Introduzione
Chi erano i “normanni”?
In tedesco tale denominazione si riferisce tradizionalmente tanto ai vichinghi – quindi agli abitanti della Scandinavia in un’epoca compresa tra la fine dell’8. secolo e la metà dell’11. – quanto ai loro discendenti che nel 10. secolo si stabilirono nel nord della Francia, adottando il cristianesimo e una lingua romanza (antico francese) e dando alla regione che occuparono il nome di Normandia.
Il duplice uso linguistico tedesco affonda le sue radici nella terminologia degli autori franchi d’età carolingia i quali appellarono “uomini del nord” i vichinghi che nel 9. secolo rendevano insicure le coste.
In inglese e in francese, ma anche nella ricerca storica, si distingue invece fra vichinghi scandinavi e abitanti della Normandia, ovvero i normanni.
D’ora in avanti si seguirà tale uso.
Nell’11. secolo un gruppo di abitanti della Normandia salpò per lidi lontani con conseguenze storiche di vasta portata: quando nell’anno 1066 il duca normanno Guglielmo, grazie alla vittoria nella battaglia di Hastings, ottenne la corona reale inglese, l’Inghilterra allentò i legami politici e culturali con la Scandinavia e si fece più prossima alla Francia.
All’incirca nello stesso periodo altri cavalieri normanni si diressero a sud conquistando gran parte dell’Italia meridionale.
Nel 1130 un loro discendente, Ruggero 2. – figlio di Ruggero 1. d'Altavilla (Hauteville) -, riunì in un nuovo regno il Mezzogiorno continentale e la Sicilia, per lungo tempo soggetti rispettivamente alla dominazione bizantina e a quella araba.
Con ciò il sud Italia entrò a far parte della cristianità latina occidentale.
Durante la prima crociata (1098) Boemondo 1., un cugino di Ruggero 2., creò un principato normanno nell’allora siriana Antiochia (oggi Antakya, Turchia).
Nel corso del 12. secolo i normanni fondarono dunque tre regni: la monarchia di Sicilia, la monarchia d’Inghilterra e il principato di Antiochia; ciò ha fatto sì che storici del 19. e del 20. secolo abbiano attribuito loro un particolare talento nell’istituzione di nuovi “Stati”.
Dal punto di vista inglese, i normanni del Medioevo anticiparono il moderno impero britannico:
intorno al 1100 i normanni avevano costituito uan sorta di Commonwealth con una loro diretta egemonia territoriale che si estendeva su di una lunga catena di Stati, dalla marca gallese lungo i fiumi Severn e Dee, attraverso la Normandia, l’Italia meridionale e la Sicilia, fino ad Antiochia e al fiume Oronte.
A ciò si aggiungano la partecipazione normanna alla liberazione della Spagna dalla dominazione islamica (reconquista) (…) e la campagna militare contro l’Impero bizantino, condotta attraverso l’Adriatico (Brown)
Con la fine del 20. secolo, l’unificazione politica dell’Europa ha fatto apparire i normanni del Medioevo sotto una nuova luce.
Ora essi venivano salutati come “popolo d’Europa”: questo il titolo di una mostra organizzata a Roma (Palazzo Venezia) nel 1994.
I normanni – così si legge nel catalogo della mostra -, grazie ai contatti creati fra il nord e il sud dell’Europa, avrebbero dato un importante contributo alla formazione di una coscienza europea.
La loro propensione all’assimilazione e all’integrazione di popoli e culture differenti rappresenterebbe un possibile modello per la creazione di una nuova identità europea, multiculturale e priva di barriere etniche (Marin).
I normanni giocarono un ruolo non secondario anche nella storia del Medioevo tedesco.
Nella cosiddetta lotta per le investiture, i papi poterono affermare l’indipendenza della Chiesa romana dall’Impero romano-germanico solo grazie all’appoggio militare offerto loro dai normanni stanziati nel sud Italia.
Nel regno di Sicilia, creato da Ruggero 2., il papato trovò infatti un importante sostegno; ogni tentativo imperiale di assoggettare il giovane regno si rivelò infruttuoso.
Alla fine Federico Barbarossa si decise a concludere una pace con i normanni dando in sposo il figlio e suo successore Enrico 6. a Costanza in Sicilia.
Quando, nel 1189, il re Guglielmo 2. di Sicilia, nipote di Costanza, morì senza figli, lei ne ereditò il regno che in tal modo venne associato all’Impero svevo.
Federico 2., figlio di Costanza ed Enrico 6., regnò su un territorio che si estendeva dal Mare del Nord al Mediterraneo.
Tuttavia la resistenza del papato, insofferente nei confronti di una situazione che avvertiva come una sorta di accerchiamento territoriale, portò infine al tramonto degli svevi (1268).
La storia dei normanni è piena di metamorfosi: i pirati scandinavi sarebbero diventati cavalieri normanni; il duca di Normandia Guglielmo il bastardo si sarebbe trasformato in Guglielmo il Conquistatore, re d’Inghilterra; in Italia, i figli di un piccolo signore si Normandia (Tancredi di Altavilla) sarebbero stati conti e duchi, e i nipoti di costoro principi e re.
Altre avventure normanne furono meno fortunate e non lasciarono traccia.
Il libro si apre con una descrizione delle origini dei normanni e della Normandia (cap. 1.), prosegue con al conquista dell’Inghilterra e le sue conseguenze (cap. 2.) e si sofferma infine sull’espansione normanna nel bacino del Mediterraneo (cap. 3.).
Accanto agli eventi politici e alle loro principali conseguenze vengono presi in esame anche i processi di acculturazione e integrazione, di stretta attualità in un mondo, come quello attuale, sempre più globalizzato e caratterizzato da migrazioni e contatti oltre che da conflitti fra religioni e culture differenti: che condotta assunsero i migranti-conquistatori normanni nel loro nuovo ambiente?
Coem reagirono gli autoctoni alla lingua, alla religione e alla cultura dei nuovi arrivati normanni?
Gli storici moderni hanno spiegato il successo dei normanni soprattutto con la loro capacità di adattamento.
Ma come ebbe luogo l’integrazione dei migranti normanni?
Quali conseguenze essa ebbe per la loro identità?
L’importanza di tali interrogativi, indubbiamente do non facile soluzione, ha suggerito di dedicare ad essi le considerazioni conclusive di questo volume.
Pag. 7-9
Cap. 1. La nascita di una regione e di un popolo
La Normandia prende il suo nome dai vichinghi (“uomini del nord”) che nei secoli 9. e 10. Si stabilirono fra la Senna e la Loira in un territorio che sarebbe diventato appunto il ducato di Normandia.
Ad eccezione del mare del Nord, tale regione era priva di confini naturali.
Incerti erano il confine occidentale con la Bretagna e quello orientale con la Piccardia, controverse le frontiere meridionali con le contee del Maine e del Perche.
Dal punto di vista politico la regione apparteneva al regno dei franchi occidentali, risultato dalla divisione dell’impero romano-franco fondato da Carlo magno (morto nell’814).
