Storia medievale / Provero Vallerani

Bibliografia generale

L’eredità di Roma: storia di Roma dal 400 al 1000 d. C. / C. Wickham. – Laterza, 2014
Tempi barbarici: l’Europa occidentale tra antichità e Medioevo, 300-900 / S. Gasparri, C. La Rocca. – Carocci, 2012
La caduta di Roma e la fine della civiltà / B. Ward-Perkins. – Laterza, 2005

Parte prima: La trasformazione del mondo romano

Introduzione

L’idea di Medioevo nasce quando il Medioevo finisce: furono gli umanisti, a partire dal secolo 15., a individuare un periodo di mezzo (una ‘media aetas’) che si frapponeva tra loro e l’età classica, a cui volevano richiamarsi. E’ quindi un’idea che nasce in un momento storico preciso e con intenti chiari: affermare la propria diretta discendenza dalla cultura classica e connotare il millennio precedente come un intermezzo, un periodo di barbarismi e di declino linguistico e culturale, una rottura che andava sanata. Il giudizio negativo sul medioevo, nato sul piano culturale, non faticò a estendersi alla valutazione delle forme politiche e della società: gli uomini del Rinascimento, formati in una cultura che vedeva nello Stato il modello politico più alto, guardavano con perplessità e disprezzo il Medioevo e soprattutto i suoi ultimi secoli, con l’altissima frammentazione dei poteri di cui gli stati rinascimentali apparivano come una cura.
Come tutte le periodizzazioni storiche, il Medioevo è quindi una convenzione, e come tale deve essere trattato: uno strumento concettuale, utile se ci permette di comprendere meglio il passato. Ovviamente nessuno può pensare che il millennio medievale esprima una civiltà omogenea e compatta, che sia un blocco unico che può essere letto come un insieme indifferenziato. Ma la nozione di Medioevo resta utile perché indica un periodo che si colloca tra due fasi di profondo mutamento pressoché di tutte le forme della vita associata: da un lato la trasformazione del mondo romano, tra 4. E 6. Secolo; dall’altro la formazione dell'Europa moderna, un migliaio di anni dopo.
Torneremo alla fine del volume sui cambiamenti che tra 14 e 16 secolo rivoluzionarono l’Europa occidentale e che – nella periodizzazione più comunemente accettata – pongono fine al Medioevo. I quattro capitoli della prima parte del volume intendono presentare il prima grande sistema di cambiamenti, quello che caratterizza la transizione dalla Antichità al Medioevo. Fu una fase segnata da un sistema articolato di cambiamenti, quindi, e proprio questa articolazione la rende pienamente rilevante: non solo le invasioni barbariche, ma una profonda trasformazione delle forme di vita, un mutamento che ebbe inizio ben prima della caduta dell’Impero e si concluse molto dopo. Possiamo considerare unitariamente i secoli dal 4 al 6 come una complessiva fase di trasformazione.
Cambiarono le fedi religiose, la distribuzione dei diversi popoli in Europa e nel Mediterraneo, i sistemi politici, le forme della circolazione economica. Vediamo in estrema sintesi queste quattro linee di cambiamento che connotano complessivamente i capitoli di questa parte. Il Cristianesimo si era progressivamente diffuso nei territori dell’Impero, ma nel corso del 4 secolo compì un salto di qualità fondamentale: prima la libertà di culto concessa da Costantino nel 313, poi il riconoscimento come religione ufficiale dell’Impero nel 380, trasformarono in pochi decenni il Cristianesimo da religione minoritaria e illecita a culto dominante. Negli stessi decenni gruppi sempre più numerosi di persone originariamente estranee all’Impero (e perciò dette ‘barbare’) si stanziarono all’interno del dominio romano, non in seguito a una conquista, ma riconosciuti e accolti dallo stesso Impero, di cui andarono a costituire l’esercito. Nel secolo successivo molti di questi gruppi presero il potere in diversi settori dell’Impero occidentale, formando i cosiddetti regni romano-germanici, mentre la parte orientale dell’Impero, territorialmente ridotta, conservò molte forme del potere imperiale. Infine, questa rottura del nesso politico romano trasformò radicalmente i meccanismi economici: il prelievo  la redistribuzione delle tasse attraverso tutto il Mediterraneo e l’Europa avevano infatti costituito il principale sistema di circolazione economica in età imperiale: la loro interruzione, con la fine dell’Impero d’Occidente, non arrestò gli scambi tra le diverse sponde del Mediterraneo, ma certo ruppe l’interdipendenza economica tra le diverse regioni, quale si era definita nei secoli precedenti.
In estrema sintesi, all’inizio del 6 secolo pressoché tutte le forme del vivere associato erano diverse rispetto a due secoli prima: si rispondeva a poteri diversi, si erano diffuse lingue nuove (ma si continuava a parlare e soprattutto a scrivere in latino), si credeva in un Dio diverso, nella vita quotidiana si usavano per lo più oggetti di produzione locale, le città (e soprattutto Roma) erano più piccole. Un muramento così complesso ovviamente non si può ridurre a una data: non si può indicare un momento preciso di inizio del Medioevo. Molte date sono state proposte, e ognuna di queste rappresenta una scelta, una selezione, un’interpretazione del mutamento: la classica del 476 (la fine dell’Impero d’Occidente) esprime l’idea che la struttura fondante del mutamento sia rappresentata dalle istituzioni più alte, dal titolo imperiale; il 410 (il sacco di Roma da parte dei Visigoti) privilegia una lettura etnico-militare, con la libera mobilità dei popoli barbarici nei territori dell’Impero, fino alla violazione del suo centro, che da secoli (dai Galli di Brenno) non veniva raggiunto dai nemici; il 324 (fondazione di Costantinopoli) è un modo per evidenziare i quadri territoriali e istituzionali, con la creazione di una nuova capitale, alternativa a Roma; il 313 (l’editto di Milano) indica invece nel mutamento religioso il fattore più connotante.
Ogni data è una interpretazione, è l’individuazione di un singolo fattore che viene così ritenuto determinante nel mutare dell’intera civiltà: in questo senso le date possono essere utili: proprio il fatto che siano state suggerite tante date diverse ci aiuta a ricordare come il mutamento fosse costituito da molti fattori. Ma è importante ricordare che non è il fatto specifico (l’editto di Milano, la deposizione di Romolo Augustolo…) a determinare il mutamento, ma è il mutamento strutturale a manifestarsi nel fatto.
Questo è in breve il quadro che unisce la prima parte del volume: il processo di trasformazione del mondo romano attraverso un sistema di profondi cambiamenti. Questa idea di ‘trasformazione del mondo romano’ non vuole offrire l’immagine di una transizione morbida e pacifica: furono secoli di grandi conflitti e saccheggi (che per due volte colpirono la stessa Roma), persecuzioni religiose e violenze. Ma le violenze e i disordini ci furono in molti altri periodi: ciò che connota davvero questi secoli è il fatto che l’esito di queste violenze fu appunto la trasformazione del mondo romano, la creazione di molte dominazioni – dall’Impero bizantino ai piccoli regni inglesi – che in modi diversi rielaborarono i modelli di funzionamento sociale, economico e politico dell’Impero.
I 4 capitoli che costituiscono questa parte leggono il mutamento attraverso altrettante chiavi tematiche diverse: i funzionamenti dell’Impero tardoantico e l’affermazione del Cristianesimo; la formazione dei regni romano-germanici nell’Europa occidentale; lo specifico caso del regno franco, contesto in cui ci sviluppò la più efficace simbiosi tra diversi gruppi etnici; e infine la rottura del quadro mediterraneo unitario tardoromano. Al contempo i capitoli delineano in parte anche una scansione cronologica, dato che il primo si concentrerà sul 4 secolo, i seguenti su 5 e 6secolo

