Francesco: storia dei frati minori e del francescanesimo sino agli inizi del 16 secolo / G. G. Merlo. – Edizioni francescane,2003
Francesco e Chiara d’Assisi / a cura C. Leonardi. – FondazioneValla-Mondadori, 2004
I laici nel Medioevo: pratiche ed esperienze religiose / A. Vauchez. – Il saggiatore, 1989
L’ordine dei peccati: la confessione fra Medioevo ed età moderna / R. Rusconi. – Il mulino, 2002
Contro gli eretici: la coercizione all’ortodossia prima dell’Inquisizione / G. G. Merlo. – Il mulino, 1996
L’età dei processi: inchieste e condanne tra politica e ideologia nel ‘300 / a cura di A. Rigon. – Istituto storico italiano per il Medioevo, 2009
La Chiesa, il segreto e l’obbedienza / J. Chiffoleau. – Il mulino, 2010
Cap. 2 La costruzione dello spazio politico dei regni europei
Riassunto
Nel corso del 14 secolo le società europee furono inquadrate in strutture regie più ampie e più definite. Francia e Inghilterra consolidarono i governi monarchici su gran parte dei territori soggetti. I regni spagnoli iniziarono a ordinarsi intorno a un’egemonia della Castiglia. Presero forma anche una serie di nuovi regni nell’Europa dell’est, prima assorbiti nella galassia imperiale tedesca, o poco visibili sul piano politico: Boemia, Ungheria e Polonia estesero la forma monarchica nella regione danubiana, creando le basi di un complesso sistema geopolitico ai confini orientali dell’Europa. Così nelle regioni scandinave: la natura regia dei poteri territoriali acquisì una fisionomia più chiara in Danimarca, Norvegia, Svezia. Alla fine del 15 secolo i regni coprivano buona parte del territorio europeo: Visto dalle corti centrali, sembra un mondo avviato verso un processo coerente di unificazione nazionale degli Stati.
Ma si trattò veramente del trionfo della forma monarchica o do un’inarrestabile affermazione della figura del re come sovrano assoluto di uno Stato Nazione? Per molto tempo si è pensato di si. Soprattutto gli storici francesi, fra Otto e Novecento, hanno insistito sul processo di centralizzazione delle corti regie come motore dello sviluppo dello Stato, che avrebbe compresso irrimediabilmente le autonomia locali e i poteri feudali concorrenti. Le monarchie si affermarono contro le altre forze sociali. Oggi le cose sono sostanzialmente cambiate. Nuove ricerche hanno messo in luce aspetti prima poco noti o poco studiati. Per esempio la vitalità del particolarismo delle signorie locali, che sfruttavano i vantaggi dell’inserimento nella corte centrale del re, senza però rinunciare alle prerogative sui propri territori; la lunga durata dei legami feudali che condizionarono ancora per buona parte del Trecento i rapporti fra i re e i grandi del regno; la capacità di resistenza delle comunità locali e delle città davanti alle esose richieste finanziarie del re; e in generale l’esistenza di solidarietà regionali che identificavano nel “paese” un luogo di appartenenza più vicino e più rilevante rispetto al regno.
In sostanza si tende a dare un peso maggiore a quelle regioni che componevano gli Stati conservando una propria fisionomia politica, anche nei regni più accentrati come la Francia. Si è capito che essere parte di un regno non cancellava le realtà territoriali, anzi, spesso le riattivava, favorendo una riattivava, favorendo una riorganizzazione degli interessi locali prima poco definiti. Davanti alle richieste di un’autorità esterna, le società regionali furono spinte a presentarsi come istituzioni, sotto forma di assemblee, parlamenti, stati provinciali, diete; elaborarono anche una cultura politica che legittimava la difesa degli interessi regionali davanti alle ingerenze del re. Per alcuni storici, soprattutto di lingua tedesca, fu proprio questa dimensione “negoziata” la caratteristica maggiore dello Stato moderno: non l’imposizione di un potere assoluto, ma la lenta integrazione di entità regionali autonome in un regno composito, mobile, che si basava anche sull’ascolto dei propri sudditi. Ci fu dunque uno scambio fecondo di informazioni che contribuiva ad avvicinare governanti e governati. Forse questa è una visione troppo ottimistica, ma è vero che l’attenzione alla dimensione regionale e locale dei poteri, rappresentati nelle assemblee territoriali, è oggi necessaria per capire l’evoluzione anche degli Stati apparentemente più accentrati.
E’ opportuno quindi ricostruire i modi in cui si mise in opera un governo politico del regno attraverso un lento processo di integrazione di diversi gruppi di interesse, dai ceti nobiliari alle élite economiche urbane, in un sistema di istituzioni a guida regia. Lo faremo in due tempi.
In questo capitolo vedremo a grandi linee la dimensione territoriale degli Sati europei: come svilupparono o adattarono a territori diversi un modello di governo impostato sulla monarchia (o su forme imitative della monarchia), pur in presenza di forze nettamente contrarie alla centralizzazione regia. Nel prossimo cercheremo invece di esaminare la natura politica dei rapporti che si crearono tra la legalità, l’amministrazione pubblica e le assemblee rappresentative dei territori.
Gli eventi
1315 Rivolta delle regioni, carte di libertà
1328 Passaggio alla dinastia di Valois
1337 Inizio della guerra dei Cento anni
1356 Sconfitta di Poitiers, prigionia del re francese Giovanni il buono
1392 Infermità di Carlo 6, nascita dei due partiti di Armagnacchi e Borgognoni
1407 Inizio della guerra civile
1420 Pace di Troyes, Carlo 6 nomina erede e successore il re inglese, Enrico 5
1422 Enrico 6 e Carlo 7 competono per il regno
1429 Carlo 7 incoronato re
1453 Fine della guerra dei Cento anni
1461 Regno di Luigi 11
1498 Ultima annessione, la Bretagna
In Inghilterra, dopo il lungo regno di Edoardo 1 i successori misero in evidenza la debolezza strutturale della monarchia:
- un regno incapace di finanziarsi, anzi impoverito e in mano al volere dei grandi
- un ruolo spropositato dei baroni, che per decenni attaccarono i detentori della Corona in una competizione apertissima e senza regole
- un Parlamento – l’assemblea di nobili, ecclesiastici e rappresentanti dei comuni – molto forte nell’imporre un controllo stretto intorno al re e alla gestione delle finanze regie, ma non altrettanto forte nel proposri come garante di un assetto istituzionale stabile
In questo quadro di frammentazione relativa possiamo distinguere tre aree politico-territoriali principali:
1 I grandi stati regionali principeschi
- il ducato dei Savoia, tra il Piemonte e la Savoia (oggi francese)
- lo Stato dei Visconti, tra Lombardia, Piemonte e Emilia
- lo Stato estense, comprendente parti dell’Emilia e di Romagna, con capitale Ferrara
- lo Stato della Chiesa, dai confini ancora incerti tra Lazio, Marche, Umbria e Romagna
2 Le formazioni regionali ancora sotto regimi repubblicani:
- la repubblica di Venezia con la terraferma (Veneto e Friuli)
- la repubblica di Firenze, estesa su quasi tutta la Toscana dopo la conquista di Pisa nel 1406
- la repubblica di Genova
3 Le regioni meridionali inserite nei regni:
- la Sicilia sotto gli Angioini e poi gli Aragonesi
- il regno di Napoli sotto gli Angioini fino al 1442 e poi unito alla corona de Aragona
Conclusioni
Il rapido quadro generale dei principali eventi dei regni europei ci consegna dunque un’immagine fortemente contrastata. La configurazione territoriale dei regni fu condizionata pesantemente dall’intreccio fittissimo di reti parentali e di scelte matrimoniali interne alle aristocrazie europee. Un sistema di potere che la nascita degli Stati monarchici non riuscì a soppiantare. Anzi, le vicende dinastiche rimasero ancora un meccanismo fondamentale della vita politica dei paesi europei alla fine del Quattrocento: la Spagna moderna e l’Impero sotto gli Asburgo ne sono una dimostrazione palese.
Tutti i regni, in ogni caso, dovettero affrontare le resistenze di istituzioni assembleari rappresentative che si ponevano come potere “esterno” alla monarchia, anche se non sempre in conflitto con essa. Il rapporto con queste assemblee fu decisivo per i re. In alcuni casi dovettero far fronte a una supremazia di fatto di questi corpi intermedi, concedendo loro poteri amplissimi, al limite dell’autonomia (Impero e regni dell’est). In altri la contrattazione fu più serrata e diede modo al re di usare le assemblee per entrare in contatto con le forze sociali più rappresentative delle regioni. Alla fine, dopo un periodo di crisi acutissima – intorno alla metà del 15 secolo – i regni trovarono una forma istituzionale più stabile, che si poteva certo modificare o “riformare”, come prudentemente si esprimevano i consiglieri del re nel tardo Quattrocento, ma non più contestare apertamente.
Il definitiva la monarchia resse all’urto di potenti forze contrarie intenzionate a deformarla non perché fosse per natura la forma di governo migliore – come scrivevano i suoi sostenitori – ma perché riuscì a radicarsi come istituzione territoriale, creando una base sociale ampia che aveva interesse a mantenere un livello centrale di coordinamento superiore dei territori regionali. Nessun annullamento dei poteri signorili e locali dello Stato; semmai un coinvolgimento diretto nell’amministrazione dello Stato delle forze politiche potenzialmente dissolutrici.
Le basi ideologiche e materiali di questo potere devono essere ora indagate con maggiore attenzione.
Bibliografia
L’Occidente nei secoli 14 e 15, gli Stati / B. Guenee. – Mursia, 1992
La guerra dei Cent’anni / Ph. Contamine. – Il mulino, 2013
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La corona d’Aragona: storia di un regno medievale / T. Bisson. – ecig,1998
L’Italia degli stati territoriali / I. Lazzarini. – Laterza, 2003
Lo stato del Rinascimento in Italia / a cura di A. Gamberini, I. Lazarini. – Viella, 2014
La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado, secoli 14 e 15 / G. Chittolini. – Einaudi, 1979
Città, comunità e feudi negli stati dell’Italia centro-settentrionale, secoli 14-16 / G. Chittolini. – Unicopli,1996
Lesa maestà all’ombra del biscione: dalle città lombarde ad una monarchia europea, 1335-1447 / F. Cengarle. – Ed. di storia e letteratura, 2014
Baroni di Roma: dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e nel primo Trecento / S. Carocci. – Ecole française de Rome, 1993
Il Regno di Napoli: il Mezzogiorno angioino e aragonese, 1266-1494 / G. Galasso. – In: Storia d’Italia, vol.15. –Utet,1992
Governare un regno: potere, società e istituzioni in Sicilia fra trecento e Quattrocento / P. Corrao. – Liguori, 1991
Cap. 3 Società politiche del basso Medioevo: un processo di integrazione conflittuale
Riassunto
La definizione dell’assetto politico dei territori europei si configura come un insieme di processi necessariamente intrecciati: un’integrazione conflittuale fra monarchie, istituzioni territoriali e forze sociali da cui tutti i soggetti uscirono profondamente trasformati. Da un lato, la corte centrale e l’ideologia monarchica si definirono meglio sul piano culturale e amministrativo: elaborarono una nuova ideologia regia e svilupparono un costoso apparato burocratico in grado di estendere il controllo pubblico in odo capillare nei territori del regno. Separarono anche la figura concreta del re da quella astratta della Corona. Se i re morivano e potevano essere deposti, i regni, nella loro proiezione ideale sotto forma di Corona, continuavano a vivere.