Una delle ragioni del crollo dell’impero carolingio furono proprio le incursioni dei vichinghi che, a partire dalla fine dell’8. secolo, avevano colpito l’intera Europa.
Pag. 11
Siamo così giunti alla non semplice questione della cosiddetta etnogenesi dei normanni.
In senso etnico, con popoli si intende una comunità di individui che condivide lingua, cultura e origini.
Nel 19. secolo si concepivano i popoli come unità naturali, come comunità biologiche con origine comune; ciò poté condurre a quelle teorie etnico-razziali che nel 20. secolo furono fatte proprie dal nazionalsocialismo.
Oggi gli storici concordano nel ritenere che i popoli non sono entità univocamente definibili, ma piuttosto costruzioni, comunità immaginarie fondate sulla rivendicazione di caratteristiche attraverso cui tali comunità si autodefiniscono.
In un’età contrassegnata da processi di migrazione e integrazione come fu l’alto Medioevo, le storie di celebri antenati, i cosiddetti miti d’origine, dovettero sicuramente contribuire alla creazione dell’identità concreta di un popolo.
Pag. 15
Gli scandinavi divennero il popolo dei normanni allorché, insediatisi stabilmente nella Francia settentrionale, si fusero con i nativi – discendenti da galli, romani, bretoni e franchi – acquisendone lingua e religione; il fatto poi, che i nuovi arrivati fossero soprattutto uomini agevolò l’assimilazione dei discendenti.
L’etnogenesi dei normanni e la creazione della Normandia come regione coinvolsero numerose generazioni e giunsero a compimento intorno all’anno 1000, quando per la prima volta compare la denominazione di Normandia.
Pag. 16
La scelta del cristianesimo greco-ortodosso da parte di Vladimir – che sulle prime non deve aver escluso neanche una conversione all’islam – fu un evento storico di portata universale.
La fantasia degli storici moderni ha provato a immaginare cosa sarebbe accaduti se i rus’ avessero abbracciato l’islam: se la dottrina del Profeta si fosse diffusa presso di loro si sarebbe verificato un accerchiamento della Mitteleuropa cristiana da sud, est e perfino da nord
Pag. 17
Così come il padre, anche Riccardo 1. fu chiamato “principe dei normanni” dal cronista Flodoardo di Reims; tuttavia, in un primo momenti pare che egli si sia accontentato del titolo di comitale o di quello di margraviale, tant’è che ottenne il più prestigioso titolo di duca solo dopo che la corona dei franchi occidentali, nell’anno 987, passò definitivamente dai carolingi ai robertiningi (così chiamati per il già citato Roberto, margravio di Neustria e padrino di battesimo di Rollone) in seguito detti, per Ugo Capeto (987-996), capetingi, la dinastia che regnò in Francia fino al 1848.
Non è possibile dire con esattezza quando ciò sia accaduto; i più antichi documenti in cui il titolo di conte è riferito a Riccardo 1. sono dei falsi d’età posteriore.
Il primo documento autentico a noi giunto in cui si menziona un “duca di Normandia” risale all’anno 1006, quando Riccardo 2. (996-1026) era già succeduto al padre Riccardo 1.
Il fatto però che a quel tempo non esistesse alcuna definizione esatta dei titoli di conte, margravio, principe e duca, fa ritenere plausibile alla ricerca storica che già verso la fine del 10. secolo egli utilizzasse occasionalmente il titolo di duca.
Pag. 19-20
La romanizzazione dei normanni che seguì alla loro cristianizzazione ebbe inizio nel settore orientale del ducato già intorno alla metà del 10. secolo, mentre in quello occidentale, dove gli scandinavi continuarono ad arrivare fino al 966 circa, tardò di qualche decennio.
La presenza di uno scaldo (poeta e scrittore) scandinavo alla corte ducale di Rouen è attestata per l’ultima volta nel maggio del 1021.
Se le prime generazioni di normanni erano ancora bilingui, le successive parlavano solamente l’antico francese.
Pag. 22
I primi duchi di Normandia
Rollone (conte) 911-927/33 ca.
Guglielmo Lungaspada (conte/margravio) 927 ca.-942
Riccardo 1. 942-996
Riccardo 2. 996-1026
Riccardo 3. 1026-1027
Roberto 1. 1027-1035
Guglielmo il Conquistatore (dal 1066 anche re d’Inghilterra) 1035-1087
Cap. 2. Oltre la Manica
L’anno 1066 è di cruciale importanza per la storia inglese. La battaglia di Hastings, in cui re Aroldo del Wessex perse la vita e il trono, segna la fine dell’era anglosassone (5. -11. secc.).
A partire dal normanno Guglielmo il Conquistatore il paese fu retto da sovrani di origine francese.
Con Enrico 2., nel 1154, saliva sul trono d’Inghilterra la dinastia plantageneta, nativa dell’Angiò, che per via matrimoniale aveva acquisito il ducato d’Aquitania (nel sud della Francia).
Ciò determinò una situazione ricca di sviluppi futuri: solo il re d’Inghilterra si ritrovava ora a controllare un territorio pari ai due terzi della Francia, il signore feudale di questo immenso dominio rimaneva comunque il sovrano francese.
Tale stato di cose avrebbe generato continue tensioni fra le monarchie di Francia e Inghilterra che sarebbero poi sfociate nella cosiddetta guerra dei Cent’anni (1337-1453 ca.); alla fine, i re inglesi avrebbero perso praticamente ogni loro possedimento in terraferma.
Pag. 29
Il nuovo re normanno volle fortemente che l’intera popolazione lo riconoscesse quale legittimo erede dei sovrani anglosassoni: durante la cerimonia di incoronazione nell’abazia di Westminster egli si fece acclamare tanto dagli anglosassoni quanto dai normanni nelle rispettive lingue.
Strumento di legittimazione dovette essere anche il già citato arazzo di Bayeux dove la sconfitta e la morte di Aroldo vennero rappresentate come castigo divino per non aver osservato il giuramento di riconoscere Guglielmo come l’erede scelto da re Edoardo.
Naturalmente gli anglosassoni vedevano la cosa in modo diverso, ma come spesso accade nella storia a imporsi fu la versione dei vincitori.
Pag. 37
Dal lungo regno di Enrico 1. (1100-1135) la posizione della monarchia anglo-normanna uscì rafforzata grazie all’introduzione di importanti riforme in materia di diritto e amministrazione.
Il ricorso alla scrittura si fece sempre più frequente: si è calcolato che la cancelleria regia rilasciasse circa 4500 documenti all’anno, cioè un numero di gran lunga superiore a quello di altre monarchie del tempo.
Secondo l’esempio normanno, Enrico fece istituire presso la corte inglese una tesoreria, detta exchequer, che sarebbe poi divenuta una sorta di erario centrale.
Si trattava di un ufficio inconsueto per quei tempi, comparabile, per livello, solo col suo omologo del regno “normanno” di Sicilia, quest’ultimo però ispirato a modelli arabi.
Il nome exchequer deriva dal latino scaccarium (scacchiera): gli sceriffi, amministratori delle terre del re, tenevano il conto di entrate e uscite disponendo su di un panno con motivo a scacchiera dei gettoni di conto.