Cap. 1 L’Impero cristiano

Riassunto

Negli ultimi decenni sono cambiate radicalmente le letture che gli storici propongono dei secoli finali dell’età romana, il cosiddetto tardoantico, che non è più visto come una lunga fase di decadenza dell’Impero, ma come un periodo con suoi propri connotati, in un complesso e innovativo equilibrio tra la dimensione regionale del mondo romano, le istanze del governo centrale, la progressiva penetrazione di nuove popolazioni nei territori imperiali e nuove forme religiose.
Da qui dobbiamo partire: solo la comprensione dei caratteri fondamentali del tardo impero ci potrò permettere di leggere i funzionamenti della società europea del primo Medioevo. Dobbiamo quindi osservare le principali strutture di potere e di prelievo, il ruolo dell’esercito e della sua componente barbarica, il mutamento religioso che si attuò a partire dal 4. Secolo, con la cristianizzazione dell’Impero e l’avvento della figura del monaco cristiano, che assumerà un ruolo rilevante lungo il Medioevo.
E’ una fase di intensi confronti tra diversi modelli di civiltà e di spiritualità, per lo studio della quale tuttavia dobbiamo scontare importanti effetti distorsivi dovuti alle fonti disponibili, che incidono pesantemente sulla conoscenza di alcune delle trasformazioni più importanti di questi secoli: da un lato le narrazioni di parte cristiana del confronto tra pagani e cristiani e pagani hanno rapidamente messo in secondo piano le posizioni pagane (esempio classico è la figura dell’imperatore Giuliano, la cui coerente e matura ideologia pagana gli è valsa il titolo dispregiativo di “Apostata”); dall’altro lo scontro tra mondo romano e popolazioni barbare è narrato da testi esclusivamente di ambito romano, al punto che gli stessi processi di costruzione dell’identità etnica dei popoli germanici sono leggibili in massima parte attraverso testi romani o narrazioni storiche scritte secoli dopo, quando i popoli germanici erano ormai solidamente stanziati all’interno dei territori romani.
Questo sistema di fonti ha dato vita a ricostruzioni storiche spesso incerte e soprattutto caiche di implicazioni ideologiche e politiche, attorno al nesso tra potere e religione e attorno alle identità etniche e all’opposizione tra mondo tomano e mondo germanico. La medievistica ha affrontato – e sta affrontando – un duro percorso per svincolarsi dagli eccessivi lacci ideologici, valorizzando invece gli spunti innovativi che sono derivati dalle ricerche archeologiche.