Dall’altro lato, anche i “paesi” si organizzarono per proprio contro. Eleggevano i rappresentanti nei singoli luoghi, elaboravano le richieste da fare al re, votavano a maggioranza le decisioni comuni. La loro esistenza, tuttavia – ed è questo il punto che ci interessa – era strettamente legata a quella del regno: per la distribuzione delle risorse, la contrattazione dei carichi fiscali che comunque venivano loro richiesti, la politica estera che li coinvolgeva. Le regioni dovevano essere “regioni di un regno” per contare politicamente. Da qui lo sforzo di usare le assemblee rappresentative come luogo dove mediare e negoziare le richieste dei re con le esigenze locali.
Naturalmente non bisogna esagerare la natura rappresentativa di queste assemblee. Nei Parlamenti e negli Stati sedevano in prima fila le forze aristocratiche più vicine al potere e quindi più interessate a trovare un accordo per loro vantaggioso. Nonostante queste assemblee funzionassero con il voto a maggioranza, vigeva una regola non scritta ma molto seguita: i voti si pesavano e non si contavano. L’aristocrazia, sempre più definita come ordine di nobili separati dal resto della società, il suo peso lo fece sentire sempre e lo fece accettando una relativa integrazione nelle strutture pubbliche. Trasformandosi in nobiltà del regno, si inseriva in un nuovo ordine politico che alla fine del 15 secolo sembra vedere la luce: un grande “corpo della nazione”, con la monarchia come testa e guida delle altre componenti che in armonia dovevano svolgere le funzioni assegnate secondo una scala gerarchica; un disegno organico, immobile, in cui ognuno doveva riprodurre all’infinito i comportamenti assegnati al suo stato sociale
Questo insieme di celebrazioni e di immagini religiose della monarchia non era solo strumento di propaganda. Le virtù assegnate al re furono, in qualche modo, tradotte in poteri di governo in quasi tutti i regni:
- la protezione dei poveri e dei deboli richiedeva un rafforzamento della giustizia pubblica verso i potenti arroganti che affliggevano i sudditi
- la misericordia del re si tradusse ben presto in un potere di grazia in base al quale il re poteva condonare le pene comminate dai giudici, accogliere le suppliche dei sudditi e cambiare il normale corso delle leggi
- l’amore verso il re portava con sé una celebrazione religiosa della sua superiorità istituzionale
- i fondamenti celesti del regno, infine, rafforzavano l’immagine della monarchia come scudo protettivo, guida naturale della nazione
Lo sviluppo di una burocrazia pubblica, nelle corti e nei territori, fu importante per diversi motivi:
- favoriva una via autonoma del regno che funzionava, in caso di necessità, anche “senza re”, come accadde spesso in tutti i contesti europei tra 14 e 15 secolo
- assicurava una presenza capillare nei territori di un corpo di ufficiali che, nel bene e nel male, “rappresentavano” il re in quel luogo
permetteva la promozione del ceto intermedio urbano, favorendo gli esponenti più dinamici delle classi cittadine, che avevano più facilmente accesso a una formazione di base (scrivere e far di conto).
Queste assemblee conservavano alcune caratteristiche “strutturali” che è bene ricordare:
- erano ancora “temporanee” e furono convocate con una periodicità variabile caso per caso
- avevano una rappresentanza sociale “limitata”, vale a dire che, salvo il caso castigliano, non rappresentavano tutti gli ordini nello stesso modo
- non erano ideologicamente contro la monarchia; potevano attaccare un re, ma alla fine furono proprio le assemblee che sostennero l’unità della corona, almeno nei paesi dove più forte si poneva l’istanza regia (Francia, Inghilterra e Spagna)
- e infine, ma non ultimo, fissarono la divisione in ordini, conferendo alla nobiltà un prestigio pubblico che ne sostenne a lungo la preminenza politica oltre che sociale.
I motivi di questo declino (delle assemblee rappresentative) furono diversi ma tra loro collegati:
- i re, alla fine del Quattrocento, avevano in genere reintegrato i beni della corona, ridotto il numero delle guerre e quindi diminuito le richieste di aiuto dei sudditi
- la tassazione ordinaria era ormai un dato accettato e poco contestato anche dai territori: si poteva discutere l’importo ma non la sua imposizione
- infine, in quasi tutti i regni, la nobiltà e la medio-alta aristocrazia terriera e urbana erano ormai esenti dalle imposte ordinarie; se prima dovevano partecipare alle assemblee per difendere i propri interessi (limitare le esazioni pubbliche sui propri domini) alla fine del 15 secolo questo non era più necessario: Le tasse ormai colpivano solo i contadini e le campagne. La nobiltà non si interessava più delle assemblee: le vie di affermazione furono altre e più prestigiose
Cap. 4 Gerarchie sociali alla fine del Medioevo
Riassunto
Lo sviluppo delle istituzioni politiche dei regni ha messo in luce un processo generale di aristocratizzazione della società: Parlamenti, Stati generali, Diete sono organi dove i membri dell’alta aristocrazia riuscirono a imporsi nel corso del 15 secolo sulle altre componenti, al piccola nobiltà, le borghesie urbane, il basso clero. Naturalmente questi ordini venivano ancora convocati e spesso ascoltati, ma le leve dell’iniziativa politica sembrano essere sempre più riservate agli esponenti di una nobiltà signorile in grado sia di controllare i propri territori a livello regionale sia di dialogare con le corti regie della capitale. Alla base del successo delle istituzioni rappresentative che negoziano con i re, ne giudicano le prerogative, limitandone spesso le richieste, non vi erano dunque i “territori”, come un astratto insieme di residenti in un luogo, ma gli esponenti di un’élite sociale ed economica che ne rappresentavano gli interessi in maniera più efficace.
Questa aristocrazie, ormai chiuse in uno stato nobile rigidamente definito, si erano rafforzate ovunque. Nelle campagne avevano radicato il loro potere attraverso un maggiore controllo sulle terre, adesso date in concessione con contratti a breve termine che imponevano prestazioni più pesanti e una dipendenza molto più stretta dal padrone. Una massa ingente di contadini fu di fatto privata della terra, espulsa dalle campagne o costretta a lavorare come bracciante. Un processo simile si ebbe con i lavoranti delle migliaia di botteghe artigiane sparse nelle città europee. Il divario tra élite dei maestri legati al commercio e il resto dei lavoranti si fece incolmabile. Una degradazione costante delle condizioni di lavoro fra Tre e Quattrocento portò molti “garzoni” di bottega a perdere la speranza di un lavoro in proprio, assimilandoli sempre di più ai lavoranti di basso livello, privi di mezzi di produzione e di altre risorse e costretti a vendere il loro lavoro a giornata o a settimana. In sostanza il mondo bassomedievale dovette fare i conti con una massa crescente di persone “non proprietarie”, senza terra e senza mezzi di sussistenza: una massa da far lavorare a salario, che aveva solo il lavoro come risorsa economica. Le classi dirigenti si preoccuparono di fornire un quadro teorico a questa nuova forma di dominazione: sia la cultura ecclesiastica sia quella laica giustificarono l’esclusione politica dei dipendenti salariati in base a un’antica diffidenza per il lavoro manuale dipendente, una condizione che sminuiva la qualità umana della persona.
Si poneva ugualmente il problema del sostentamento di masse urbane che vivevano in uno stato di incertezza continua. Proprio il rischio di cadere in povertà, più che la povertà in sé, spinse le autorità laiche ed ecclesiastiche a costruire strutture permanenti di accoglienza e di aiuto. La redistribuzione degli ingenti flussi di elemosine raccolti dalle istituzioni caritative fu affidata a un’élite mista che si incaricava di raccogliere le offerte, organizzare gli aiuti e soprattutto decidere a quali persone e per quali motivi potevano essere concessi. La carità istituzionalizzata non si limitava dunque a far fronte a momenti di bisogno delle fasce basse della popolazione urbana, ma serviva anche a ridisegnare gerarchie sociali, a graduare il valore delle persone e delle loro attività, a riaffermare un quadro di valori dominanti che dovevano regolare la vita collettiva delle società.
Bibliografia
Economie urbane ed etica economica nell’Italia medievale / R. Greci...et al. – Laterza, 2005
Contadini e proprietari nell’Italia moderna / G. Giorgetti. – Einaudi, 1974
La peste nera / J. Kelly. – Piemme, 2005
La mobilità sociale nel Medioevo / a cura di S. Carocci. – Collection de l’Ecole française de Rome, 2010
Salariati e artigiani nella Parigi medievale / B. Geremek. – Sansoni, 1975
Oltre il tumulto: i lavoratori fiorentini dell’arte della lana fra Tre e Quattrocento / G. Franceschi. – Olschki, 1993
Tra preghiera e rivolta: le folle toscane nel 14 secolo / Ch. M. de la Ronciere. – Jouvence, 1993
I poveri nel Medioevo / M. Mollat. – Laterza, 1993
Visibilmente crudeli / G. Todeschini. – Il mulino, 2009
Come Giuda: la gente comune e i giochi dell’economia all’inizio dell’epoca moderna / G. Todeschini. – Il mulino, 2011
Congedo
Fissare una data finale del Medioevo non è possibile e forse neanche utile. Possiamo dire che alla fine del Quattrocento si moltiplicano i segni di una trasformazione profonda dei quadri territoriali e mentali delle società europee. Le coordinate geografiche si stavano modificando radicalmente con la formazione dell’imponente compagine statale dell’Impero ottomano nel Mediterraneo, l’aprirsi degli spazi europei a est verso i principati della Russia, le nuove rotte intorno all’Africa, l’intensificarsi dei contatti con l’Estremo Oriente, India e Cina. Anche sul piano interno, il mondo culturale e politico europeo fu attraversato da fratture violente dei quadri precedenti: dalle divisioni religiose nate nel paesi nordici dopo lo scisma di Lutero alla rottura con gli schemi culturali passati rivendicata dagli umanisti italiani con il recupero della classicità latina. Si tratta certo di fenomeni complessi che si nutrono tuttavia di materiali già ampiamente presenti nelle società europee del tardo Medioevo.
Su un terreno invece la novità era veramente sorprendente: la scoperta del Nuovo Mondo. Una scoperta che fu compresa, nella sua reale portata storica, solo grazie ad Amerigo Vespucci agli inizi del Cinquecento. Vespucci era uno scienziato, un tecnico della navigazione e della geografia, un vero esploratore che si rese conto, dopo un attento studio delle coordinate dei suoi viaggi, di essere approdato in un continente nuovo, al contrario di Colombo che credeva ancora, dopo quattro viaggi, di essere arrivato in qualche parte dell’India. Vespucci comprese anche che il mondo che aveva scoperto era abitato da un’umanità lontana e totalmente altra da quella europea. Il ritratto che ne fece nella lettera sul Mondo Nuovo disegna una società ancora immersa in un ambiguo “stato di natura”, dove gli uomini potevano vivere senza regole, senza leggi e religione, senza ricerca di lucro, sena desiderio di possesso.