Il risultato di tali conteggi veniva annotato per iscritto su rotoli di pergamena, i cosiddetti pipe rolls: per la prima volta nella storia d’Europa diveniva chiaro il potere del denaro.
Pag. 43
La guerra civile per la successione di Enrico 1., durata più di tre lustri, portò a un considerevole indebolimento della corona e a un rafforzamento della nobiltà e della Chiesa.
E’ indicativo al riguardo il fatto che in questi anni il numero dei ducati inglesi passò da sei a ventidue.
Eppure i problemi della monarchia anglo-normanna erano iniziati già con la successione di Guglielmo 1. e avevano costituito un fardello per i suoi figli Guglielmo 2. ed Enrico 1. succedutigli sul trono inglese.
Con mezzi diplomatici e militari, nonché con riforme amministrative, nel corso dei suoi trentacinque anni di regno Enrico 1. era però riuscito a rafforzare la monarchia e a darle prestigio in Europa.
Pag. 47
Mentre nei primi decenni successivi alla conquista dell’Inghilterra era ancora possibile distinguere chiaramente i franci (normanni) dagli angli (anglosassoni/inglesi), nella prima metà del 12. secolo tale distinzione divenne sempre più difficile poiché molti dei conquistatori avevano sposato donne del luogo.
Il fatto che a quel tempo, presso la nobiltà, accanto all’inglese si parlasse soprattutto il francese, laddove negli strati medi e bassi della società l’unica lingua era l’inglese, fece sì che gli etnonimi passassero a indicare categorie sociali: i normanni erano i membri del ceto dominante discendente dai conquistatori, gli inglesi del resto della popolazione.
Solo sotto Enrico 2. si sviluppò gradualmente un’autonoma coscienza collettiva inglese che includeva tutti gli strati sociali e gli elementi normanni arretrarono a favore dell’influenza plantageneto-angioina.
Sotto la nuova dinastia regnante, originaria della regione francese dell’Angiò, la Normandia giocò solo un ruolo secondario.
Pag. 48
I re normanni d’Inghilterra
Guglielmo 1. il Conquistatore 1066-1087
Guglielmo 2. Rufus 1087-1100
Enrico 1. Beauclerc 1100-1135
Stefano di Blois 1135-1154
In tal modo si chiarisce il significato del complesso titolo di Enrico 2.: rex Anglorum, dux Normannorum et Aquitanorum et comes Andegavorum (re degli anglosassoni, duca dei normanni e degli aquitani e conte degli angioini).
Diversamente da quanto tale titolo lascerebbe presumere, al primo posto nei favori di Enrico 2., che si considerava anzitutto signore dell’Angiò, era per l’appunto l’Angiò e non certo l’Inghilterra.
La dinastia plantageneta da egli fondata traeva il nome – introdotto per la prima volta nel 1460 – dal ramo di ginestra (planta genista) che aveva per stemma.
L’idea che con Enrico 2. Si fosse insediata uan nuova dinastia nacque solo più tardi sulla base di considerazioni fatte a posteriori.
Enrico stesso, in qualità di figlio di Matilde e dunque di pronipote del normanno Guglielmo il Conquistatore, si considerava il legittimo prosecutore della casa reale anglo-normanna.
Pag. 49
Nel corso di un banchetto, il sovrano inglese chiese irato se non vi fosse nessuno capace di liberarlo dal molesto chierico.
Alcuni cavalieri del suo seguito presero tale dichiarazione più seriamente di quanto il re avesse immaginato; probabilmente egli aveva solo voluto sfogare la propria rabbia.
Tale fraintendimento ebbe conseguenze fatali: i cavalieri, convinti di agire per volere di Enrico, il 29 dicembre del 1170 uccisero Becket nella cattedrale di Canterbury.
Pag. 51
Le difficoltà non trovavano però la soluzione e così Enrico, nel 1182, decise di mettere in chiaro le cose: egli pose alle dipendenze dell’erede al trono i fratelli più giovani i quali avrebbero anche dovuto riconoscerlo quale loro signore feudale.
Con ciò costoro avrebbero perso il legame feudale diretto con il re di Francia e quindi la loro parità di rango.
Riccardo Cuor di Leone protestò energicamente e si oppose senza mezzi termini.
Il principe ereditario – che comunque none ra stato ancora chiamato dal padre a condividere il potere – aderì alla rivolta che trovò il sostegno di Filippo 2. di Francia (1180-1223).
Fu solo la repentina scomparsa di Enrico il Giovane l’11 giugno del 1183 a salvare il vecchio re.
La situazione si infiammò nuovamente quando questi si rifiutò di nominare uso successore Riccardo Cuor di Leone, pregandolo inoltre di consegnare l’Aquitania al fratello minore Giovanni Senzaterra.
Alla fine Enrico 2. fu costretto a riconoscere la sovranità del re di Francia, alleato di Riccardo, sui propri possedimenti continentali (1189).
Pag. 53
L’Impero plantageneto alla fine si dissolse non per l’inadeguatezza di sovrani come Riccardo Cuor di Leone o Giovanni Senzaterra, bensì per problemi strutturali: il suo territorio, che si estendeva dall’Irlanda ai Pirenei, era troppo vasto ed eterogeneo per i limitati strumenti della sovranità medievale.
Esso mancava inoltre di un centro, di un’aristocrazia angioina in grado di integrarsi, di un proprio nome e di una coscienza “statale”.
Negli anni del regno di Enrico 2. la tradizione anglo-normanna fu ancora presente e i legami personali e culturali fra Francia e Inghilterra si consolidarono.
Parallelamente, in Inghilterra andò avanti il processo di assimilazione fra le famiglie di origine normanna e quelle locali.
Intorno al 1178 Richard FitzNigel scriveva che a vausa dei tanti matrimoni misti celebrati nei ceti medi e alti era assai difficile distinguere gli anglici dai normanni.
Era sorta una nuova identità inglese in cui erano confluite la tradizione normanna e quella anglosassone.
In tale processo di integrazione svolsero un ruolo di primo piano le affinità culturali, la comune religione, nonché la forza coesiva della Chiesa allineata con Roma.
Sotto Riccardo Cuor di Leone e Giovanni Senzaterra si rafforzò la consapevolezza di una specifica identità inglese (englishness); l’elemento normanno era a quel punto solo una reminiscenza storica.
Decisivo per il definitivo dissolvimento dell’unione normanno-inglese – iniziata nel 1066 – fu non solo il passaggio dalla Normandia sotto il diretto controllo del re di Francia nel 1204, ma anche, e soprattutto, il divieto di possedere beni fondiari al di là della Manica che nello stesso anno Giovanni impose alla nobiltà inglese.
Con tale misura egli reagiva a un’analoga disposizione di Filippo 2. in base alla quale tutti i nobili normanni residenti in Inghilterra che desideravano conservare i propri beni in patria avrebbero dovuto farvi ritorno.
Ciò rappresentò la fine di quella classe dirigente transfrontaliera che era stata la nobiltà anglo-normanna.