Bibliografia

Il mondo tardo antico: da Marco Aurelio a Maometto / P. Brown. – Einaudi, 1974
Per la cruna di un ago: la ricchezza, la caduta di Roma e lo sviluppo del cristianesimo, 350-550 d. C.  / P. Brown. – Einaudi, 2014
Storia di Roma, vol. 3: l’età tardoantica / a cura di A. Carandini, L. Cracco Ruggini, A. Giardina. – Einaudi, 1993

Cap. 2 Barbari e regni

Riassunto

Le “invasioni barbariche”, la caduta dell’Impero e la formazione dei regni romano-germanici sono state considerate tradizionalmente come i passaggi chiave della transizione dall’antichità al Medioevo. La tradizione della “caduta dell’Impero d’Occidente” ha spesso posto al centro il dato politico-militare, con el conquiste dei territori imperiali da parte di popolazioni germaniche e la deposizione dell’ultimo imperatore d’Occidente nel 476.
Come abbiamo visto nell’introduzione di questa parte del volume, il mutamento fu radicale ma fu ben più complesso delle vicende militari e istituzionali, coinvolse una profonda trasformazione delle forme di vita religiosa e dei sistemi di circolazione economica e si distese su un lungo periodo, dal 4. al 6. secolo. Dobbiamo quindi relativizzare l’importanza dell’espansione militare germanica, sia perché fu tutt’altro che improvvisa (i Germani, come abbiamo visto, costituivano gran parte dell’esercito romano), sia perché non fu l’unico o il principale motore del mutamento.
Posti questi limiti, possiamo ora concentrarci sul processo di affermazione politico-militare delle popolazioni germaniche, che – se non fu il meccanismo centrale della transizione al Medioevo – fu in ogni caso un’evoluzione di grande rilievo, che mutò i quadri politici e le forme di vita delle popolazioni e influenzò profondamente i sistemi economici mediterranei. E il punto di partenza deve essere una breve presentazione degli avvenimenti militari del 5. Secolo che, pur senza proporre un’analitica ricostruzione di vicende quanto mai complesse e frammentate, permetta di coglierne l’intensità e i principali esiti.

 

 

 

 

Bibliografia

Le origini etniche dell’Europa: barbari e romani fra antichità e Medioevo / W. Pohl. – Viella, 2000
Il mito delle nazioni: le origini medievali dell’Europa / H. Wolfram. – Carocci, 2009
Teodorico / P. Fouracre. – Il Mulino, 2013

Cap. 3 La simbiosi franca

Riassunto

Tra i diversi regni romano-germanici, quello dei Franchi merita una trattazione a sé, un po’ più ampia di quella dedicata a popoli come gli Ostrogoti o i vandali. Questo per due motivi:

  • Prima di tutto i Franchi furono quelli che svilupparono con la massima efficacia l’incontro con le popolazioni di tradizione romana, realizzando una vera e propria simbiosi, un’unione profonda a costituire un nuovo popolo, in grado di integrare e sviluppare diverse culture politiche;
  • Inoltre, come diretta conseguenza di ciò, i Franchi nel giro di due secoli riuscirono ad affermarsi come il regno più potente d’Europa, ponendo le basi per la straordinaria espansione carolingia alla fine dell’8 secolo.

Ma per leggere questi processi occorre ritornare indietro nel tempo, a quella fase, tra 3 e 5 secolo, in cui i Franchi prima entrarono in contatto con l’Impero romano, poi assunsero il controllo della Gallia.