………….
In più non hanno regole sociali, si nutrono quando vogliono, si uniscono liberamente senza regole matrimoniali.
…………….
Infine non usano denaro e non conoscono proprietà
……………
Davanti a questo mondo incognito, Vespucci oscilla fra lo stupore per il primitivo (genuino e in molti aspetti positivo) e una più conformista presa di distanza dal “selvaggio”, ma in ogni caso non può fare a meno di notare l’alterità assoluta dei popoli che ha incontrato. Non era certo la prima volta che nei viaggi remoti si scoprivano popoli strani e lontano. Ma era forse la prima volta che si poneva la possibilità di plasmare i nuovi territori e i loro abitanti secondo un modello importato da fuori. L’Europa (in questo caso Spagna e Portogallo) si assunse così il diritto-dovere di costruire una società a sua immagine e somiglianza in una terra nuova abitata da non-uomini non soggetti ad alcuna legge.
Prendiamo questo momento come soglia simbolica di fuoriuscita dal Medioevo: l’Europa che inventa un mondo nuovo. Quali modelli scelse per costruire questo suo alter ego nel continente appena scoperto? Quale immagine esportò di sé stessa per forgiare una società dal nulla?
La prima forma scelta per inquadrare i nuovi territori fu il vassallaggio. I re si dichiararono i signori di tutte le terre conquistate, i proprietari naturali dei diritti sui beni di quei paesi remoti. Esercitavano, dunque, un potere politico basato sul possesso dei beni, che riguardava tutti gli abitanti, anche i conquistatori europei.
Più difficile era la condizione degli indios locali, che in un primo momento furono tenuti isolati e considerati come “privi di anima”. Ben presto però le condizioni si avvicinarono e spagnoli e indigeni furono soggetti alle medesime regole.
A tutti i residenti delle Americhe fu imposto di vivere all’interno di insediamenti accentrati, villaggi e città. La convivenza in comunità doveva favorire una vita ordinata, guidata dalla religione, sottoposta alle leggi e disciplinata dai giudici. La città, come recitano i progetti di popolamento per le Americhe del sud, assicura infatti “una buona amministrazione dei sacramenti e della giustizia e che tutti gli spagnoli vivano in forma di repubblica”. Al di fuori di questi quadri, invece, “ciascuno vive a suo modo sotto il comando delle sue pulsioni” e “senza altra regola che il capriccio e il desiderio”. La paura di “isole sociali” autonome, formate da coloni e nativi, lontane da tutti e allo stato brado animava queste disposizioni dove diritto e morale erano ormai inscindibili, dove giudici e sacerdoti erano entrambi utili alla “repubblica”.
E’ un linguaggio per certi versi modernissimo, che esprime la pretesa d creare una nuova società come un controcanto “civile" alla lettera di Vespucci sulla Natura da disciplinare. Eppure i termini e gli strumenti concettuali di questa opera di creazione avevano una lunga storia che abbiamo più volte ripercorso in questo volume: il vassallaggio come forma di dominio sugli uomini, l’identità di vita religiosa e vita civile, la città come mezzo di incivilimento e di inserimento dei sudditi nello Stato, il possesso come base del potere, la famiglia come schema naturale di riproduzione della società. Un lungo Medioevo che continua e si intreccia in modo inestricabile con la formazione di un mondo che si voleva nuovo.
Cronologia
313 Editto di Milano
324 Fondazione di Costantinopoli
325 Concilio di Nicea
375 Adrianopoli: i Visigoti sconfiggono l’imperatore Valente
380 Editto di Tessalonica
406-407 Crollo del limes romano
410 I visigoti saccheggiano Roma
429 Stanziamento dei Vandali in Africa occidentale
476 Deposizione dell’ultimo imperatore romano d’Occidente
489 Gli Ostrogoti conquistano l’Italia
507 Vouillé: il re franco Clodoveo sconfigge il visigoto Alarico 2
510 Redazione del Pactus legis Salicae nel regno franco
535-553 Guerra greco-gotica
568 Conquista longobarda dell’Italia
622 Egira, fuga di Muhammad a Medina
643 Redazione dell’editto del re longobardo Rotari
661 Uccisione di Alì, quarto califfo: ascesa al potere dei califfi omayydi
717-718 Conquista araba della penisola iberica
751 Ascesa al trono di Pipino 2, primo re carolingio
774 Carlo Magno, re dei Franchi, conquista l’Italia
800 Incoronazione imperiale di Carlo Magno
814 Morte di Carlo Magno
840 Morte dell’imperatore Ludovico il Pio
843 Pace di Verdun tra Lotario, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico
888 Morte dell’imperatore Carlo il Grosso
909-910 Fondazione dell’Abbazia di Cluny
955 Lechfeld: Ottone 1 sconfigge gli ungari
962 Ottone 1 è incoronato imperatore
987 Morte di Ludovico 5, re di Francia, ascesa al trono di Ugo Capeto
1002 Morte di Ottone 3 imperatore, ascesa al trono di Enrico 2
1030 Primo insediamento di un contingente normanno nell’Italia del sud ad Aversa
1046 Deposizione dei tre papi romani a Sutri da parte dell’imperatore Enrico 3, elezione del papa tedesco Clemente 2
1054 Scisma tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Bisanzio ortodossa
1059 Decreto di Nicola 2 sull’elezione del papa
1059 Giuramento di fedeltà del duca normanno Roberto il Guiscardo al papa Niccolò 2
1066 Battaglia di Hastings e inizio del regno di Guglielmo il conquistatore in Inghilterra
1072 Conquista di Palermo da parte dei Normanni (Ruggero il gran conte)
1074 Elezione di Ildebrando di Soana al pontificato, sotto il nome di Gregorio 7
1075 Concilio di Roma, primo divieto delle investiture degli ecclesiastici da parte dei laici
1076 Concilio di Worms e deposizione di Papa Gregorio 7 da parte dei vescovi fedeli all’Impero
1084 Insediamento di Bruno di Colonia a Chartreuse (certosini)
1086 Redazione del Domesday book sotto Guglielmo 1 re d’Inghilterra
1095 Conferimento a Ruggero d’Altavilla della carica di legato apostolico in Sicilia
1098 Prima comunità fondata da Roberto di Molesme a Citeaux (Cistercensi)
1099 Conquista di Gerusalemme da parte dei cavalieri occidentali, Baldovino di Boulogne incoronato re
1108 Inizio del regno di Luigi 6 in Francia, recupero delle contee ribelli nel dominio
1119 Carta di Carità dei cistercensi approvata dal papa Callisto 2
1122 Concordato di Worms sulle investiture fra papa Callisto 2 ed Enrico 5
1127 Redazione delle Consuetudini dei Certosini
1137 Inizio del regno di luigi 7
1138 Conferma del titolo di re a Ruggero 2 da parte del papa Innocenzo 2
1140 Assise di Ariani del re normanno
1142 Redazione del Catalogo dei baroni del regno normanno
1146 Predicazione di San Bernardo per una nuova crociata in terra santa
1152 Inizio del regno di Federico 1 di Hohenstaufen
1154 Pace dell’Impero proclamata da Federico 1 di Svevia
1154 Enrico 2 dei Plantageneti re d’Inghilterra, duca di Normandia e d’Aquitania
1155 Proclamazione della pace del re di Francia da parte di Luigi 7
1158 Dieta di Roncaglia di Federico 1, definizione dei poteri dell'imperatore e richiesta ai comuni italiani di restituire le regalie (diritti regi)
1162 Assedio di Milano da parte di Federico 1
1167 Primi giuramenti della Lega lombarda stretta fra i comuni lombardi e veneti
1180 Inizio del regno di Filippo Augusto in Francia
1183 Pace di Costanza fra i comuni della Lega e Federico 1
1186 Matrimonio dell'erede all'impero Enrico 6 con Costanza d'Altavilla
1187 Terza spedizione in terra santa
1190 Morte di Federico 1 Barbarossa in Siria
1194 Riccardo cuor di leone re d'Inghilterra
1197 Morte di Enrico 6, il figlio di Federico Ruggero, poi Federico 2, diventa erede
1199 Successione al trono di Giovanni senza terra figlio di Enrico 2
1204 Perdita dei domini plantageneti in Francia: Filippo Augusto re di Francia conquista la Normandia
1209-1210 Viaggio a Roma di Francesco d'Assisi per farsi riconoscere oralmente dal papa la sua forma di vita
1215 Primo riconoscimento dei predicatori di Domenico di Caleruega da parte del vescovo di Tolosa
1216 Onorio 3 riconosce l'ordine dei predicatori; Domenico redige le consuetudini
1212 Battaglia di Las Navas di Tolosa e vittoria del re di Castiglia sull'esercito musulmano
1212 Federico 2 di Svevia eletto re di Germania
1214 Battaglia di Bouvines, vittoria di Filippo Augusto di Francia
1215 Concessione ella Magna Charta ai baroni inglesi
1215 Concilio del Laterano 4 sotto Innocenzo 3
1220 Federico di Svevia unto imperatore da Onorio 3
1220 Costituzioni di Federico contro gli eretici: privilegio ai principi ecclesiastici in Germania
1231 Redazione del Liber Augustalis da parte di Federico 2
1226 Morte di Francesco d’Assisi
1227 Prima scomunica di Federico 2 da parte di Gregorio 9
1231 Federico 2 emana le costituzioni di Melfi o Liber Augustalis
1250 Morte di Federico 2
1273 Elezione di Rodolfo d’Asburgo re dei Romani (imperatore)
1282 Vespri siciliani, rivolta contro il dominio angioino in Sicilia e divisione del regno meridionale: la Sicilia sotto Pietro 3 d’Aragona; Napoli sotto gli Angioini
1296 Primo scontro fra Filippo il Bello di Francia e papa Bonifacio 8 sul contributo fiscale del clero francese
1302 Bolla di Bonifacio 8 Unam sanctam in cui si enunciano i principi della teocrazia papale
1303 Arresto e morte di Bonifacio 8
1307 Prima inchiesta lanciata da Filippo il Bello contro i templari e arresto dei membri dell’ordine di Francia
1309 Trasferimento della sede papale da Roma ad Avignone
1310 Ascesa di Enrico 7 re di Germania in Italia
1313 Morte precoce di Enrico 7 imperatore
1315 Luigi 10 di Francia accorda le carte di libertà alle regioni ribelli, Borgogna, Piccardia e Betagna
1316 Elezione di papa Giovanni 22 ad Avignone e inizio dei processi di stregoneria
1328 Fine dei Capetingi ed elezione di Filippo di Valois in Francia
1337 Edoardo 3 d’Inghilterra rivendica il trono di Francia, inizio della guerra dei cento anni
1340 Edoardo 3 entra a Gand e prende il titolo di re di Francia
1356 Sconfitta dell’esercito francese a Poitiers, il re Giovanni il Buono è fatto prigioniero
1356 Bolla d’Oro, nuova costituzione dell’Impero, e privilegi riconosciuti ai 7 principi elettori
1378 Inizio grande scisma, due papi e due sistemi di fedeltà nei regni europei
1431 Carlo 7 incoronato re di Francia dopo la guerra con i Borgognoni
1431 Concilio di Basilea, si afferma la superiorità del Concilio sul papa
1438 Alberto d’Asburgo eletto re di Germania, inizio del dominio della dinastia d’Asburgo
1440 Federico 3 d’Asburgo succede ad Alberto come re di Germania
1442 Alfonso d’Aragona conquista il regno di Napoli
1453 Fine della guerra dei cento anni
1453 Caduta di Costantinopoli, fine dell’Impero romano d’oriente
1454 Pace di Lodi fra i Visconti e Venezia: inizio della politica dell’equilibrio in Italia
1455 Inizio della guerra delle due rose in Inghilterra
1469 Matrimonio di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, unione personale delle due corone
1492 Caduta dell’ultima enclave musulmana in Spagna, il regno di Granada
1492 Scoperta delle isole caraibiche da parte di Cristoforo Colombo convinto di aver raggiunto le Indie da Occidente
1494 Inizio delle guerre d’Italia
1495 L’imperatore Massimiliano 1 tenta una riforma dell’Impero durante la dieta di Worms
1507 Amerigo Vespucci per primo ha realizzato di aver scoperto un mondo nuovo: il nuovo continente viene chiamato America
Introduzione alla storia medievale
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Introduzione alla storia medievale
Cap. 1 L’età medievale: spazio, tempo, periodizzazioni / di Luigi Provero
Riassunto
“Periodizzare” significa individuare nel flusso del tempo dei momenti di frattura e delle fasi più omogenee. Questo è sempre stato uno dei principali obiettivi degli storici, che non si sono mai limitati a narrare gli avvenimenti del passato, ma hanno cercato di interpretarli, di cogliere i mutamenti e i loro ritmi, ovvero – appunto – periodizzare.