Il cordone ombelicale tra Normandia e Inghilterra era dunque reciso: da allora in poi il canale della Manica piuttosto che unire avrebbe diviso.
Se con l’inserimento nei domini della corona francese la Normandia perse il suo status, di dicato, essa tuttavia conservò la propria identità ragionale.
Inoltre, a differenza di altri territori dell’Angevin Empire – come le contee di Angiò, Maine e Poitou che andarono spesso a costituire la dote dei figli minori dei re di Francia -, nei secoli successivi la regione rimase sotto il diretto controllo della monarchia e sino alla Rivoluzione francese (1789), grazie ad antichi privilegi nell’amministrazione della finanza e della giustizia, mantenne una posizione speciale.
Il conflitto tra i nativi anglosassoni e i conquistatori normanni fornì la materia al romanzo storico Ivanhoe di Walter Scott (1820): al tempo della crociata di Riccardo Cuor di Leone, il valoroso cavaliere anglosassone Wilfred di Ivanhoe combatte contro gli oppressori normanni.
Nella sua lotta trova il sostegno di un bandito, anch’esso anglosassone, di nome Robin di Locksley (Robin Hood).
Soprattutto attraverso le sue riduzioni cinematografiche, la mescolanza di finzione letteraria, saga e fatti storici presente nel romanzo di Scott ha contribuito a formare l’immagine del Medioevo presso un vasto pubblico.
Pag. 55-56
I primi re plantageneti d’Inghilterra
Enrico 2. 1154-1189
Riccardo 1. Cuor di Leone 1189-1199
Giovanni Senzaterra 1199-1216
Cap. 3. Il fascino del Sud
Il sud Italia stesso presentava un quadro politico decisamente confuso, tant’è che tre potenze ne rivendicavano il dominio: i sovrani tedeschi, che si consideravano gli eredi degli imperatori romani d’Occidente; gli imperatori bizantini, che non riconoscevano tali pretese ritenendosi gli unici eredi di Roma, i papi, che si richiamavano alla celebre donazione di Costantino da cui facevano discendere una supremazia papale sul Mezzogiorno.
Nessuno di loro era comunque in grado di imporsi.
Nel 6. secolo i longobardi, fino ad allora stanziati a nord delle Alpi, avevano conquistato gran parte dell’Italia: solo alcune aree costiere e il sud della penisola erano rimasti sotto il dominio di Bisanzio.
Nell’anno 774 il re franco Carlo Magno aveva assoggettato il regno longobardo con la capitale Pavia e lo aveva associato al regno dei franchi.
Solo il meridionale ducato longobardo di Benevento era riuscito a preservare la propria autonomia riconoscendo, nel 787, la sovranità di Carlo; in seguito esso si scisse nei tre principati di Benevento, Capua e Salerno.
Nella tarda età carolingia, lungo il litorale campano si erano costituite piccole città-Stato, ufficialmente denominate ducati – Gaeta, Napoli, Amalfi e Sorrento -, che sebbene riconoscessero la sovranità degli imperatori bizantini erano di fatto indipendenti.
Puglia e Calabria erano invece province bizantine come la Sicilia, che però nei secoli 9. e 19. fu conquistata dagli arabi.
Tuttavia i confini politici non sempre corrispondevano a quelli culturali e religiosi.
Le genti della Campania e della Puglia settentrionale e centrale parlavano una lingua romanza e sentivano di appartenere al cristianesimo romano-cattolico; al contrario, le popolazioni della Puglia meridionale e della Calabria erano in prevalenza di lingua greca e celebravano una liturgia di rito ortodosso.
Nell’Ovest e nel Sud della Sicilia vivevano soprattutto immigrati arabi e berberi, nonché autoctoni che avevano accolto la lingua araba e l’islam; nel Nord-Est dell’isola gran parte della popolazione aveva invece preservato la lingua greca e il cristianesimo ortodosso.
Inoltre, in tutto il Mezzogiorno, soprattutto nelle città, erano presenti rilevanti comunità ebraiche.
I normanni irruppero in questo mosaico di genti, culture e religioni e nel giro di un secolo lo assoggettarono al loro controllo.
Pag. 59-60
Intorno al 1050 egli riuscì a conquistare la fiducia di un suo conterraneo di nome Gerardo, che si era stabilito a Buonalbergo nei dintorni di Benevento, il quale gli dette in sposa la zia Alberada e mise a sua disposizione 200 cavalieri.
Con ciò ebbe inizio la folgorante ascesa di Roberto il Guiscardo il quale, dopo essere divenuto in breve tempo l’uomo più potente del Mezzogiorno, sul finire della sua esistenza osò persino muovere guerra all’Impero bizantino.
Pag. 63
I figli di Tancredi di Hauteville (Altavilla)
Dal primo matrimonio (con Muriella):
Guglielmo Braccio di Ferro, conte di Puglia (m.1046)
Dragone, conte di Puglia (m. 1051)
Umfredo, conte di Puglia (m. 1057)
Goffredo, conte di Capitanata (m. 1063)
Serlone (erede dei beni paterni di Normandia)
Dal secondo matrimonio (con Fresenda)
Roberto il Guiscardo, duca di Puglia, Calabria e Sicilia (m. 1085)
Malgerio, conte di Capitanata (m. prima del 1059)
Guglielmo, conte di Principato (m. 1180 ca.)
Alfredo (non menzionato in Italia)
Uberto (non menzionato in Italia)
Tancredi (non menzionato in Italia)
Ruggero 1., conte di Sicilia (m. 1101)
La conquista della Puglia si concluse con la prese di Bari che, nella primavera del 1071, capitolò dopo quasi tre anni di assedio.
Per la popolazione locale inizialmente cambiò ben poco: anziché rispondere all’imperatore bizantino essa si ritrovava ora alle dipendenze dal duca normanno.
Nella presa del capoluogo pugliese il Guiscardo poté contare sulla collaborazione del minore dei suoi fratelli, Ruggero, a quel tempo impegnato nella conquista della Sicilia.
In cambio Roberto successivamente lo aiutò nella presa di Palermo che avvenne nel gennaio del 1072.
Pag. 66
In questa difficile situazione Michele 7. Ducas (1071-78) – proclamato imperatore di Bisanzio dopo l’imprigionamento di Romano 4. – propose un’alleanza matrimoniale a Roberto il Guiscardo.
Il normanno accettò l’offerta solo nel 1074, allorché parve che la posizione di Michele fosse consolidata.
Olimpia, la figlia di Roberto che dopo il suo arrivo a Bisanzio (1076) prese il nome di Elena, fu promessa in sposa a Costantino, figlio dell’imperatore ancora in fasce.
Grazie a ciò il Guiscardo stabiliva un’unione familiare con la casa imperiale bizantina, la qual cosa contribuiva ad accrescere il suo prestigio personale.
Pag. 66-67
Il bilancio delle imprese di Roberto il Guiscardo risulta contrastante.
Inizialmente vi furono importanti successi coem la sua pressoché straordinaria ascesa da immigrato normanno privo di mezzi a conte di Puglia e infine a duca dell’intero sud Italia dal cui aiuto dipendevano i papi.