Bibliografia

Storia dei Franchi: i dieci libri delle storie / Gregorio di Tours. – Liguori, 2001

Cap. 4 La rottura del Mediterraneo romano

Riassunto

Roma già in età repubblicana aveva realizzato un quadro politico-territoriale che non ha uguali nella storia, ovvero l’unità del Mediterraneo. Fu un’unità politica che non cancellò la varietà delle forme di vita, di lingua o di culto: il dominio romano restò un insieme di società molto diverse, riunite dalla sottomissione politica, dall’apparato burocratico e da un capillare sistema fiscale. Nei due capitoli precedenti abbiamo presentato il crollo di questo sistema politico-militare in Occidente, con la transizione dall’Impero ai regni; qui si torna a un orizzonte mediterraneo e si ampliano le prospettive, a mostrare come il mutamento abbia convolto aspetti che andavano ben al di là della dimensione politica.
L’ordine dei capitoli non è casuale, non per affermare un’assoluta centralità della dimensione politica, ma perché in questo specifico contesto molti mutamenti furono conseguenze della ridefinizione dei circuiti economici (in specifico in Occidente), sia il nuovo assetto dell’Impero, ridotto a prospettive poco più che regionali nel Mediterraneo orientale; infine le dispute teologiche, che in questi secoli divisero il Cristianesimo, riprodussero su un piano diverso l’approfondimento delle divisioni tra le diverse parti dell’Impero romano.

Bibliografia

La società dell’alto Medioevo: Europa e Mediterraneo, secoli 5-8 / C. Wickham. – Viella, 2009
Le origini dell’economia europea: comunicazioni e commercio, 300-900 d. C. / M. McCormick. – Vita e Pensiero, 2008
Costantinopoli: nascita di una capitale, 300-451 / G. Dragon. – Einaudi, 1991
Storia delle società islamiche / I. Lapidus. – Einaudi, 1993

 

 

 

Parte 2 Il sistema di dominazione altomedievale

Introduzione

Questa parte del manuale è dedicata al periodo compreso tra il 7 e il 10 secolo, un’epoca segnata da profonde trasformazioni degli assetti di potere (come la costruzione dell’Impero carolingio e la sua divisione in nuovi regni) ed economici (con lo sviluppo di un’accresciuta pressione aristocratica sulle risorse agrarie e l’apertura di nuove reti di scambio); ma è anche un periodo con alcuni importanti caratteri di stabilità: cessata l’intensa mobilità di popoli dei secoli 5 e 6 e concluso il processo di rielaborazione dell’eredità romana, ci troviamo di fronte a sistemi di dominazione fondati su un delicato equilibrio tra poteri regi e l’aristocrazia. Tutti i sistemi politici di cui tratteremo in questa parte nacquero dalle diverse forme di questo rapporto, che non si tradusse mai né in un potere monarchico assoluto, né in una totale libertà d’azione delle famiglie aristocratiche. La dinamica tra regno e aristocrazia è quindi una chiave fondamentale per leggere questi secoli: è di fatto la struttura portante di tutte le forme di potere analizzate nei prossimi capitoli: in questi secoli in tutte le dominazioni è evidente la centralità del re, ma è una centralità costruita coordinando l’aristocrazia.
Ma quando parliamo di “dominazione” altomedievale  dobbiamo intendere questo termine in senso molto ampio: non è solo questione di potere regio, ma di ricchezza, di controllo degli uomini e delle risorse, di controllo delle loro anime attraverso il sistema delle chiese. Così nei capitoli di questa parte si discuterà delle forme di potere, ma anche dell’integrazione tra potere regio ed ecclesia, di sistemi di produzione e scambio. Solo nel quadro di questa integrazione si possono comprendere appieno la natura e l’efficacia della dominazione aristocratica: la potenza si esercitava assolvendo funzioni di governo e di guida militare per conto del regno, ma anche accumulando possessi fondiari, elaborando forme efficaci di sfruttamento della terra, costruendo chiese e occupando funzioni ecclesiastiche. E tra le tante diverse azioni politiche, un ruolo centrale era ricoperto dai legami personali e clientelari, vero fondamento delle dominazioni altomedievali. Non si può ovviamente ridurre la storia del potere a una storia di persone ed è importante leggere come il potere si traduca in istituzioni; ma non è possibile fare storia del potere prescindendo dalle persone e dalle loro reti relazionali e parentali.
Dati questi caratteri di lungo periodo, comuni a molte diverse dominazioni, bisogna al contempo evitare di cancellare le differenze, e per questo concentreremo  una parte importante della nostra attenzione sulla più grande costruzione politico-territoriale del Medioevo, l’Impero carolingio. Non si deve però isolare l’Impero dalle altre costruzioni politiche e occorre invece vederlo come un coerente sviluppo delle forme di regalità precedenti e soprattutto del regno merovingio: come altri regni precedenti e successivi, l’Impero fu espressione di un equilibrio dinamico tra re e aristocrazia. Questa lettura ci permette inoltre di non accentuare eccessivamente né l’unità dell’Impero né l’impatto della sua fine e quindi di non opporre in modo troppo netto l’unità imperiale di Carlo magno e Ludovico il Pio alle divisioni della generazione successiva: le differenze regionali erano importanti sotto Carlo e l’idea di unità dell’Impero e del gruppo carolingio sopravvisse nella seconda metà del 9 secolo. Gli sviluppi successivi, interni ai singoli regni, costituirono sì una dissoluzione del nesso carolingio, ma furono del tutto coerenti con le dinamiche che avevano portato alla costruzione dell’Impero stesso.