Per ragionare sul Medioevo, come su qualunque altro periodo storico, dobbiamo dunque partire dal presupposto che il nome e l’idea di “medioevo” non sono dati oggettivi, ma l’esito di una scelta culturale che nasce da un’interpretazione del passato.
Ragionare sull’idea di medioevo e sui suoi limiti cronologici non è quindi un esercizio erudito, ma uno sforzo necessario per comprendere la formazione di alcuni riferimenti fondamentali della nostra cultura storica
Bibliografia
Un lungo medioevo / Jacques Le Goff. – Laterza, 2006
L’idea di Medioevo: tra senso comune e pratica storica / G. Sergi. – Donzelli, 1998
Le ideologie politiche del Medioevo / G. Tabacco. – Einaudi, 2000
L’eredità di Roma: storia d’Europa dal 400 al 1000 d. C. / C. Wickam. – Laterza, 2014
Cap. 2 Narrare, stabilire, registrare: le “voci” del Medioevo / di Giuseppe Albertoni
Riassunto
Il Medioevo fu caratterizzato a lungo dal predominio della comunicazione orale. Quando avviciniamo una fonte scritta d’età medievale, di conseguenza, dobbiamo sempre essere consapevoli che era parte di un sistema comunicativo più ampio, fatto di parole non scritte, di gesti, di immagini e di rituali.
In questo sistema comunicativo, scrivere narrazioni, delibere, decisioni, leggi, passaggi di proprietà o altri atti non sempre era agevole o necessario.
Non è semplice, d’altra parte nemmeno per lo storico odierno leggere i testi redatti nel medioevo a causa delle scritture impiegate, del loro formalismo, della lingua in cui furono composte. Ancora più difficile è ricostruire il più ampio sistema comunicativo nel quale erano collocate. Ma chi scriveva nel Medioevo? Di cosa scriveva? Quali testi sono stati conservati? Quali “voci” possiamo ancora ascoltare? In questo capitolo proveremo a dare una prima risposta a questi interrogativi, ricordando che, in ogni caso, le testimonianze scritte devono essere sempre poste in dialogo con quelle materiali
Bibliografia
Apologia della storia o Mestiere dello storico / M. Bloch. – Einaudi, 2009
Italia medioevale: struttura e geografia delle fonti scritte / P. Cammarosano. – Carocci, 1991
Medioevo da leggere: guida allo studio delle testimonianze scritte del Medioevo italiano / A. Petrucci. – Einaudi, 1992
L’Europa dopo Roma: una nuova storia culturale, 500-1000 / J. M. H. Smith. – Il mulino, 2008
Cap. 3 Far parlare gli oggetti: lo studio del Medioevo e l’archeologia / di Simone M. Collavini
Riassunto
Nell’ultimo mezzo secolo le fonti materiali hanno assunto peso crescente per lo studio del Medioevo, ma il fenomeno è destinato a farsi sempre più consistente, non fosse altro perché ogni giorno centinaia di scavi archeologici mettono a disposizione nuove informazioni, mentre la documentazione scritta, soprattutto quella dell’atro e pieno Medioevo, è incrementata solo da rari e fortunati ritrovamenti. Così nelle indagini di dettaglio e negli studi di sintesi, accanto ai testi scritti hanno assunto importanza strutture edilizie, sepolture, manufatti, relitti navali, resti umani animali e botanici, per fare solo qualche esempio.
Questa novità è legata a un fenomeno più generale: l’allargarsi dell’attenzione degli storici dai temi tradizionali (narrazione degli eventi, storia delle istituzioni, storia della cultura alta, storia della chiesa) ai temi imposti dalla “nuova storia” e, più in generale, dal crescente influsso delle scienze sociali, accompagnato dall’ampliarsi delle ricerche dai gruppi egemoni ai ceri inferiori e dalla politica e dalla cultura alle strutture economiche e sociali. Hanno così avuto impulso la storia economica e quella della mentalità, la storia locale e quella dei ceti inferiori, la storia di genere. La valorizzazione del dato archeologico, dei documenti privati e delle altre scritture dell’uso rimanda al tentativo di individuare nuove tipologie di fonti in vista dell’apertura di nuovi campi alla ricerca storica. Un fenomeno che, talora, ha reso problematiche le tradizionali periodizzazioni, fino a mettere in discussione la nozione stessa di “Medioevo”. Su molti di questi temi le fonti materiali sono del resto più ricche di informazioni di quelle scritte: interessano tutta la popolazione e non solo le élite alfabetizzate, possono essere trattate quantitativamente e sono distribuite più omogeneamente nello spazio.
Bibliografia
Castelli: storia e archeologia del potere nella Toscana medioevale / a cyra di R. Francovich e M. Ginatempo. – All’insegna del giglio, 2000
Introduzione all’archeologia medievale / S. Gelichi. – Carocci, 1998
Fonti archeologiche e fonti storiche: un dialogo complesso / C. Wickam. – In: Storia d’Europa e del Mediterraneo / diretta da A. Barbero, Sez. 4.: Il Medioevo (secoli V-XV) / a cura di S. Carocci, vol. 9.: Strutture, preminenze, lessici comuni. – Salerno, 2007
Cap. 4 Regni e impero / di di Alessio Fiore
Riassunto
Benché il potere regio non fosse ugualmente forte in tutte le regioni della cristianità occidentale, la maggior parte della popolazione europea visse nel medioevo sotto un re di cui, almeno formalmente, riconosceva la giurisdizione. L’unica reale eccezione a questa situazione fu una terra dell’estrema periferia europea, l’Islanda, che fino al 1262, quando riconobbe il dominio del re di Norvegia, si autogovernò senza strutture gerarchiche formali.
Un regno del secolo 6. poco però aveva in comune con un regno del secolo 12. e tanto meno con le monarchie del secolo 15. Regno è dunque una espressione polisemica, che può indicare realtà politiche anche molto diverse fra loro. E’ quindi importante cercare di comprendere cosa fosse un regno e quali fossero le sue caratteristiche materiali e simboliche nei diversi momenti del medioevo per poter capire adeguatamente gli sviluppi politici europei.
Bibliografia
I due corpi del re: l’idea di regalità nella teologia politica medievale / E. H. Kantorowicz. – Einaudi, 1989
Il re nell’occidente medievale / J. Le Goff. – Laterza, 2008
Cap. 5 Chiese, monasteri e religiosità / di Tiziana Lazzari
Riassunto
Il fenomeno religioso appare così pervasivo di ogni aspetto della vita del millennio medievale che compare inevitabilmente in ogni argomento si intenda trattare: l’affermazione del cristianesimo in epoca tardoantica aveva trasformato profondamente le istituzioni, la simbologia politica e lo stesso linguaggio del potere. L’economia urbana e delle campagne fu strettamente connessa alle iniziative di chiese e monasteri e la conservazione dei testi scritti fino al secolo 12. è necessariamente legata all’archivio di un ente religioso o ecclesiastico. Ma il cristianesimo non fu soltanto la religione ufficiale delle élite, politiche, intellettuali ed economiche. Fu anche la fede di chi cercava un percorso di salvezza individuale, di chi credeva alla possibilità di costruire una società migliore, più egualitaria, meno violenta. L’interazione fra questi due modi di intendere la cristianità originò tensioni costanti e conflitti sanguinosi, ma fu per lungo tempo l’occasione di sperimentazioni innovative che furono imbrigliate con efficacia solo a partire dal secolo 13.
Bibliografia
La Chiesa nel Medioevo / C. Azzara e A. Rapetti. – Il Mulino, 2010
Per la cruna di un ago: la ricchezza, la caduta di Roma e lo sviluppo del cristianesimo / P. Brown. – Einaudi, 2014
Storia del cristianesimo: il Medioevo / M. Gallina, G. G. Merlo e G. Tabacco. – Laterza, 1997
Le città dei monaci: storia degli spazi che avvicinano a Dio / F. Marazzi. – Jaca Book, 2015
Storia del cristianesimo, vol. 2.: L’età medievale (secoli 8.-15.) / A cura di M. Benedetti. – Carocci, 2015
Cap. 6 Le città / di Tiziana Lazzari
Riassunto
“Potrei dirti di quanti gradini sono fatte le vie e le scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quante lamine di zinco sono ricoperti i tetti: ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato”.
Così scriveva Italo Calvino nelle Città invisibili agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso e, negli stessi anni, Pier Paolo Pasolini girava un breve documentario per la RAI, intitolato La forma della città, nel quale sottolineava la diretta relazione fra la forma urbana e l’azione politica di chi l’aveva vissuta, nei secoli.
L’urgenza determinata dalle dissennate scelte urbanistiche di quegli anni spingeva gli intellettuali a riflettere su un tema che, però, non era nuovo, perché si ripresenta con regolarità nella storia della cultura ogni volta che la società contadina, e il contesto politico in cui questa è inserita, cambia profondamente e che, allora, modifica in modo altrettanto vistoso il proprio habitat, la forma della città.
