Citazioni
Per chi non innalzava la bandiera rossa risultò molto difficile tenere comizi. La tecnica dei socialisti era semplice. Appena un avversario cominciava a parlare, in una sala o sulla piazza di un paese, un paio di costoro si facevano sotto il palco e domandavano il contraddittorio, ossia la possibilità di replicare con un loro comizio Subito la truppa della Federazione proletaria cominciava a urlare ordinando all’oratore di smettere per lasciare il posto a un loro dirigente. E di solito l’avversario pensava bene di cedere
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Domenica 5 ottobre a Sant’Angelo Lomellina i socialisti aggrediscono una riunione della Federazione agricola, sfondano un portone, entrano, tirano sassate, il giorno dopo i carabinieri arrestano il sindaco Pietro Protti e altri dieci della lega, subito poi scarcerati. Sabato 11 ottobre a Sannazzaro de Burgundi i socialisti impediscono un comizio del Partito popolare, un maestro cattolico viene picchiato.
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Claudio Treves: “Sentiamo circolare intorno a noi un vento sinistro di controrivoluzione prima che sia avvenuta la rivoluzione”
“L’errore della Confederazione generale del lavoro e del PSI – proseguì Nora – fu di lasciare che nelle campagne padane le leghe diventassero un potere dispotico. Chi non lo riconosceva e non gli obbediva, padrone o bracciante che fosse, era destinato al boicottaggio. Ossia veniva scaraventato nel girone degli appestati. E non trovava più nessuno che lo rifornisse di merci, che gli riparasse gli attrezzi di lavoro, che gli vendesse anche soltanto un etto di zucchero”
“A storia finita, ossia nel dopoguerra, lo riconobbe uno dei capi della Federazione proletaria, Paolo Moro. Ritornando con alla memoria all’aprile del 1920 scrisse nel suo libro “Non vogliamo morire”: Un ordine contro natura veniva dato ai salariati: di abbandonare nelle stalle il bestiame. Quella notte ebbi una sensazione precisa: una forza oscura unisce le reazioni nei diversi campo in lotta, per portare distruzione e la morte”.
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I socialisti chiedevano di essere protetti proprio dal quello Stato che avevano continuamente dichiarato di voler abbattere. E da quella polizia e quei carabinieri sempre considerati una guardia bianca, al servizio della borghesia, degli industriali, degli agrari.
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Ma fu la ‘Giustizia’ il quotidiano di Turati, di Treves, di Matteotti, a scrivere la sintesi più schietta di quella disfatta del sindacato e del Partito socialista. Se lo ricorda? Mi domandò Nora.
No, e forse non l’ho mai letta, ammisi.
Lei prese un vecchio giornale e disse: Le citerò soltanto poche righe: Lo sciopero generale è stato la nostra Caporetto. Usciamo da questa prova clamorosamente battuti. Abbiamo giocato l’ultima carta e nel gioco abbiamo lasciato Milano e Genova, che sembravano punti invulnerabili della nostra resistenza. Nella capitale lombarda le fiamme hanno ingoiato ancora una volta il giornale del partito e il comune è stato tolto violentemente ai suoi legittimi rappresentanti. A Genova, la roccaforte dei marinai e dei lavoratori del porto le sedi delle organizzazioni sono state occupate dai fascisti, mentre del quotidiano socialista non rimangono che le ceneri. In tutti i più importanti centri la raffica fascista si sferra con egual violenza distruggitrice…Bisogna avere il coraggio di riconoscerlo: i fascisti sono oggi i padroni del campo.
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E come andò dà ragione a chi sostiene che sarebbero bastati qualche reggimento dell’esercito e un po’ di carabinieri a stroncare le gambe a Mussolini.
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La sera di Pasqua, il 27 marzo, Cagnoni andò a parlare a Casorate primo, un paese della provincia di Pavia, già al di là del Ticino. E secondo la versione dei fascisti disse che l’attentato al Diana per quanto biasimevole fosse, ‘rappresentava una ritorsione alle violenze di cui il proletariato era vittima da parte del fascismo’
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Anni dopo Gramsci avrebbe affermato che la scissione di Livorno era stata ‘il più grande regalo fatto alla reazione’. Ma in quel 1921, già carico di pericoli per la sinistra, pochi se ne resero conto. Fra questi c’era Nenni, che scrisse: A Livorno è cominciata la tragedia del proletariato italiano. E un altro giornalista, o un politico vicino al PSI, sfornò un’immagine che per mio nonno restò indimenticabile: La scissione è il cacio sulla minestra della borghesia.
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Due giorni dopo, in prima pagina, il Proletario tradusse il consiglio in un ragionamento che oggi lascia allibiti: Le scorrerie fasciste in Lomellina servono magnificamente alla propaganda socialista. Il sistema della violenza incendiaria e sanguinaria contro le nostre istituzioni, l’odio diffuso contro i loro dirigenti, ottengono lo scopo di disseminare nelle pacifiche popolazioni rurali lo sdegno e il disprezzo contro la borghesia, madre naturale del fascismo.
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Nenni poi avrebbe scritto: Il proletariato italiano, con un sacrificio veramente eroico, aveva rinnovato la sua devozione al socialismo. In compenso esigeva di essere difeso e assistito nella durissima battaglia che doveva condurre nel paese. Ma questo non avvenne
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Concludeva Zibordi nel 1922, con un’immagine che mi convince molto: Come il don Rodrigo manzoniano, il fascismo fruisce al tempo stesso della violenza e della legalità. Si spiega così la resa quasi generale dei lavoratori: si sentono di fronte a una forza armata che ha la guardia regia, il carabiniere che le passa i moschetti, l’ufficiale che le sorride, il prefetto che non vuole o non può infrenarla, il magistrato che dorme il sonno del giusto.
P. 248
Bibliografia
Il ras e il dissidente / Pierangelo Lombardi. – Bonacci, 1998
Mauro Canali, storico, allievo di Renzo de Felice