Bibliografia

Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano / G. Tabacco. – Einaudi, 1979

Cap. 1 Nobili, chiese e re: ricchezze e poteri

Riassunto

Tra 6 e 8 secolo la geografia politica dell’Europa occidentale appare molto più stabile che nei due secoli precedenti: con l’eccezione della conquista longobarda dell’Italia, la mobilità dei popoli germanici rallenta decisamente e la fisionomia territoriale dei principali regni appare nel complesso definita. Constatiamo una conflittualità intensa, uno stato di guerra quasi endemico tra le diverse dominazioni, ma se questo porta a una continua mobilità dei confini, non ne consegue invece una ridefinizione complessiva dei quadri territoriali.
Possiamo quindi ragionare sui funzionamenti di regni maturi, che hanno superato la fase generativa e l’incontro romano-germanico che avevano caratterizzato i primi decenni. Tre sono le chiavi fondamentali attraverso cui leggeremo i funzionamenti sociali di questi secoli: l’equilibrio politico tra le aristocrazie e i re; lo sfruttamento delle risorse agrarie; l’apertura di nuove reti di scambio: Il quadro territoriale su cui ci concentreremo sarà lievemente diverso da quello dei capitoli 2 e 3 della prima parte: dopo la cancellazione del regno vandalo a opera degli eserciti di Giustiniano, ci occuperemo dello spazio europeo occidentale, ovvero delle isole britanniche, del regno visigoto e – più ampiamente – del regno franco. Lo spazio italiano sarà invece oggetto di una specifica trattazione nel capitolo seguente, dedicato al dominio longobardo, ma si vi si farà qui riferimento per quanto riguarda i funzionamenti economici, dal punto di vista sia dell’accentuata pressione aristocratica sulle risorse agrarie, sia della costruzione di reti di scambio.

Bibliografia

Le origini dell’economia europea: guerrieri e contadini nel Medioevo / G. Duby. – Laterza,1975
Dalla terra ai castelli: paesaggio, agricoltura e poteri nell’Italia medievale / P. Toubert. – Einaudi, 1995

Cap. 2 Nuovi quadri politici: il regno longobardo

Riassunto

La medievistica e più in generale la cultura in generale la cultura italiana del 19 e 20 secolo si sono interessate a lungo del regno longobardo, con letture profondamente diverse, connesse ad alcune sue peculiarità: fu la prima dominazione germanica in Italia a porsi in netta contrapposizione con l’Impero; ma al contempo i Longobardi rappresentarono una dominazione esclusivamente italiana, prima che la conquista franca unisse la penisola a un quadro politico più ampio – l’Impero carolingio e poi tedesco – in cui sarà inglobata per tutto il Medioevo; infine il regno longobardo convisse con le ambizioni egemoniche del papato, in una contrapposizione politico-territoriale che assunse anche connotati religiosi, tra Longobardi ariani e Romani cattolici.
Così su questa fase si sono addensati diversi interessi culturali e letture ideologiche: qui si è accentrata l’attenzione di chi si interrogava sul rapporto tra Romani e barbari, sui processi di dominazione, asservimento e fusione, con un’evidente analogia, in età risorgimentale, fra il rapporto Longobardi-Romani e quello Austriaci-Italiani; ma il regno longobardo è stato anche visto come un momento di  possibile unità italiana, libera da egemonie straniere; e infine si è riflettuto su questo periodo come momento fondamentale per definire il ruolo politico della Chiesa.
Con il progressivo attenuarsi delle letture di orientamento nazionalistico e religioso, è rimasta al centro della scena la questione etnica, ovvero l’identità longobarda, i rapporti tra le due popolazioni e la loro assimilazione. Questo aspetto ha subito profonde trasformazioni nella seconda metà del secolo 20, grazie a due processi tra loro connessi: da un lato l’integrazione della storia longobarda nella più ampia storiografia europea dedicata ai regni romano-germanici e più in generale alla trasformazione del mondo romano; dall’altro la crescita della ricerca archeologica, che ha rivoluzionato le conoscenze rispetto alle ridottissime fonti scritte relative all’età longobarda.
Il corpus di testi di cui può fruire lo studio dell’età longobarda non è infatti particolarmente povero, se confrontato ad esempio alle fonti disponibili per la Spagna visigota, ma è un patrimonio documentario piuttosto limitato dal punto di vista tipologico: poiché è molto ridotta la serie di atti documentari (vendite, donazioni, sentenze…), le informazioni disponibili derivano soprattutto da due grandi testi, ovvero da un lato la Storia dei Longobardi scritta da Paolo Diacono all’inizio del 9 secolo, pochi anni dopo la caduta del regno sotto il controllo dei Franchi, e dall’altro la raccolta delle leggi promulgate da dai re longobardi, a partire dall’editto di Rotari del 643. Due fonti per molti versi straordinarie, ma che richiedono un’analisi particolarmente attenta alla natura di questi testi per cogliere gli elementi di distorsione della realtà.
Si tratta di leggere le fonti tenendo sempre presente che esse non sono nate per rappresentare o descrivere la realtà, ma per intervenire su di essa. Le leggi nacquero dal tentativo dei re di consolidare il proprio potere; la narrazione di Paolo Diacono ha delle finalità meno evidenti e più discusse, dato che non si sa con certezza dove e per chi abbia scritto Paolo: forse alla corte carolingia d’Italia, per informare i nuovi dominatori della storia della penisola nei due secoli precedenti; più probabilmente all’interno del principato di Benevento, l’ultima dominazione longobarda in Italia, che riuscì a restare autonoma dal dominio franco dopo la conquista del regno a opera di Carlo magno. In ogni caso il testo di Paolo non fu una libera narrazione, ma un racconto pesantemente condizionato dal contesto in cui nacque.