Bibliografia
La città nella storia d’Europa / L. Benevolo. – Laterza, 1993
Per antiche strade: caratteri e aspetti delle città medievali / F. Bocchi. – Vella, 2013
I Normanni in città: schemi politici ed urbanistici. – In: Società, potere e popolo nell’età di Ruggero 2. – Bari, 1979
Le città italiane nel Medioevo: 12.-14. Secolo / F. Franceschi e I. Taddei. – Il Mulino, 2012
L’immagine della città nella storia d’Italia / a cura di F. Bocchi e R. Smurra. – Viella, 2003
Cap. 7 Signoria e feudalesimo / di Luigi Provero
Riassunto
Nell’immaginario diffuso, il feudalesimo è un calderone in cui rientrano il vassallaggio e il dominio signorile, i castelli e la violenza, il particolarismo e la servitù. La definizione che ne da Flaubert nel suo Dizionario del luoghi comuni, “Feudalesimo: non averne alcuna idea precisa ma inveire contro”, è solo la versione umoristica di una diffusa idea di feudalesimo che unisce la massima confusione e il massimo connotato negativo. L’origine di questa confusione concettuale è probabilmente da situare nel momento finale della storia del feudalesimo, ovvero durante la Rivoluzione francese che abrogò il feudalesimo, intendendo allora con questo termine tutti i diritti signorili, le forme di asservimento e di dipendenza personale.
Bibliografia
La feudalità in età moderna / R. Ago. – Laterza, 1994
Vassalli, feudi, feudalesimo / G. Albertoni. – Carocci, 2015
Il mutamento feudale: secoli 10.-12. / J.-P. Poly e E. Bournazel. – Mursia, 1990
Dai re ai signori: forme di trasmissione del potere nel Medioevo / G. Tabacco. – Einaudi, 2000
Cap. 8 Le “regole del gioco” della politica / di Giusepep Albertoni
Riassunto
La ricerca antropologica ha dimostrato da decenni che la comunicazione sociale e politica non può essere ricondotta alla sola dimensione verbale: si comunica, infatti, anche attraverso i gesti, gli abiti, le acconciature, il cibo, gli oggetti. Ma, al contrario dell’antropologo, lo storico non ha la possibilità di osservare direttamente la società che studia e che può filtrare solo attraverso le fonti, scritte e materiali.
Di conseguenza, frequentemente può comprendere con grande difficoltà il “vocabolario” e la “grammatica” – in altri termini il “codice” – all’interno del quale la comunicazione non verbale si pone.
Questa difficoltà ha fatto si che a lungo i medievisti abbiano privilegiato la componente istituzionale, giuridica o signorile dell’esercizio del potere, dedicando minore attenzione al ruolo in esso svolto dalla comunicazione non verbale o simbolica. Ciò non significa, naturalmente, che questi aspetti siano stati trascurati, come dimostrano ricerche pionieristiche sulla regalità medievale come I re taumaturghi di Marc Bloch o Insegne del potere e simbolismo dello stato di Percy Ernst Schramm.
Tuttavia, solo a partire dagli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, con la cosiddetta “svolta storico-antropologica”, essi si sono imposti all’attenzione degli studiosi, che ormai quasi unanimemente riconoscono l’importanza di gesti e rituali per comprendere le caratteristiche specifiche – le “regole del gioco” – della politica medievale.
Bibliografia
I re taumaturghi: studi sul carattere sovrannaturale attribuito alla Potenza dei re, particolarmente in Francia e Inghilterra / M. Bloch. – Einaudi, 1973
I riti, il tempo, il riso: cinque saggi di storia medievale / J. Le Goff. – Laterza, 2001
Il gesto nel Medioevo / J.-C. Schmitt. – Laterza, 1990
Cap. 9 La guerra
Riassunto
In epoca medievale la guerra fu indubbiamente, insieme con la fiscalità e la giustizia, uno dei principali strumenti dell’attività di governo. La sua analisi è, dunque, un eccellente punto di osservazione per cogliere i principali assetti sociali e di potere del Medioevo e le loro trasformazioni nel corso del tempo. Bisogna tuttavia premettere che tracciare una linea di demarcazione tra guerra e semplice violenza appare, in molti contesti medievali, assai difficile, anche per il livello spesso assai ridotto che, come vedremo meglio in seguito, caratterizzò le attività belliche. In questo senso è fondamentale tenere a mente che nel Medioevo occidentale l’esercizio della violenza, molto spesso, non era un monopolio delle formazioni politiche, ma era largamente diffuso all’interno del corpo sociale: individui o gruppi potevano ricorrere autonomamente alla forza, in modo più o meno organizzato a seconda delle diverse situazioni.
Le formazioni politiche (in primo luogo i regni, ma anche principati o comuni urbani) cercarono di limitare tutto ciò, ma con risultati il più delle volte limitati. La possibilità di ricorrere alla violenza pur con modalità assai di verse a seconda dei vari contesti – era infatti largamente riconosciuta. La vendetta di sangue, cioè il diritto di vendicare la morte di un parente stretto con le armi, uccidendo il responsabile ( e spesso anche i suoi congiunti) era, per esempio, ritenuta una pratica lecita, anche se la normativa cercava di contenerla attraverso forme di compensazione in denaro. Se l’esercizio legalmente ammesso della violenza era molto più ampio di quello attuale, non stupisce rilevare che la società nel suo complesso fosse molto più tollerante nei confronti della violenza privata rispetto alla nostra, anche quando essa era, almeno formalmente, illegittima.
Vi era quindi una costante tensione tra i tentativi di controllo da parte del potere centrale dell’esercizio della violenza e l’autonomia di cui davano prova gli attori sociali e tuttavia, fino alla piena età moderna, lo sforzo statale di assumerne il monopolio non fu mai coronato da pieno successo.
Bibliografia
La guerra nel Medioevo / P. Contamine. – Il Mulino, 2005
Rapine, assedi, battaglie: la guerra nel Medioevo / A. A. Settia. – Laterza, 2002
Cap. 10 Uomini e donne, parentele e affinità
Riassunto
Esistono realtà sociali elementari, quali l’essere maschio o femmina, o appena più complesse, per esempio la famiglia, che vengono comunemente interpretate in senso astorico e, a tal proposito, viene loro attributo un aggettivo tanto diffuso quanto pericoloso, “naturale”. Si sostiene pertanto l’esistenza di una famiglia “naturale”, intendendo con questa espressione una coppia coniugale con uno o più figli, così come si dichiara “naturale” essere – e comportarsi da – uomini o donne.
Studiare la storia aiuta invece a comprendere che l’identità di genere, così come le forme sociali della riproduzione, non appartengono al campo della biologia, ma a quello della cultura e che perciò cambiano profondamente nei diversi contesti storici e politici.
Bibliografia
Agire da donna: modelli e pratiche di rappresentazione (secoli 6.-10.) / a cura di C. La Rocca. – Brepols, 2007
Memorie sepolte: tombe e identità nell’alto Medioevo (secoli 5.-8.) / I. Barbiera. – Carocci, 2012
Lignaggio, nobiltà e cavalleria nel secolo 12. Nella regione di Macon: una revisione / G. Duby. – In: Le società medievali / G. Duby. – Einaudi, 1985
Famiglia e parentela nell’Italia medievale / a cura di G. Duby e J. Le Goff. – Il Mulino, 1981
Le donne nell’alto Medioevo / T. Lazzari. – Mondadori Bruno, 2010
Uomini e donne nel Medioevo: storia del genere (secoli 12.-15.). – Il Mulino, 2014
Cap. 11 Libertà, servitù, forme di dipendenza personale / di Simone M. Collavini
Riassunto
La distinzione della popolazione in liberi e servi è una delle eredità medievali di Roma. Essa compare nelle leggi romano-barbariche e, per tutto il Medioevo, le fonti narrative e documentarie ricordano servi, in quantità e contesti variabili nel tempo. La loro condizione giuridica e i termini con cui erano designati (servi, ancillae, mancipia) mutarono poco dalla tarda romanità, salva l’affermazione del termine sclavus (dovuta alle origini slave di molto dei servi della tratta). Tale contrapposizione agì nella società medievale sia sul piano del diritto sia su quello delle rappresentazioni ideologiche; e, almeno in certi contesti, incise sulle forme di vita di specifici, ma limitati, gruppi servili.
Bibliografia
Come e perché finì la schiavitù antica / M. Bloch. – In: La servitù nella società medievale. – La Nuova Italia, 1975
Lo specchio del feudalesimo: sacerdoti guerrieri e lavoratori / G. Duby. – Laterza, 1981
Le origini dell’economia europea: comunicazioni e commerci / M. McCormick. – Vita e Pensiero, 2009
Cap. 11 Aristocrazie e nobiltà / di Giuseppe Albertoni
Riassunto
Lo storico tedesco Karl Ferdinand Werner pubblicò un importante libro dedicato alla nascita della nobiltà e allo sviluppo delle élite politiche in Europa. Nelle sue conclusioni ricordò un episodio significativo, che ebbe come protagonista Giovanni Tomasi di Lampedusa, il principe siciliano autore del Gattopardo, notoriamente uno dei maggiori romanzi della letteratura italiana del Novecento. Alla domanda di un giornalista che gli chiedeva: “Ma che cosa fate nella vita?” egli si ostinava a rispondere: “Sono un principe”.
Ora questa risposta appariva a Werner il lontano retaggio di società nelle quali l’individuo non si definiva in base al proprio lavoro, ma al proprio status sociale. In esse le identità sociali individuali e collettive non erano definite in base alla domanda “Che cosa fai?”, ma al quesito “Chi sei?”; non dun/ G. Duby. - que in base al lavoro o all’attività ma in base alla nascita e agli obblighi che ne derivavano. Questo ordinamento sociale caratterizzato dalla presenza di una “nobiltà di sangue” distinta dagli altri ceti si affermò nelpieno e nel basso medioevo in seguito a mutamenti strutturali nella definizione delle élite e del loro ruolo
Bibliografia
La società feudale / M. Bloch. – Einaudi, 1949 e successive
Nobili e re: l’Italia politica dell’alto Medioevo / P. Cammarosano. – Laterza, 1998
Una società francese nel Medioevo: la regione di Macon nei secoli 11. e 12. / G. Duby. – Il Mulino, 1985
La nascita della nobiltà: lo sviluppo delle élite politiche in Europa / K. F. Werner
Cap. 13 Demografia, economia e scambi
Riassunto
Tra i secoli 5. e 15. lo sviluppo economico e la crescita demografica furono spesso legati a filo doppio, tanto che proprio l’aumento della popolazione è stato di frequente ritenuto dalle ricerche degli ultimi decenni il principale motore del processo di sviluppo economico che caratterizzò gran parte del Medioevo. La crescita demografica generò infatti un aumento della domanda, stimolando quindi in modo decisivo la produzione, benché, come vedremo, anche altri fattori abbiano contribuito a determinare dorme e modalità dell’aumento produttivo
Bibliografia
Le origini dell’economia europea: comunicazioni e commerci / M. McCormick. – Vita e Pensiero, 2009
La fame e l’abbondanza: storia dell’alimentazione in Europa / M. Montanari. – Laterza, 1993
La banca e il credito nel Medioevo / L. Palermo. – Bruno Mondadori, 2008
Le società dell’alto Medioevo: l’Europa e il Mediterraneo (400-800) / C. Wickham. – Viella, 2009
Cap. 14 Le forme dell’identità politica collettiva / di Luigi Provero
Riassunto
In ogni periodo storico l’azione sociale e politica passa sempre attraverso il coordinamento in strutture collettive: è una questione di necessaria collaborazione trai singoli, ma è anche un processo di elaborazione di identità collettive, l’affermazione di una dimensione in cui il singolo si sente parte di un qualcosa di più grande (una parentela, una comunità, un popolo).