Inoltre egli riuscì a conquistare le province, fino ad allora bizantine, di Puglia e Calabria; il suo dominio fu però costantemente minacciato dalle sollevazioni dei signori normanni che, in quelle regioni, avevano accumulato beni e potere.
Verso la fine della sua vita – probabilmente nel convincimento che l’Impero bizantino fosse prossimo al crollo – attaccando le province balcaniche il duca normanno sfidò l’imperatore Alessio 1. che come prevedibile oppose una tenace resistenza.
Le rivolte pugliesi, sovvenzionate col denaro bizantino, alla fine costrinsero il Guiscardo a fare ritorno in Italia dove egli per di più dovette accorrere in soccorso di papa Giovanni 7., assediato a Roma.
La morte del quasi settantenne condottiero nel corso della sua ultima, poco promettente campagna militare contro Bisanzio mostra chiaramente che questi fu un carismatico capo militare ma non un accorto politico.
Pag. 72
Per la maggioranza musulmana della Sicilia inizialmente cambiò poco.
La presa delle principali città era avvenuta solo grazie a trattative in cui alle popolazioni si era concessa la conservazione tanto della libertà religiosa, quanto dell’autonomia amministrativa.
Agli islamici toccava ora pagare quel testatico (arabo jizya) che sotto la dominazione musulmana era stato versato da ebrei e cristiani: conseguenza di ciò fu un loro declassamento sociale.
Ruggero 1. affidò la riscossione delle imposte a cristiani greci di Sicilia che avevano padronanza della lingua araba.
Sebbene il conte tollerasse la fede della popolazione islamica, allo stesso tempo favorì l’immigrazione di cristiani greci dalla Calabria e soprattutto, da altre parti d’Italia, di cristiani latini che dal punto di vista linguistico e culturale erano più affini ai normanni.
Con la (ri)fondazione di sedi vescovili latine a Palermo, Troina, Catania, Siracusa, Agrigento e Mazara, il conte creò le premesse per una graduale latinizzazione o, per meglio dire, romanizzazione dell’isola in seguito alla quale, nel corso del 12. secolo, diminuirono le componenti araba e greca della popolazione.
Nella struttura sociale della Sicilia non intervennero per il momento particolari cambiamenti ad eccezione di due fenomeni: da un lato, un ristretto gruppo di normanni si era impadronito della maggior parte della terra; dall’altro, numerosi intellettuali islamici, non disposti a vivere sotto il dominio dei cristiani, all’isola preferirono il Maghreb e la Spagna araba.
Pag. 74-75
Antiochia normanna, con la sua popolazione multiculturale in cui dominavano la religione cristiana e le lingue greca e araba, giocò un ruolo a lungo sottovalutato nel transfer culturale arabo-occidentale: qui, probabilmente attorno al 1120, il matematico inglese Adelardo di Bath – che aveva già visitato la Sicilia – imparò l’arabo ed acquisì le prime nozioni di scienze naturali arabe, prima di fare ritorno in patria.
Un altro dotto occidentale, che per analoghi motivi in quel torno di tempo (intorno al 1125/27) si recò ad Antiochia, decise perfino di restarvi.
Si tratta di Stefano di Pisa (noto anche come Stefano d’Antiochia) che dall’arabo tradusse in latino opere di medicina, astronomia e matematica e le trasmise all’Europa.
Diversamente da quanto finora supposto, non fu Leonardo Fibonacci a importare in Europa, introno al 1200, le cifre arabo-indiane (e le operazioni di calcolo grazie ad esse più semplici), bensì Stefano, già oltre cinquant’anni prima.
Degno di nota è infine l’immagine della pacifica convivenza tra cristiani e musulmani di Antiochia che emerge dall’opera del poeta siriani Ibn al-Qaysarani (m. 1153).
Pag. 91
Dopo aver duramente punito i suoi avversari dell’Italia meridionale, Ruggero s’impegnò a dotare il nuovo regno di una struttura centralizzata.
Fece pertanto redigere da giuristi di scuola bolognese un corpo di leggi che in larga misura si basava sul diritto romano antico da poco riscoperto.
In esso si sottolineava la posizione straordinaria del sovrano che, a differenza dei monarchi europei del tempo, non doveva riservare ai principi alcun riguardo: le discussioni in merito alle sue scelte erano considerate un sacrilegio, le insurrezioni, delitto di lesa maestà da punirsi con la morte.
Non si dovrebbero più definire Assise di Ariano le costituzioni di Ruggero promulgate introno al 1140, poiché il concetto di assise (leggi) nasce assai più tardi e l’opinione della ricerca più datata secondo cui esse erano state proclamate ad Ariano (presso Avellino, ad est di Napoli) si è rivelata infondata.
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Dopo aver duramente punito i suoi avversari dell’Italia meridionale, Ruggero s’impegnò a dotare il nuovo regno di una struttura centralizzata.
Fece pertanto redigere da giuristi di scuola bolognese un corpo di leggi che in larga misura si basava sul diritto romano antico da poco riscoperto.
In esso si sottolineava la posizione straordinaria del sovrano che, a differenza dei monarchi europei del tempo, non doveva riservare ai principi alcun riguardo: le discussioni in merito alle sue scelte erano considerate un sacrilegio, le insurrezioni, delitto di lesa maestà da punirsi con la morte.
Non si dovrebbero più definire Assise di Ariano le costituzioni di Ruggero promulgate intorno al 1140, poiché il concetto di assise (leggi) nasce assai più tardi e l’opinione della ricerca più datata secondo cui esse erano state proclamate ad Ariano (presso Avellino, ad est di Napoli), si è rivelata infondata.
Pag. 96-97
Che il regno fondato da Ruggero avesse acquisito solide basi lo dimostrano gli eventi successivi alla morte di Guglielmo 1. (1166).
Per il suo successore Guglielmo 2., al tempo dodicenne, esercitò la reggenza la madre Margherita finché questi non raggiunse la maggiore età nel 11171.
Il temuto attacco di Federico Barbarossa al regno non si verificò perché lo Svevo era impegnato nel conflitto con le città lombarde e con papa Alessandro 3.
Quando infine il Barbarossa prese atto di non poter avere il meglio sui suoi avversari italiani con mezzi militari, raggiunse un accordo col papa e col re di Sicilia nella pace di Venezia (1177) e con la Lega lombarda nella pace di Costanza (1183).
Si apriva ora la via ad un’alleanza matrimoniale svevo-siciliana: Enrico 6., figlio ed erede del Barbarossa, nel 1186 sposò infatti Costanza, figlia postuma di Ruggero 2., che Guglielmo 2. aveva designato erede al trono nel caso in cui fosse morto senza figli.
Sembrava improbabile che tale eventualità potesse effettivamente realizzarsi, data la giovane età del re di Sicilia e della sua consorte.
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Solo tre anni più tardi Enrico 6. poté entrare a Palermo e farsi incoronare re di Sicilia.
Egli dovette tale successo ad una circostanza a lui favorevole: qualche mese prima erano morti Tancredi e suo figlio Ruggero, quest’ultimo associato al trono e incoronato re di Sicilia nel 1192, e sposo della principessa bizantina Irene.