Bibliografia

Italia longobarda: il regno, i Franchi, il papato / S. Gasparri. – Laterza, 2012
Storia dei Longobardi / I. Jarnut. – Einaudi, 1995
I Longobardi / C. Azzara. – Il mulino, 2015
Longobardi e Bizantini / P. Delogu, A. Guillou, G. Ortalli. – Utet, 1980
Gregorio Magno: alle origini del Medioevo / S. Boesch Gajano. – Viella, 2004

Cap. 3 Impero carolingio, ecclesia carolingia

Riassunto

L’Impero carolingio è una realtà a cui faranno riferimento in modi diversi molti dei prossimi capitoli: le strutture del potere, economiche ed ecclesiastiche del 10 e 11 secolo possono infatti essere lette da molti punti di vista come una rielaborazione dei funzionamenti del 9. Questo avvenne perché l’Impero carolingio non solo fu la realtà politica più ampia del Medioevo occidentale, ma trasformò in profondità molti aspetti della vita associata: le reti di scambio, il ruolo delle chiese e del papato, i funzionamenti della giustizia. Per questo motivo già nei capitoli precedenti abbiamo più volte fatto riferimento all’età carolingia, quando abbiamo cercato nel regno franco merovingio gli elementi che hanno preparato lo straordinario successo dell’8-9 secolo, o quando abbiamo connesso al potere franco il diffondersi sia di nuove forme di sfruttamento delle terre (le curtes), sia il costituirsi di reti di scambio commerciale nel mare del Nord.
Questo rappresenta quindi un capitolo chiave: nello straordinario sviluppo politico e territoriale dell’Impero carolingio vediamo venire a maturazione le elaborazioni dei regni altomedievali; qui si compì la più alta simbiosi tra potere regio e potere sacerdotale, si aprirono orizzonti culturali e commerciali prima assenti. La comprensione di questa specifica fase storica diventa fondamentale per cogliere le implicazioni di molte evoluzioni dei secoli seguenti.
Per mettere in piena evidenza la natura articolata e complessa della costruzione carolingia, abbiamo introdotto nel titolo del capitolo la doppia definizione di impero carolingio ed ecclesia carolingia. Occorre chiarire fin da subito che non si tratta di una distinzione o di un’opposizione, ma piuttosto della piena simbiosi tra due realtà che appaiono separate ai nostri occhi, ma non a quelli degli uomini del 9 secolo: l’ecclesia era l’insieme dei fedeli cristiani che trovavano la propria guida nei vescovi e nell’imperatore, che convergevano con strumenti diversi verso un doppio fine, la giustizia in terra e la salvezza oltre la morte. Impero ed ecclesia non erano Stato e Chiesa, ma due modi per leggere la stessa realtà

Citazione

Per concludere, possiamo nel complesso individuare quattro ampie fasi della storia dei Pipinidi/Carolingi:
- dall’inizio del 7 secolo e fino al 751 furono una grande dinastia dell’aristocrazia austrasiana, che costruì il proprio potere all’interno del regno merovingio
- dal 751 all’840 – con Pipino 3, Carlo Magno e Ludovico il Pio – un singolo re carolingio controllò il popolo franco prima e un grande impero poi
- dall’840 (la morte di Ludovico il Pio)all’888 (la morte di Carlo il grosso) il sistema di potere carolingio si articolò in regni distinti e separati, senza una vera unità dinastico-territoriale
- dall’888 al 987 (la morte senza eredi di Ludovico 5, re di Francia) i Carolingi furono una delle dinastie che, nei diversi reni, si contendevano il potere, in una fase particolarmente conflittuale

Bibliografia

Carlo Magno il signore dell’Occidente / D. Hagermann. – Einaudi, 2015
L’Italia carolingia / G. Albertoni. – Carocci, 1997