Tutte le identità collettive, a qualunque livello, sono l’esito di processi di elaborazione e di costruzione e per questo hanno attirato l’attenzione degli storici: il singolo non è semplicemente e passivamente un membro di una collettività ma agisce per esserne parte e per modificarne le forme e i funzionamenti.
Della prima forma di identità politica collettiva, la parentela nelle sue varie accezioni, dalla famiglia nucleare al clan tribale si è già detto. Presenteremo qui qualche esempio di forme di collettività che ebbero un chiaro rilievo politico come quadri che organizzavano e orientavano l’azione dei singoli nel mondo: forme di identità e di azione utili a mostrare l’importanza di questa dimensione.
Bibliografia
Prima delle nazioni: popoli, etnie e regni tra Antichità e Medioevo / S. Gasparri. – Carocci, 1997
“Comunia”: le risorse collettive nel Piemonte comunale / R. Rao. – LED, 2008
Le parole dei sudditi: azioni e scritture della politica contadina nel Duecento / L. Provero. – CISAM, 2012
Comunità e clientele nella Toscana del 12. Secolo: le origini del comune rurale nella Piana di Lucca. – Viella, 1995
Cap. 15. 380: Impero romano e cristianesimo / di Luigi Provero
Riassunto
Il 27 febbraio 380 a Tessalonica, l’odierna Salonicco, su iniziativa dell’imperatore Teodosio fu emanato un decreto che riconosceva come religione ufficiale dell’Impero il cristianesimo, nelle forme che erano state definite dal concilio di Nicea del 325. Toeodosio vietò quindi sia i culti pagani, sia l’eresia ariana e fece del cristianesimo niceno l’unica religione ammessa.
Fu il completamento di un processo che, nel giro di pochi decenni, aveva portato il cristianesimo dalla condizione di religione minoritaria e perseguitata a quella di religione ufficiale e dominante. Per comprendere l’editto di Tessalonica occorre quindi tornare indietro alle persecuzioni che avevano colpito i cristiani alla fine del secolo 3. e all’editto di Milano, che nel 313 aveva concesso loro la libertà di culto.
Bibliografia
La formazione dell’Europa cristiana: universalismo e diversità, 200-1000 d. C. / P. Brown. – Laterza, 1993
Storia di Roma, vol. 3.: L’età tardoantica / a cura di A. Carandini, L. Cracco Ruggini e G. Tabacco. – Einaudi, 1993
Il cristianesimo latino altomedievale / G. Tabacco. – In: Storia del cristianesimo: Il Medioevo / a cura di G. Filoramo e D. Menozzi. – Laterza, 1997
L’eredità di Roma: storia d’Europa dal 400 al 1000 d. C. / C. Wichham. – Laterza, 2014
Cap. 16 476 Inizio del Medioevo o trasformazione del mondo antico? / di Simone M. Collavini
Riassunto
Tra la fine del secolo 4. E la fine del secolo 5. All’unità politica romana si sostituì nell’Europa occidentale una pluralità di regni autonomi. Una molteplicità di modelli regionalmente differenziati subentrò all’omogeneità delle strutture istituzionali, sociali ed economiche romane. Il 476 con la deposizione dell’imperatore d’occidente Romolo Augustolo da parte di Odoacre e l’invio delle insegne imperiali a Costantinopoli , ha assunto il ruolo di simbolo del cambiamento: finisce l’impero romano, inizia il Medioevo.
Bibliografia
Tempi barbarici: l’Europa occidentale tra antichità e Medioevo / S. Gasparri e C. La Rocca. – Carocci, 2012
Le origini etniche dell’Europa: barbari e romani tra antichità e Medioevo / W. Pohl. – Viella, 2000
La caduta di Roma e la fine della civiltà / B. Ward-Perkins. – Laterza, 2015
L’eredità di Roma: storia d’Europa dal 400 al 1000. / C. Wickham. – Laterza 2014
Cap. 17. 527 Giustiniano e un impero romano lontano da Roma / di Giuseppe Albertoni
Riassunto
La storia dell’Impero Romano non finì con la deposizione di Romolo Augustolo del 476- La parte orientale dell’Impero infatti si mantenne in vita e nella prima metà del secolo 6. Sembrò in grado di recuperare il controllo dei territori persi in Occidente. Ciò avvenne quando la guida dell’impero fu assunta da Giustiniano, che nell’aprile del 527 fu incoronato solennemente imperatore dal patriarca di Costantinopoli di fronte ad una assemblea di alti dignitari, senatori, militari. AL contrario di quanto era usuale, tuttavia, il nuovo imperatore non si recò nel grande ippodromo cittadino per ottenere l’acclamazione popolare.
Questa scelta esprime senza ambiguità la sua concezione del potere, che si ineriva nella tradizione imperiale romana ma, nel contempo, la rinnovava su basi cristiane: era Dio e non il popolo a legittimare il potere dell’imperatore. A partire da questo principio Giustiniano si rappresentava e agiva come vicario di Dio in terra che doveva guidare un impero cristiano unito dal punto di vista religioso e politico
Bibliografia
Giustiniano / M. Meier. – Il Mulino, 2007
Il mondo bizantino, vol. 1: L’impero romano d’oriente / a cura di S. Ronchey e T. Braccini. – Einaudi, 2007
Storia dell’Impero bizantino / G. Ostrogorsky. – Einaudi, 1968
Storia di Bisanzio / W. Treagold. – Il Mulino, 2005
Cap. 18 568 I longobardi e la frammentazione politica dell’Italia / di Tiziana Lazzari
Riassunto
Il giorno dopo la Pasqua del 568 i longobardi guidati dal loro re Alboino insieme con le mogli, i figli e tutti i loro beni lasciarono la Pannonia e si diressero verso l’Italia. Attivati alla Alpi orientali confine naturale e politico insieme tra la Pannonia e la penisola, il loro re salì sul monte più alto della zona, popolato da bisonti selvaggi e dalla cima contemplò la terra che di lì a poco avrebbe percorso e conquistato. Da allora il monte fu chiamato Monte dl Re.
Bibliografia
Le leggi dei Longobardi: storia, memoria e diritto di un popolo germanico / C. Azzara e S. Gasparri. – Viella, 2004
Italia longobarda / S. Gasparri. – Laterza, 2012
I Longobardi dei ducati di Spoleto e Benevento: atti del 16. Congresso internazionale di studio sull’alto Medioevo. – CISAM, 2003
Il regno dei Longobardi in Italia: archeologia, società e istituzioni. – CISAM. 2004
Le origini etniche dell’Europa: barbari e romani tra antichità e Medioevo / W. Pohl. – Viella, 2000
Cap. 19. 622 L’egira: l’affermazione dell’Islam e il mondo mediterraneo / di Alessio Fiore
Riassunto
L’espressione egira (hijjra, “migrazione”) indica la fuga di Maometto e dei suoi seguaci dalla Mecca nel 622 e il oro insediamento a Medina, Segna convenzionalmente l’inizio del calendario islamico, introdotto solo pochi decenni dopo tali eventi. Si tratta del momento in cui la predicazione religiosa e morale di Maometto cominciò a dare vita a una nuova comunità religiosa e politica, la umma. Proprio l’inscindibile nesso tra questi due elementi aiuta a spiegare la rapidissima espansione degli arabi seguaci del profeta, che nel giro di pochi decenni modificò in modo irreversibile gli equilibri mediterranei, e non solo
Bibliografia
Storia del mondo islamico / I. M. Lapidus. – Einaudi, 1993. – 3 v.
Storia del mondo islamico / C. Lo Iacono. – Einaudi, 2003
Cap. 20 800 Carlo magno e il ritorno dell’impero in Occidente / di Tiziana Lazzari
Riassunto
Il giorno di Natale dell’anno 800 Carlo, re dei franchi e dei longobardi, si trovava a Roma e partecipò alla messa solenne della festività nella basilica di San Pietro. Mentre era davanti all’altare assorto in preghiera papa Leone 3. – che Carlo aveva appena reinsediato dopo una rivolta – gli impose sul capo la corona e turro il popolo romano lo acclamò “grande e pacifico imperatore romano, coronato da Dio”.
Su come andarono veramente le cose in quel giorno famoso, esistono numerose narrazioni, che differiscono fra loro in molti particolari, a seconda dell’interpretazione ideologica che ciascun autore diede dell’evento. Esse comunque sono concordi sul fatto che l’episodio avvenne e che il titolo imperiale fu nuovamente attribuito a un re in Occidente: si riconoscevano così l’ampiezza dei territori conquistati dai franchi e il tentativo forte di assoggettarli a una sola fede, quella cristiana, e a regole sufficientemente coerenti di convivenza.
Bibliografia
L’Italia carolingia / G. Albertoni. – Carocci, 1997
Carlo Magno: un padre sull’Europa / A. Barbero. – Laterza, 2006
I franchi / B. Jussen. – Il Mulino, 2015
Carlo magno: il barbaro santo / S. Weinfurter. – Il Mulino, 2015
Cap. 21 843 Dall’impero ai regni / di Luigi Provero
Riassunto
Nell’843 a Verdun i figli dell’imperatore Ludovico il Pio morto tre anni prima divisero in tre parti l’impero carolingio: da quel momento in poi nessuno riuscì più a riunire nelle proprie mani in modo duraturo fli amplissimi territori che erano stati controllati da Carlo magno e dal figlio.
Fu un momento importante dal punto di vista dei grandi quadri territoriali e della vicenda dinastica dei carolingi, ma la divisione non mutò in modo significativo la natura del potere regio, le sue relazioni con l’aristocrazia, la sua capacità di controllare la società. La pace di Verdun si pone invece all’interno di un processo molto più lento, di trasformazione degli equilibri tra regno e aristocrazia, un processo che si attuò lungo linee in gran parte comuni a tutto l’impero, ma con differenze via via più significative tra i diversi regni.
Bibliografia
Nobili e re: l’Italia politica dell’alto Medioevo / P. Cammarosano. – Laterza, 1998
Gli Ottoni: una dinastia imperiale fra Europa e Italia (secc. 10.-11.) / H. Keller. – Carocci, 2012
I confini del potere: marche e signorie fra due regni medievali / G. Sergi. – Einaudi, 1995
Cap. 22 955 Nuovi protagonisti nella storia d’Europa. Ungari, slavi e normanni
Riassunto
Il 10 agosto 955 l’esercito di Ottone 1., re di Germania e futuro imperatore, sconfisse a Lechfeld, in Baviera, contingenti ungari in passato autori di devastanti incursioni. La sua vittoria fu rappresentata dalle fonti coeve come un’affermazione della cristianità contro la barbarie pagana. Da una diversa prospettiva, essa è oggi considerata una tappa rilevante ma non decisiva di un nuovo “allargamento” dell’Europa verso oriente e settentrione. Protagoniste di questo “allargamento” furono società a lungo caratterizzate da strutture politiche deboli, per lo più locali o regionali, e da un potere regio che, se presente, era intermittente.