Guglielmo 3. – il figlio minorenne di Tancredi per il quale la madre Sibilla aveva esercitato la reggenza – fu fatto arrestare da Enrico 6. che, dopo averlo reso inadatto al governo con l’accecamento e l’evirazione, lo fece condurre in un castello del Vorarlberg (Austria) dove morì pochi anni dopo.
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I re “normanni” di Sicilia
Ruggero 2. 1130-1154
Guglielmo 1. (il Malo) 1154-1166
Guglielmo 2. (il Buono) 1166-1189
Tancredi di Lecce 1190-1194
Guglielmo 3. 1194
Per esprimere il loro dominio, i re di Sicilia ricorrevano a simboli arabi, bizantini e latino-occidentali.
Così, sul modello dei califfi fatimidi d’Egitto, Ruggero 2. esibiva un parasole quale insegna del potere; nelle udienze indossava un mantello adorno di immagini e caratteri arabi che più tardi, sotto Enrico 6., sarebbe passato agli Svevi e che oggi è custodito nella viennese Holfburg.
In ambiente greco egli si presentava in foggia di imperatore bizantino, come appare nei mosaici della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio di Palermo, fondata da Giorgio di Antiochia; nella basilica latina di San Nicola di Bari veniva rappresentato piuttosto secondo l’immagine di un sovrano occidentale che meglio si adattava al pubblico locale.
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Se consideriamo il regno di Sicilia, che a nord si estendeva fino a Montecassino, nella sua ampiezza complessiva, è possibile riscontrare la dominanza della cultura latina, che sempre più relegava ai margini le altre culture.
Verso la fine del 12. secolo diventano dunque sempre più rare le personalità in gradi di parlare più lingue: un personaggio come Eugenio da Palermo (m- 1202), che traduceva dall’arabo in greco, sua lingua madre, ma anche direttamente in latino, rappresentava ora un’eccezione.
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La storiografia ritiene che una sorta di sentimento nazionale siciliano si sia sviluppato solo nel 1282, durante la rivolta contro la dinastia degli Angiò succeduta agli svevi (i cosiddetti Vespri siciliani).
Il valore dei normanni per la storia italiana risiede nel fatto che grazie ad essi le regioni del Meridione, che fino ad allora guardavano a Bisanzio, e la Sicilia araba furono integrate nella sfera culturale latino-occidentale, alla quale appartengono tuttora.
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Conclusioni: Migrazione, integrazione e identità
Le migrazioni sono un fenomeno costante della storia umana.
La fase di transizione dall’antichità al Medioevo fu contrassegnata dall’immigrazione di genti germaniche nell’area del Mediterraneo: così, solo per citare due esempi, sotto Genserico (m. 477) giunsero nell’Africa romana circa 80000 vandali, mentre, come già menzionato, nel 6. Secolo si insediarono in Italia dai 100000 ai 150000 longobardi.
Per tale fenomeno, in Germania si è impiegato da lungo tempo il concetto di migrazione dei popoli (tedesco Völkereanderung).
Oggi si preferisce parlare di migrazione di masse (Massenmigration), poiché i popoli di cui parlano gli storici medievali non erano entità etniche chiuse bensì ampi gruppi che grazie all’assimilazione di altri gruppi mutavano di continuo.
Nel caso delle migrazioni normanne dell’11. e dell’inizio del 12. secolo, la situazione si presenta in termini differenti: nel sud Italia, in Inghilterra e ad Antiochia i conquistatori normanni erano, al confronto della popolazione locale, solo una piccola minoranza; ciò vale in misura anche maggiore per quei tentativi non riusciti di creare dominazioni normanne in Spagna e in Anatolia, di cui si è parlato.
Solo in Inghilterra, facilmente raggiungibile dalla vicina Normandia, i conquistatori furono seguiti da coloni (probabilmente da 8000 a 10000).
Membri di famiglie normanne emigrarono tanto in Inghilterra quanto e in Italia e nel Vicino Oriente.
Dalla famiglia Grandmesnil, espressione della nobiltà della regione di Falaise (a sud di Caen), Ugo, un fratello del menzionato abate Roberto di Saint-Evroult, fuggito intorno al 1060 alla volta dell’Italia, prese parte alla conquista dell’Inghilterra e ottenne ampi possedimenti nella regione di Leicester.
Suo figlio maggiore, Ivo, perse tali beni in seguito a uno scontro con il re Guglielmo 2. e partì per la Terrasanta, dove morì nel 1102.
Il fratello di Ivo, Guglielmo (m. 1114), verso il 1075/80 emigrò nel Mezzogiorno, dove sposò una figlia di Roberto il Guiscardo e ricevette terre in Calabria; però, quando partecipò a una rivolta contro il suocero, questi lo costrinse all’esilio.
Guglielmo, a cui in seguito fu consentito di far ritorno in Calabria da Bisanzio, dovette accettare un ridimensionamento dei suoi possedimenti.
Non tutti i migranti normanni partivano di propria iniziativa: Ugo Bunel, figlio di Roberto di Igé, nel 1077 assassinò la contessa Mabel di Belleme e in seguito a ciò lasciò con i fratelli la Normandia per sottrarsi alla pena.
Fuggì inizialmente nel sud Italia, poi in Sicilia e da ultimo a Bisanzio.
Poiché anche lì non si sentiva al sicuro dalla vendetta dei parenti della defunta contessa – così riporta il cronista Orderico Vitale – il normanno cercò rifugio presso gli infedeli (presumibilmente i Selgiuchidi).
Nei vent’anni che trascorse presso di loro, egli familiarizzò con i costumi e la lingua dei suoi ospiti.
Nel 1099 Ugo si alleò con i crociati che assediavano Gerusalemme e divenne di grande utilità per il duca normanno Roberto, grazie alla sua conoscenza della tecnica bellica musulmana.
Come si posero le popolazioni locali nei confronti degli immigrati e conquistatori normanni?
Per rispondere a tale domanda è opportuno distinguere tra l’Inghilterra e le regioni mediterranee.
Nel primo caso, di fronte agli invasori che si apprestavano a conquistare un regno già esistente si trovava una popolazione relativamente omogenea sotto il profilo culturale, il cui ceto dominante fu poi spodestato quasi del tutto.
La conseguenza fu un atteggiamento ostile che perdurò per più decenni da parte degli autoctoni, i quali dovettero assistere al modo in cui i conquistatori si spartivano le posizioni di comando nello Stato e nella Chiesa.
Un elemento divisivo fu inizialmente la lingua francese dei conquistatori e degli immigrati normanni; con effetto unificante operarono invece la comune religione cristiano-latina e le affinità culturali fra Normandia e Inghilterra, che si fondavano tanto sulle comuni radici scandinave quanto sui loro contatti di vicinato esistenti da lungo tempo.
Nelle regioni del Mediterraneo la situazione era più complessa: dall’area settentrionale del Mezzogiorno (Campania e nord della Puglia) caratterizzata dalla cultura latina, nella prima metà dell’11. secolo si levarono rimostranze nei confronti di gruppi di cavalieri normanni immigrati che saccheggiavano i beni ecclesiastici e commettevano violenze nei confronti della popolazione civile.