Cap. 4 Il Mediterraneo bizantino e islamico

Riassunto

Nei decenni tra 7 e 8 secolo si assistette a una profonda trasformazione dei quadri di vita di gran parte del mediterraneo meridionale e orientale: la nascita dell’Islam fu prima di tutto una trasformazione religiosa, ma immediatamente si tradusse anche in una ridefinizione dei sistemi politici di ampi territori già appartenenti all’Impero romano/bizantino e ai regni romano-germanici. Dalla Siria alla Spagna, larga parte delle coste mediterranee furono direttamente coinvolte in questo processo, che peraltro si estese a Oriente ben al di là degli antichi confini dell’Impero, fino alla valle dell’Indo.
Partendo quindi dall’esperienza religiosa di Muhammad e dalla sua predicazione, possiamo analizzare i primi secoli di storia islamica come un processo di mutamento su molti piani, che coinvolse tutte le forze attive nel Mediterraneo. In particolare all’affermazione dell’Islam dobbiamo collegare i processi di ridefinizione dell’Impero bizantino: una riduzione degli orizzonti territoriali, non più proiettati sulle ambizioni universali proprie della tradizione imperiale romana; una ridefinizione dei funzionamenti interni; una nuova centralità dell’esercito. Ma la stoia bizantina dei secoli centrali del Medioevo non fu solo una vicenda di crisi, ma anche di ricostruzione si nuove basi (militari, fiscali e ideologiche) di una potenza sovraregionale in grado di esercitare un’efficace egemonia su larghi settori dell’Europa orientale.

Bibliografia

Bisanzio: storia di un impero, secoli 4-13 / M. Gallina. – Carocci, 2008
Il commonwealth bizantino: l’Europa orientale dal 500 al 1453 / D. Obolensky. – Laterza, 1974
Storia della più grande dinastia islamica: ascesa e declino della corte dei califfi / H. Kennedy. – Newton Compton, 2005

Cap. 5 Società e poteri nel 10 secolo

Riassunto

I territori già compresi nell’Impero carolingio, nel 10 secolo seguirono percorsi divergenti ma coerenti: divergenti poiché i diversi regni svilupparono proprie dinamiche politiche specifiche; coerenti perché le principali linee di tendenza furono comuni. Questo capitolo si muoverà quindi in una continua alternanza tra quadri generali e approfondimenti su singole realtà territoriali.
Il periodo di cui trattiamo è la cosiddetta “età postcarolingia”, una definizione del tutto corretta, che però abbiamo scelto di non porre in primo piano: questo capitolo non deve essere letto con un occhio rivolto prevalentemente al passato (ovvero in termini di declino dell’Impero e dei suoi funzionamenti), ma al presente, per cogliere quali equilibri sociali, funzionamenti politici e forme religiose vennero costruiti nel 10 secolo. Per l’Impero carolingio si ripropone infatti lo stesso rischio dell’Impero romano: i secoli dopo la fine dell’Impero sono spesso ridotti a una lettura in termini di declino, superamento ecc. Indubbiamente nel 10 secolo vediamo tramontare definitivamente la struttura imperiale unitaria, che aveva rappresentato un’intelaiatura politica, istituzionale e culturale che attraversava gran parte dell’Europa occidentale; non si tratta quindi di negare questo declino, ma di rileggerlo cercando anche e soprattutto le novità, i meccanismi di costruzione del potere e della società, che nel 10 secolo assunsero forme oggettivamente nuove.
Nello specifico caso italiano, i secoli 10 e 11 sono spesso visti – a livello manualistico – come un periodo di declino dell’ordinamento carolingio o come preparazione dell’età comunale; il nostro intento è invece quello di mettere in rilievo i peculiari funzionamenti di questa fase, in cui gli elementi residui dell’ordinamento carolingio si unirono con una liberissima sperimentazione di forme di potere totalmente nuove.

Bibliografia

Nobili e re: l’Italia politica dell’alto Medioevo / P. Cammarosano. – Laterza, 1998
Gli ottoni: una dinastia imperiale fra Europa e Italia, secc. 10-11 / H. Keller. – Carocci, 2012
Lo specchio del feudalesimo: sacerdoti, guerrieri e lavoratori / G. Duby. – Laterza, 1980