Tra i secoli 9. e 10. tuttavia esse uscirono dal loro isolamento e diedero vita ad aggregazioni politiche più strutturate. Cercheremo qui di spiegare quali furono le cause di questo mutamento, le modalità dell’incontro/scontro con i regni dell’Europa occidentale e con l’impero bizantino, i processi di inclusione, emulazione o esclusione che portarono all’affermazione di novi regni che modificarono strutturalmente gi assetti politici europei.
Bibliografia
I normanni / H. Houben. – Il Mulino, 2013
L’Europa dei barbari: le culture tribali di fronte alla cultura romano-cristiana / K. Modzelewski. – Bollati Boringhieri, 2008
L’eredità di Roma: storia d’Europa dal 400 al 100 d. C. / C. Wickham. – Laterza, 2014
Cap. 23. Ordinamento signorile / di Luigi Provero
Riassunto
Il 28 maggio 1037 Corrado 2., impegnato nell’assedio di Milano, concesse l’Edictum de beneficiis, un ampio privilegio con cui riconobbe ai vassalli dei conti o dei vescovi (capitanei) e ai loro “fedeli” (valvassores) il diritto di conservare a vita i propri benefici (beneficia, beni fondiari o diritti assegnati temporaneamente) e di trasmetterli agli eredi, un diritto che solo una grave colpa avrebbe potuto cancellare.
L’intervento imperiale fu efficace per sanare un ampio conflitto tra l’aristocrazia minore e i maggiori “potenti” del regno italico (soprattutto vescovi) ed è per noi un atto fondamentale per cogliere come i legami giurati tra persone, tra cui quelli vassallatici, fossero divenuti in questa fase la principale forma di solidarietà all’interno della società aristocratica.
Ma la questione dei diritti di capitanei e valvassores (detti anche primi e secundi milites) era solo uno degli aspetti di una più ampia trasformazione, su cui il potere imperiale poteva incidere marginalmente: era in atto un grande e lento mutamento delle strutture del potere e dell’organizzazione sociale, una ridefinizione degli equilibri tra re e aristocrazie, verso forme di dominio signorile delle campagne, ma anche verso l’avvio di nuovi regni su base “nazionale”.
La lentezza , la gradualità e il carattere decisamente locale di questi processi fanno si che sia impossibile datarli a un momento preciso: usiamo il 1037 come un simbolo, il momento in cui l’impero prese atto di un’organizzazione sociale che trovava uno dei suoi fondamenti nelle reti clientelari.
Bibliografia
Signorie di Mezzogiorno: società rurali, poteri aristocratici e monarchia (12.-13. Secolo) / S. Carocci. – Viella, 2014
Le origini dell’economia europea: guerrieri e contadini nel Medioevo / G. Duby. – Laterza, 1975
L’Italia dei poteri locali: secoli 10.-12. / L. Provero. – Carocci, 1998
Comunità e clientele nella Toscana del 12. Secolo: le origini del comune rurale nella piana di Lucca / C. Wickham. – Viella, 1995
Cap. 24 1059 La nuova chiesa occidentale / di Tiziana Lazzari
Riassunto
Il 12 aprile del 1059 in un sinodo riunito a Roma nella basilica del Laterano papa Nicolò 2. firmò un decreto (Decretum in electione papae) che stabiliva nuove regole per l’elezione del vescovo di Roma. Le nuove regole, che arrivavano dopo alcuni anni di gravissimi conflitti sull’elezione del pontefice, stabilivano che da quel momento in avanti il vescovo di Roma sarebeb stato scelto e designato dai cardinali vescovi, approvato dai cardinali chierici e infine, a scelta fatta, acclamato dal resto del clero e dal popolo di Roma.
Il decreto non si discostava molto dalle norme canoniche relative alle elezioni vescovili che volevano che i presuli fossero eletti col concorso del clero e del popolo delle rispettive diocesi. Identificava però nei cardinali vescovi, e cioè vescovi dele diocesi suburbicarie di Roma – poste nell’immediato circondario della città – un nuovo soggetto collettivo che assumeva una funzione decisiva nella designazione del nuovo pontefice.
E, soprattutto, il decretum cominciava a prendere le distanze in modo radicale dalle consuetudini che nell’ultimo secolo avevano presieduto l’elezione del papa, riportando la piena responsabilità dell’elezione in un contesto rigidamente ecclesiastico, pur conservando un esplicito riconoscimento dell’autorità regia nell’approvazione della scelta fatta, espresso nella formulazione che faceva salvi, nell’applicazione delle nuove regole, l’honor e la reverentia dovuti all’imperatore, carica ricoperta a quel tempo da Enrico 3.
Bibliografia
Dalle chiese alla monarchia papale / G. M. Cantarella. – In: Chiesa, chiese, movimenti religiosi / a cura di G. M. Cantarella. – Laterza, 2001
Il sole e la luna: la rivoluzione di Gregorio 7. Papa, 1073-1095 / G. M. Cantarella. – Laterza, 2005
L’Italia medievale nei secoli di trapasso: la riforma della chiesa, 1012-1122 / O. Capitani. – Patron, 1984
Chiesa gregoriana: ricerche sulla riforma del secolo 11 / G. Miccoli. – La Nuova Italia, 1966
Chiesa feudale e riforme in Occidente, secc. 10.-12.: introduzione a un tem storiografico. – CISAM, 1999
Cap. 25. 1099 L’espansione occidentale nel Mediterraneo / di Simone M. Collavini
Riassunto
Il 15 luglio 1099, cavalieri e fanti occidentali presero Gerusalemme, massacrando moltissimi “infedeli”, raccogliendo un bottino immenso e recandosi, infine, a venerare il Sacro Sepolcro. L’episodio segna il culmine della spedizione nota come “prima crociata”, che ebbe un enorme successo, sia perché “liberò” Gerusalemme, sia perché creò vari “dominati” latini in Oriente e permise ai partecipanti alla spedizione di accumulare enormi risorse materiali e simboliche. Nacque così il mito del passaggio in Terrasanta, che per secoli orientò l’azione di cavalieri e principi, sovrani e pontefici.
Per capire questo mito, il fenomeno va posto in un quadro più ampio: l’espansione europea nel Mediterraneo durante il pieno Medioevo.
Fra i secoli 11. e 14. L’Europa di tradizione carolingia si espanse, conquistando, colonizzando e acculturando le aree circostanti. Ciò fu possibile grazie alla crescita demografica ed economica in atto, all’aggressività militare e culturale delle sue élite e alla loro capacità di integrare le aree conquistate. I cavalieri aprirono la strada, ma furono contadini e artigiani, mercanti ed ecclesiastici a trasformarle in profondità. Tali fenomeni, che cambiarono il nord e l’est del continente, coinvolsero anche il Mediterraneo nel secolo 11. Frontiera tra l’Occidente e le più complesse civiltà bizantina e islamica. Le crociate, la conquista normanna e l’espansione delle città marittime italiane nel Mediterraneo sono tutti aspetti di questo fenomeno.
Bibliografia
L’espansione dell’Occidente nel Mediterraneo / S. M. Collavini. – In: Storia d’Eueopa e del Mediterraneo / diretta da A. Barbero. – Vol. 8.: Popoli, poteri, dinamiche. – Salerno, 2006
L’invenzione delle crociate / C. Tyerman. – Einaudi, 2000
Le guerre di Dio: nuova storia delle crociate / C. Tyerman. – Einaudi, 2012
Cap. 26. 1137 Principati e regni / di Alessio Fiore
Riassunto
Nel 1137 il conte di Barcellona, a capo di un’ampia contea che comprendeva l’odierna Catalogna e una serie di possedimenti minori estesi anche a sud della Francia, si sposò con l’erede del confinante regno d’Aragona. In questo modo la dinastia comitale prese il controllo del regno vicino, dando vita a quella che nei secoli successivi si sarebbe rivelata come una delle più dinamiche formazioni politiche del bacino del Mediterraneo. Questa vicenda è importante non solo in sé, ma perché consente di focalizzare l’attenzione sul processo di ricomposizione dei quadri territoriali che caratterizza il secolo 12. Inoltre è significativa perché mette in primo piano una delle principali forme di organizzazione politica tra i secoli 11. E 12., i “principati territoriali”
Cap. 27. 1183 I comuni italiani nel secolo 12. / di Simone M. Collavini
Riassunto
Nel giugno 1183, Federico 1. E la lega lombarda, un’alleanza di comuni dell’Italia del nord guidata da Milano, fecero pace, perfezionando la tregua conclusa a Venezia nel quadro degli accordi tra l’imperatore e papa Alessandro 3. (1177). A tutela del prestigio del sovrano, l’atto era una concessione, ma segnava la vittoria della lega: si legittimavano i comuni; si permetteva loro di allearsi e di eleggersi dei governanti (consoli); si concedevano diritto già esercitati di fatto, ma ritenuti di origine regia (regalia).
In cambio i comuni dovevano alcuni tributi e il riconoscimento della sovranità imperiale. Le clausole riguardavano però le sole città della lega, meno di una ventina e per anni la loro sorte rimase incerta.
A seconda delle letture della storia d’Italia, la pace di Costanza è stata ritenuta il trionfo degli italiani sugli stranieri, l’origine delle “libertà italiane” o la vittoria delle autonomie locali sul centralismo. Tralasciando le interpretazioni ideologiche, essa mostra a un tempo l’eccezionalità e l’inserimento dell’esperienza comunale in un contesto europeo: anche altrove le città ottennero “libertà” dai re, ma l’ampiezza delle autonomie dei comuni italiani, in seguito ulteriormente riconosciute, non ha paralleli e li rese i poteri localmente dominanti nel basso Medioevo.
Bibliografia
Cavalieri e cittadini: guerra, conflitti e società nell’Italia comunale / J. C. Maire Vigueur. – Il Mulino, 2004
L’Italia dei comuni, 1100-1300 / F. Menant. – Viella, 2011
I comuni italiani, secoli 12.-14. / G. Milani. – Laterza, 2009
Potere al popolo: conflitti sociali e lotte politiche nell’Italia comunale del Duecento / A. Poloni. – Buono Mondadori, 2010
Cap. 28. 1194 Dai normanni agli Angioini: il regno del sud / di Luigi Provero
Riassunto
Nel 1194 due avvenimenti segnarono in modo importante la storia del sud Italia: il giorno di Natale l’imperatore Enrico 6. fu incoronato re di Sicilia, riunendo nelle sue mani un immenso territorio, che andava dal Mare del nord al canale di Sicilia: il giorno seguente a Jesi nacque il figlio di Enrico, il futuro imperatore Federico 2. destinato a diventare una figura chiave della storia europea del Duecento. Il 1194 è quindi una buona data di riferimento per leggere le vicende del sud Italia tra i secoli 11. e 13., segnate dall’alternanza tra una storia a parte (con funzionamenti e dinamiche diversi dall’Europa di tradizione carolingia) e una ricorrente connessione con le vicende del nord Italia e dell’impero. Ma per leggere tutto ciò, dobbiamo risalire a quasi due secoli prima, all’inizio del secolo 11. Quando gruppi di cavalieri normanni cominciarono a insediarsi tra Campania e Puglia.