Tali proteste cessarono però allorché i normanni, trasformatisi da immigrati in conquistatori, vennero legittimati dall’investitura papale (1059) e a loro volta si impegnarono a proteggere la Chiesa e la popolazione.
Anche nell’estrema propaggine del sud Italia di cultura greca (Calabria, sud della Puglia e parte della Basilicata) la piccola minoranza dei signori normanni si intese presto con la popolazione locale, sostenendo i monasteri greco-ortodossi e sostituendo i vescovi greci con vescovi latini solo quando ciò non provocava alcuna opposizione.
Diversa situazione si presentava in Sicilia, dove solo la minoranza cristiana accolse i conquistatori a braccia aperte, mentre la maggioranza musulmana oppose resistenza.
I normanni, anche in questo ambiente culturale estraneo a loro, procedettero in modo pragmatico e consentirono ai siciliani musulmani di conservare la loro religione e alle città uan certa autonomia amministrativa.
Tuttavia, numerosi musulmani, soprattutto delle classi elevate, non accettarono di vivere sotto il dominio dell’infedele ed emigrarono nel Maghreb o nella Spagna moresca.
Nell’Antiochia conquistata da Beomondo la popolazione cittadina, per lo più composta da cristiani greci, siriani e armeni, guardava al ristretto ceto dominante franco-normanno come ai liberatori dalla dominazione dei Selgiuchidi.
Conflitti sorsero solo a seguito della creazione di una nuova organizzazione ecclesiastica con al vertice un patriarca latino, la quale provocò la resistenza del clero ortodosso legato a Bisanzio.
Però, considerata la molteplicità già esistente di confessioni cristiane, il cambiamento del vertice politico ed ecclesiastico probabilmente fu poco percepito dalla maggioranza della popolazione.
L’integrazione di migranti è un problema che, a partire dalla fine del 20. secolo, ha assunto nuova attualità.
Se e come integrare e assimilare gli immigrati dipende da fattori diversi: dal loro numero, dalla loro composizione (gruppi di famiglie o singoli individui), dalla loro posizione sociale, dalla loro cultura e religione, così come dalle loro modalità di insediamento, in grossi gruppi o frammentariamente in piccole unità.
Tale processo, nel quale un effetto fortemente integrativo deriva dai matrimoni misti, viene influenzato altresì dalla volontà di integrarsi dell’immigrato e dalla reazione degli autoctoni e delle istituzioni che consapevolmente o inconsapevolmente incentivano l’immigrazione.
Ciò è dimostrato dagli esempi da noi menzionati nei capitoli precedenti: i vichinghi, che si stabilirono nel nord della Francia, erano disposti ad integrarsi nel regno franco cristiano, accettandone la religione e la lingua; matrimoni misti potevano precedere e facilitare tale passo, ma anche esserne semplicemente la conseguenza.
I sovrani franchi favorirono l’integrazione al fine di rendere sicuro il confine settentrionale del loro regno.
L’esito fu l’etnogenesi dei normanni, nonché la nascita di un nuovo popolo che, pur abbandonando la religione e la lingua dei suoi avi, coltivò la memoria delle radici scandinave, grazie alla quale si distingueva dagli altri franchi/francesi.
Nell’integrazione e creazione di un’identità specificamente normanna, un ruolo importante giocò, come abbiamo visto, la Chiesa latina.
Stesso discorso vale per l’integrazione dei normanni in Inghilterra e nel sud Italia.
Come già detto, in Inghilterra la comune religione e l’affinità culturale facilitarono le relazioni tra conquistatori e popolazione locale.
Il normanno-francese sostituì l’anglosassone/antico inglese nella lingua scritta, non però in quella parlata.
La conseguenza fu che la letteratura e la documentazione amministrativa furono redatte solo in latino, come già accadeva, e/o in francese.
D’altro canto, a partire dalla fine del 12. secolo, anche per la nobiltà l’inglese divenne la lingua madre, mentre il francese rimase solo coem seconda lingua.
Il ritorno in letteratura dell’uso dell’inglese – che aveva subito significative influenze del francese ma solo nel lessico – data prima del 14. secolo.
Il fatto a prima vista sorprendente che in Inghilterra i conquistatori avessero assunto nella quotidianità la lingua dei conquistati dipese non soltanto dal loro essere una minoranza.
Importante fu che i normanni, nella Chiesa inglese, riuscirono a occupare con chierici provenienti dalla Francia solamente le posizioni di primaria importanza.
Nel clero autoctono, numericamente preminente, la memoria del passato anglosassone rimase viva, in ciò giocando un ruolo non trascurabile la venerazione dei santi inglesi e la grande diffusione della Storia ecclesiastica degli Angli di Beda il Venerabile (m. 735).
Inoltre, i re normanni d’Inghilterra non mancavano di enfatizzare la continuità con la precedente casa regnante anglosassone, cui li legavano rapporti di parentela.
Così, i discendenti dei conquistatori normanni, a partire dalla seconda metà del 12. secolo, iniziarono a considerarsi inglesi.
Anche nella parte settentrionale del sud Italia, appartenente alla sfera culturale latina, i normanni riuscirono, grazie ai matrimoni, ad integrarsi in poche generazioni.
Qui, all’inizio del 12. secolo, l’alta nobiltà era dominata da discendenti di immigrati e conquistatori normanni; al contrario, nella media e piccola nobiltà, numerose famiglie di origine longobarda erano riuscite a difendere il loro status.
Nel sud della Puglia e in Calabria, contrassegnate dalla cultura bizantina, l’integrazione dei normanni procedette in modo decisamente più lento.
Grazie all’espansione verso nord del regno di Sicilia – fino ai confini del futuro Stato pontificio – compiuta presso Ruggero 2., l’elemento latino divenne però sempre più forte mentre persero d’importanza la cultura greca e quella araba.
Si può presumere che tanto in Inghilterra quanto nel sud Italia il processo di integrazione sia durato al massimo cent’anni, la qual cosa concorda con el acquisizioni, secondo cui gli immigrati, di regole, vengono assimilati e integrati nel nuovo ambiente al più tardi entro la quarta generazione.
In particolari condizioni, tale processo può svolgersi anche più rapidamente: nel principato crociato di Antiochia la ristretta élite normanna già nel 1119 era stata a tal punto decimata dalla disastrosa disfatta del “Campo di sangue”, che i pochi normanni superstiti si integrarono in campi brevi nell’aristocrazia francese residente in Terra santa, che subentrava nelle posizioni liberatesi ad Antiochia.
E quanto fortemente tale aristocrazia crociata fosse influenzata dalla cultura orientale già nel 1127 lo si è visto al principio di queste considerazioni conclusive nelle parole di Fulcherio di Chartres.
La ricerca ritiene che il prezzo per la disponibilità e la capacità dei normanni di integrarsi in nuovi contesti stranieri sia stata la perdita della loro identità normanna in favore di una nuova: da normanni essi divennero inglesi e italiani del sud.
