Citazioni
Autonomia e spontaneità operaia contro le organizzazioni tradizionali (1919).
Nel 1919 la classe operaia torinese dimostra, attraverso diversi sintomi, di non riconoscersi più nelle sue organizzazioni tradizionali, Il partito socialista italiano e la Confederazione generale del lavoro. Il movimento dei consigli di fabbrica è un’espressione del conflitto latente tra base e vertici sindacali. Il gruppo riunito attorno alla rivista “Ordine Nuovo” si fa interprete di questo malcontento, lo guida, gli da un indirizzo politico, lo sottomette alle sue teorizzazioni ideologiche.
Lo scopo della presente ricerca è pertanto duplice: in primo luogo ci si propone di cogliere le manifestazioni della ostilità operaia nei confronti del Partito socialista italiano e della Confederazione generale del lavoro; in secondo luogo di verificare fino a che punto il gruppo ordinovista sia stato realmente espressione delle esigenze profonde che erano alla base della insofferenza del proletariato per i suoi rappresentanti.
Ma a tale fine è necessario essere persuasi che le esplosioni di collera operaia che punteggiano il biennio rosso e che ne fanno il momento di massima tensione rivoluzionaria in Italia (se non l’occasione mancata per l’insurrezione vera e propria)nascono da precise e “minute” rivendicazioni “sindacali”; che quindi i contenuti di queste ultime, il modo col quale gli operai le accolgono o le respingono, il modo infine col quale le gestiscono, assieme o contro i sindacati, debbono essere al centro della interpretazione politica degli avvenimenti.
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L’occupazione delle fabbriche
Nel settembre 1920 la classe operaia italiana si trovò dinanzi al compito di dirigere verso l’insurrezione armata il malessere sociale che investiva tutti gli strati del proletariato. L’autonomia operaia era posta dinanzi a responsabilità ardue, e nuove rispetto al terreno di fabbrica su cui era nata: ora la sua azione andava a scontrarsi con i delicati equilibri del sistema politico e ne provocava la naturale reazione di difesa. Più che mai avrebbe avuto bisogno di una avanguardia politica in grado di guidarla attraverso tutte le svolte della situazione con intelligenza e versatilità tattica. L’avanguardia torinese è investita di colpo di problemi sociali, di portata nazionale, che richiedono una risposta in tempi brevi, mentre la situazione precipita.
L’occupazione delle fabbriche del 1920, esaminata sullo sfondo della crisi capitalistica e dal lato dell’autonomia operaia, consente forse una interpretazione diversa da quelle tentate finora, e in ogni caso la presentazione di una nuova serie di nuovi problemi.
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Nessuno a quell’epoca avrebbe potuto intravvedere nel minuscolo partito di Mussolini l’alternativa governativa e istituzionale alle vecchie classi dirigenti. Nessuno del pari avrebbe potuto prevedere che la borghesia, per aver subito in Italia il più violento e pericoloso attacco al suo potere che si fosse verificato in Europa, avrebbe potuto dar vita, per risollevare le sue fortune, alla più nuova, oppressiva e, per quei tempi, inaudita forma di dominio politico che si fosse mai vista.
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Le note che seguono hanno lo scopo di istituire un confronto tra la conoscenza che i dirigenti del PSI hanno della crisi europea e la realtà effettiva di questa, quale appare dalla letteratura corrente dell’epoca e dallo stesso dibattito in seno all’Internazionale comunista. Questo nella convinzione che i limiti della azione politica del PSI non possano essere giustificati se non dall’assenza di una teoria della crisi capitalistica in generale e di un’analisi delle classi in Italia, in particolare. Difatti una spiegazione del fallimento del settembre 1920 che si limitasse ad individuare una serie di errori tattici sarebbe non solo incompleta, ma anche tautologica. La rivoluzione fallisce perché manca una direzione rivoluzionaria.
Che il requisito essenziale di quest’ultima sia il possesso di una teoria della rivoluzione nel senso che abbiamo detto è ciò che in queste pagine vogliamo suggerire, anche se il riferimento sarà piuttosto all’”Ordine Nuovo” che ai capi massimalisti, per i quali l’assenza completa di ogni sforzo teorico esime da una indagine dettagliata delle loro posizioni.
Per questa ragione la presente analisi vale anche come studio sulla formazione del futuro gruppo dirigente del Partito Comunista Italiano, e fornisce una serie di informazioni sull’itinerario intellettuale di Gramsci e compagni, quale appare ai suoi inizi.
Bibliografia
La lotta sindacale per l’industrializzazione in Italia / M. Abrate. – Torino, 1967
Bruno Buozzi / G. Castagno. – Milano-Roma, 1955
Torino operaia nella grande guerra / P. Spriano. – Torino, 1960
Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo, 1918-1922 / R. Vivarelli. – Napoli, 1967
Agnelli / V. Castronovo. – Torino, 1971
Il ritorno al potere di Giolitti nel 1920 / C. Vallauri