Bibliografia
Federico 2.: un imperatore medievale / D. Abulafia. – Einaudi, 1990
L’Italia mediterranea e gli incontri di civiltà / P. Corrao, M. Gallina e C. Villa. – Laterza, 2001
Federico 2.: imperatore, uomo, mito / H. Houben. – Il Mulino, 2009
Il Mezzogiorno medievale: Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi nei secoli 11.-15. / S. Tramontana. – Carocci, 2000
Cap. 29. 1198 La monarchia papale /di Simona M. Collavini
Riassunto
L’8 gennaio 1198 i cardinali elessero papa il più giovane membro del collegio, Lotario dei conti da Segni, poi Innocenzo 3. (1198-1216). Da tempo cardinale, egli aveva studiato teologia a Parigi e diritto canonico a Bologna es era noto come intellettuale e uomo di curia, ma soprattutto come scaltro politico.
Più di ogni suo predecessore Innocenzo 3. Riuscì ad affermare il suo potere nella società occidentale in campo ecclesiastico e più latamente politico: un successo reso possibile dalle sue capacità personali e dal fortunato convergere di evoluzioni strutturali e contingenze congiunturali.
Bibliografia
Chiesa, chiese, movimenti religiosi / G. M. Cantarella, V. Polonio e R. Rusconi. – Laterza, 2001
Le eresie medievali / B. Garofani. – Carocci, 2008
Il papato da Leone 9. A Bonifacio 8.: centralità e universalità / A. Paravicini Bagliani. – In: Storia d’Europa e del Mediterraneo / diretta da A. Barbero, vol. 8. – Salerno, 2006
Innocenzo 3., 1198-1216 / J. Sayers. – Viella, 1997
Cap. 30 1214 Le monarchie europee / di Alessio Fiore
Riassunto
L’inizio del secolo 13. Fu una fase cruciale per la definizione del panorama politico europeo: fu il punto di arrivo di processi iniziati molto tempo prima, ma fu anche una fase di snodo che portò all’affermazione di alcuni quadri di ordinamento territoriale forti e stabili, con il venir meno di quella fluidità che aveva caratterizzato la fase precedente, ancora aperta a esiti molto differenti da quelli che poi si concretizzarono effettivamente. Questo processo di stabilizzazione fu scandito da alcune grandi battaglie, cruciali sotto il profilo dei concreti rapporti di forza e, soprattutto, sotto quello ideologico e identitario. In questa prospettiva la battaglia di Bouvines del 1214, tra il re di Francia Filippo 2. Augusto e l’imperatore Ottone 4. Di Brunswick, fu probabilmente la più importante, ma non certo l’unica di questa fase decisiva.
Bibliografia
La domenica di Bouvines: 27 luglio 1214 / G. Duby. – Einaudi, 1984
Cap. 31. 1241 L’Europa davanti ai mongoli / di Alessio Fiore
Riassunto
Nel 1241 un’armata di mongoli, una popolazione nomade proveniente dalla steppe dell’Asia nord-orientale, penetrò in Europa centrale, dopo avere conquistato solo pochissimi anni prima gran parte di quella orientale. Dopo aver annientato gli eserciti dei regni di Ungheria e Polonia ne saccheggiò per quasi un anno i territori senza incontrare particolari resistenze. L’armata tornò repentinamente nelle steppe asiatiche in seguito alla morte del capo (gran khan o khagan) mongolo, per l’elezione del successore, che però decise di sospendere le operazioni militari in Europa per concentrarsi sulla Siria e sulla Cina meridionale. Negli anni successivi le potenze europee, dopo un primo momento di impotente sbigottimento, si trovarono con difficoltà a interagire con questi nuovi quanto ingombranti attori della scena internazionale.
Bibliografia
I mongoli / M. Rossabi. – Il Mulino, 2015
Cap. 32. 1309 La crisi degli universalismi / di Luigi Provero
Riassunto
Nel 1309 papa Clemente 5. Decise di stabilire la propria residenza e la corte papale lontano da Roma, ad Avignone, dove i papi restarono per quasi settant’anni. Il periodo avignonese fu l’espressione di una nuova posizione del papato negli equilibri politici europei, caratterizzati dalla rottura ormai definitiva della solidarietà con l’impero, dall’avvicinamento al regno di Francia dopo un periodo di duri conflitti e dalla difficoltà a tenere sotto controllo i potentissimi baroni romani. Per comprendere questa fase dobbiamo ripartire dai decenni precedenti e collegare la trasformazione del papato con quella dell’altro grande potere universale, l’impero
Bibliografia
Il giubileo di Bonifacio 8. / A. Frugoni. – Laterza, 1999
L’Occidente nei secoli 14. e 15.: gli stati / B. Guenée. – Mursia, 1992
Il trono di Pietro: l’universalità del papato da Alessandro 3. a Bonifacio 8. / A. Parravicini Bagliani. – Carocci, 1996
Le ideologie politiche del Medioevo / G. Tabacco. – Einaudi, 2000
Cap. 33. 1313 Dal comune alla signoria / di Tiziana Lazzari
Riassunto
Durante una dura campagna militare, volta a riconsegnare al coordinamento imperiale le molteplici realtà politiche del regno italico, quando con il suo esercito stava assediando la città di Siena, uno dei baluardi dello schieramento guelfo, l’imperatore Enrico 7. Si ammalò di malaria e fu costretto ad abbandonare la lotta. I tentativi di cura presso le località termali toscane nei pressi non sortirono l’effetto sperato e il 24 agosto 1313, a neppure quarant’anni, l’imperatore moriva a Buonconvento, nella chiesa di San Pietro. Fu sepolto a Pisa, città di tradizionale schieramento filo-imperiale e con il suo corpo furono sepolte anche le residue aspirazioni di coordinare il regno italico all’impero.
Bibliografia
Il sistema politico dei comuni italiani (secoli 12.-14.) / J.-C. Maire Vigueur e E. Faini. – Bruno Mondadori, 2010
I comuni italiani: secoli 12.-14. / G. Milani. – Laterza, 2005
Potere al popolo: conflitti sociali e lotte politiche nell’Italia comunale del Duecento / A. Poloni. – Bruno Mondadori, 2010
Dai comuni agli stati territoriali: l’Italia delle città tra 13. e 15. Secolo / L. Tanzini. – Monduzzi, 2010
A consiglio: la vita politica nell’Italia dei comuni / L. Tanzini. – Viella, 2010
Cap. 34 1348 Economia e società nel tardo Medioevo / di Simone M. Collavini
Riassunto
Diffuso da pulci di topo e ratti presenti su navi genovesi provenienti dal Mar Nero, alla fine del 1347 il bacillo della peste ricomparve in occidente dopo un’assenza di oltre mezzo millennio. L’impreparazione biologica degli europei e l’assenza di conoscenze mediche adeguate ne favorirono la rapidissima diffusione con effetti devastanti. In pochi anni (1348-1350) scomparve da un terzo alla metà degli europei. Il morbo, poi, si fece endemico, ripresentandosi a ogni generazione – seppur in forme sempre meno virulente – fino all’età moderna, rendendo lenta e incerta la riprese demografica.
La pandemia è stata ritenuta effetto e causa a un tempo di una più generale crisi dell’Europa tardomedievale, la cosiddetta “crisi del Trecento”. L’idea di una crisi generalizzata della società europea alla fine del Medioevo pone però alcuni problemi. Come connettere la “crisi” alla precedente fase di crescita e all’espansione europea della prima età moderna? Siamo di fronte a un arretramento lungo il percorso di crescita dell’Occidente o a una complessiva trasformazione delle strutture economiche di base? Tali domande hanno ancor più rilievo per l’Italia: la crisi tardomedievale, infatti, corrisponde alla straordinaria fioritura culturale dell’Umanesimo e del Rinascimento.
Bibliografia
Potere e mercanti in Sicilia: secoli 13.-16. / S. R. Epstein. – Einaudi, 1996
Cap. 35 1453 I turchi e l’Europa orientale
Riassunto
Il 29 maggio 1453 l’esercito turco, guidato dal sultano Maometto 2., conquistò Costantinopoli, ponendo così termine alla millenaria storia dell’impero bizantino, al quale subentrò un nuovo impero euro-asiatico a guida musulmana, l’impero ottomano. La caduta di Costantinopoli, tuttavia, non fu solo l’esito dell’espansione militare turca. Fu parte di un più ampio processo di ridefinizione degli equilibri politici, economici e religiosi che anche nel Balcani e nell’Europa orientale, così come nell’Europa occidentale, portò al superamento dell’universalismo imperiale e all’affermazione di regni più centralizzati e coerenti.
Bibliografia
Il Commonwealth bizantino: l’Europa orientale dal 500 al 1453 / D. Obolensky. – Laterza, 1977
Storia dell’impero bizantino / G. Ostrogorsky. – Einaudi, 1968/1993
Storia di Bisanzio / W. Treagold, 2005
Cap. 36. 1454 Gli stati regionali italiani
Riassunto
La pace di Lodi, nel 1454, segnò la fine di un duro conflitto tra il ducato visconteo di Milano e la repubblica di Venezia e fu favorita anche dalla successione di Francesco Sforza ai Visconti. Si trattò di un momento cruciale, di importanza non solo locale, perché l’accordo, raggiunto tramite la mediazione del papato, portò a una relativa stabilizzazione del complesso quadro politico della penisola, scosso nel secolo e mezzo precedente da continui scontri militari tra le diverse formazioni regionali, ciascuna delle quali si proponeva di raggiungere sempre maggiori spazi di egemonia. Con il trattato di Lodi, assunsero una forma stabile quei grandi quadri territoriali destinati a caratterizzare, con poche modifiche, il quadro italiano fino alla vigilia dell’Unità.
Bibliografia
La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado: secoli 16. e 15. / G. Chittolini. – Einaudi, 1979
L’Italia degli stati territoriali: secoli 13.-15. / I. Lazzarini. – Laterza, 2004
Origini dello Stato: processi di formazione statale in Italia fra Medioevo et età moderna /a cura di G. Chittolini, A. Molho e P. Schiera. – Il Mulino, 1994
Lo stato del Rinascimento in Italia, 1350-1520 / a cura di A. Gamberini e I. Lazzarini. – Viella, 2014
Cap. 37 1492 Nuovi equilibri europei
Riassunto
Il 1492 fu un anno denso di avvenimenti che segnarono momenti di svolta di lunga durata: a Firenze morì Lorenzo il magnifico, il signore mediceo che era stato a lungo uno dei principali artefici della conservazione dell’equilibrio fra le diverse forze politiche attive nella penisola deciso a Lodi. Più a ovest, nella penisola iberica, capitolò l’emirato islamico di Granada, che era rimasta l’ultima piazzaforte musulmana sul continente europeo, Nello stesso anno, partito dalle coste occidentali della penisola iberica, Cristoforo Colombo sbarcò sull’isola di Guanhani, dell’arcipelago delle Bahamas, che chiamò San Salvador. Iniziava così una nuova storia, quella dell’espansione dell’Europa occidentale in direzione del continente americano.
Bibliografia
La guerra dei cent’anni / P. Contamine. – Il Mulino, 2013