Tale approccio presuppone però un concetto di identità statico e trascura che – a prescindere dal fatto che le identità, come le culture e i popoli, sono in continua evoluzione – vi sono anche identità multiple e mobili (shifting identities).
Così, tra i contadini siciliani del 12. secolo ritroviamo musulmani con nomi greco-cristiani e cristiani con nomi arabo-musulmani, come Mohammed (Mercalfe).
E giacché non vi sono testimonianze che Ruggero 2., pur essendo figlio di un immigrato normanno, si considerasse a sua volta normanno, in ultima analisi è poco opportuno parlare di un regno normanno di Sicilia come si fa d’abitudine.
Infatti, quei documenti di Ruggero che parlano di “nostri normanni” sono tarde falsificazioni e pertanto non rappresentano alcun indizio di cui sia possibile desumere un’identità “normanna” del re di Sicilia.
Per concludere, rimane da chiarire la questione del perché i normanni, pur essendo dappertutto in minoranza, in Inghilterra e nel sud Italia ebbero successo, mentre in altri luoghi no.
Sicuramente contarono il loro spirito di adattamento, il loro pragmatismo e la loro capacità militare; a ciò si aggiunga che in Inghilterra e nel sud Italia essi erano sì una minoranza, ma non tanto esigua come ad Antiochia o nei falliti tentativi di dominio in Anatolia e a Tarragona.
Pure il caso giocò il suo ruolo, cosa che diviene particolarmente evidente per quel che riguarda Antiochia, dove l’elemento normanno perse rapidamente di valore a causa delle pesanti perdite subite nella già menzionata sconfitta del 1119, a soli vent’anni dalla creazione del principato.
La conquista del sud Italia e della Sicilia, come pure la successiva creazione e il consolidamento del regno di Sicilia, furono dovuti a una serie di circostanze favorevoli: l’Impero bizantino e quello romano-germanico erano alle prese con problemi che non consentivano loro di opporti ai conquistatori normanni; le forze islamiche erano troppo divise e occupate dalla lotta contro i crociati per poter pensare a una riconquista della Sicilia; il papato, attraversato da violente crisi, aveva bisogno dell’appoggio militare dei normanni.
Con la loro espansione in Inghilterra e con le conquiste nel sud, i normanni, nell’11. e nel 12. secolo, modificarono la carta politica e il profilo culturale dell’Europa.
Altri conquistatori ed avventurieri normanni, che non lasciarono tracce profonde, sono però interessate in qualità di uomini di frontiera tra Oriente e Occidente.
Il durevole successo dei normanni nel nord e nel sud dell’Europa si spiega dunque, come abbiamo visto, con la loro capacità di adattarsi ad ambienti geograficamente, politicamente e culturalmente differenti e di integrarsi in essi.
Cronologia
876 ca. Il vichingo Rollone si insedia nella regione della bassa Senna
890 ca. Rollone sposa Poppa, figlia del conte Berengario di Bayeux
911 Accordo di Sainte-Claire-sur-Epte tra re Carlo 3. e Rollone
927-942 ca. Guglielmo Lungaspada, conte/margravio di Normandia
942-996 Riccardo 1. Duca di Normandia
996-1026 Riccardo 2. Duca di Normandia
1000 ca. Primi normanni nell’Italia meridionale
1002 Etelredo 2. re d’Inghilterra (978-1016) sposa Emma, figlia di Riccardo 1.
1016 Emma sposa Canuto, re d’Inghilterra e Danimarca
1026-1027 Riccardo 3. Duca di Normandia
1027-1035 Roberto 1. Duca di Normandia
1035-1087 Guglielmo il Conquistatore duca di Normandia
1038 L’imperatore Corrado 2. assegna ai normanni Rainolfo e Dragone le contee di Aversa e Puglia
1041 Edoardo, figlio di Etelredo e di Emma, viene associato al trono inglese
1053 Battaglia di Civitate: vittoria normanna sull’esercito di papa Leone 9.
1059 Papa Niccolò 2. concede a Riccardo, conte di Aversa, il principato di Capua e a Roberto il Guiscardo il ducato di Puglia, Calabria e Sicilia
1066 gennaio Morte di re Edoardo ed elezione di Aroldo del Wessex a re d’Inghilterra
1066 ottobre Battaglia di Hastings: vittoria di Guglielmo il Conquistatore su Aroldo
1066-1087 Guglielmo (1.) il Conquistatore re d’Inghilterra
1087-1100 Guglielmo 2. Rufus re d’Inghilterra
1098 Beomondo 1., figlio di Roberto il Guiscardo, fonda il principato di Antiochia
1100-1135 Enrico 1. Beauclerc re d’Inghilterra
1112 Ruggero 2. Conte di Sicilia, dal 1127 duca di Puglia, Calabria e Sicilia
1126-1130 Beomondo 2. principe di Antiochia
1129-1155 Roberto Burdet principe di Tarragona
1130 Ruggero 2. re di Sicilia (unificazione politica dell’Italia meridionale e della Sicilia)
1135-1154 Stefano di Blois re d’Inghilterra
1154-1189 Enrico 2. Plantageneto re d’Inghilterra
1154-1166 Guglielmo 1. (il Malo) re di Sicilia
1166-1189 Guglielmo 2. (il Buono) re di Sicilia
1186 Nozze tra Costanza di Sicilia ed Enrico 6, figlio di Federico 1. Barbarossa
1189-1199 Riccardo Cuor di Leone re d’Inghilterra
1190-1194 Tancredi re di Sicilia
1194-1197 Enrico 6. (di Svevia), imperatore romano-germanico, re di Sicilia
1198-1250 Federico 2. Re di Sicilia (dal 1220 imperatore romano-germanico)
1199-1216 Giovanni Senzaterra re d’Inghilterra
Bibliografia
La Sicilia e i normanni: le fonti del mito / G. M. Cantarella. – Patron, 1989
Quei maledetti normanni: cavalieri e organizzazione militare nel Mezzogiorno normanno / E. Cuozzo. – Guida, 1989
I normanni in Italia: cronache di conquista e del regno / P. Delogu. – Liguori, 1984
I normanni: popolo d’europa, 1030-1200 / a cura di M. D’Onofrio. – Marsilio, 1994
Mezzogiorno normanno-svevo: monasteri e castelli, ebrei e musulmani / H. Houben. – Liguori, 1996
Ruggero 2. di Sicilia: un sovrano tra Oriente e Occidente / H. Houben. – Laterza, 1999
Normanni tra nord e sud: immigrazione e acculturazione nel Medioevo / H. Houben. – Di Renzo, 2003
I caratteri originari della conquista normanna: diversità e identità nel mezzogiorno, 1030-1130 / a cura di R. Licinio e F. Violante. – Adda, 2006
Nascita di un regno: poteri signorili, istituzioni feudali e strutture sociali nel Mezzogiorno normanno, 1130-1194 / R. Licinio. – Adda, 2008
La vita quotidiana nell’Italia meridionale al tempo dei normanni / J.-M. Martin. – Rizzoli, 1997
I normanni in Italia / D. Matthew. – Laterza, 1997