Parte terza Poteri locali e poteri regi tra l’11 e il 13 secolo

Introduzione

Alla fine del secolo 10 l’Europa postcarolingia era ormai un mondo plurale: nuovi re, conti e marchesi di origine carolingia, monasteri, chiese e comunità dovevano trovare sistemi per governarsi e resistere alle pressioni esterne, senza poter contare su un inquadramento istituzionale sovralocale. La riduzione degli orizzonti politici e dello spazio e dello spazio d’azione delle forze sociali fu la conseguenza più immediata di questo nuovo contesto localizzato che aveva trasformato il volto delle regioni europee fra 10 e 12 secolo: contavano moltissimo i legami di prossimità ai re, i rapporti diretti tra potenti confinanti, la solidarietà di villaggio, il radicamento locale a tutti i livelli.
Eppure non si arrivò mai a una disintegrazione incontrollata del potere pubblico. Una serie di reazioni e di correttivi furono messi in pratica da autorità diverse, che si sforzarono di conferire un ordine alle relazioni fra le persone e i poteri istituzionalizzati nascenti.  Questa terza parte dà conto proprio dei tentativi e dei progetti di riordinamento della società elaborati dai diversi protagonisti del Medioevo centrali: chiese, papi, capi militari, signori di castello, città e regni.
Si è scelto di dare la precedenza ai progetti di riforma della Chiesa a livello locale e centrale. Per varie ragioni, infatti, non ultima la scomparsa di buona parte dell’apparato pubblico carolingio, furono i vescovi a guidare in questa fase le prime iniziative di riordino dei rapporti fra gruppi sociali e territori sotto il profilo religioso ed ecclesiastico. Recuperare i beni delle chiese, rivendicare una dimensione autonoma del messaggio religioso e predicare un ritorno alla spiritualità cristiana delle origini furono gli obbiettivi dei gruppi riformatori interni alle chiese episcopali, soprattutto in Germania, nel cuore dell’Impero ricreato dagli Ottoni. Iniziative locali e spinte dall’alto, provenienti anche da parte della stessa curia imperiale si sommarono nel corso del secolo 11: il risultato fu un vasto movimento di riforma della Chiesa che giunse a coinvolgere il papato, fortemente rinnovato dai pontefici di origine tedesca. I papi riformatori rivendicavano una maggiore centralità nella Chiesa e una superiorità anche sul piano politico nei confronti dei poteri laici. Il conflitto con l’imperatore Enrico 4, più volte deposto da papa Gregorio 7, mise in luce la crisi profonda del precedente equilibrio di poteri d’età carolingia: il papa rivendicava ora un potere superiore sugli uomini, sottoponendo l’Impero al suo controllo. Il dominio sui fedeli si sovrapponeva al dominio sui sudditi e le due autorità universali inevitabilmente erano portate a scontrarsi. In realtà l’intera vita religiosa della società locali fu sottoposta a un maggiore controllo da parte delle autorità ecclesiastiche: le pratiche quotidiane dei fedeli, le loro credenze, il percorso verso la salvezza ricaddero sotto la cura pastorale di un clero più colto e intenzionato come guida della società cristiana. Questo riguardava sia le masse di fedeli delle città e delle campagne, destinatarie di una specifica azione di evangelizzazione, sia le élite militari spesso indisciplinate e senza regole, richiamate al rispetto dell’ordine imposto dalla Chiesa.
Se la violenza legittima e la guerra non potevano certo essere eliminate, potevano tuttavia essere regolate secondo nuovi criteri di legittimità. La Chiesa cercò di delimitare i momenti e i luoghi in cui era lecito usare violenza; anzi conferì una sacra alla guerra combattuta per la Chiesa e per il papato. Le spedizioni in Terrasanta, chiamate più tardi crociate, nacquero in un contesto di promozione della guerra che diventava “santa” se condotta per difendere la fede cristiana.  D’altra parte l’inquadramento del ceto militare era un problema ancora aperto anche per i poteri laici. La relativa autonomia delle clientele vassallatiche d’età postcarolingia costrinse gli esponenti dell’alta aristocrazia regia a sperimentare nuove forme di connessione interne al ceto militare: l’intenso ricorso al giuramento di fedeltà, rafforzato da alcune garanzie, e l’entrata dei soldati di professione in una élite superiore, definita ora cavalleria e caratterizzata dall’uso delle armi secondo un codice di autocontrollo condiviso da tutti. L’appartenenza ad un ceto “eletto” tuttavia non cancellava le differenze di livello sociale ed economico tra diversi membri di questo gruppo militare. La qualità del potere dei singoli cavalieri era infatti determinata non solo dall’uso delle armi, ma dal possesso di una signoria territoriale.
La signoria territoriale o di banno ebbe uno sviluppo poderoso nel Medioevo centrale, in parte spontaneo e in parte guidato da alcune tendenze già in atto nei secoli precedenti: la costruzione dei castelli, l’affermazione sul territorio di un potere esteso a tutti i residenti (anche ai contadini che non dipendevano da quel signore) e soprattutto la messa in opera di un efficace sistema di prelievo trasformarono in profondità il volto delle società rurali dei secoli 11 e 12. Le forme di dominazione esercitate da un ceto di signori-militari erano pesanti e basate sulla forza, ma fu all’interno di questo regime che prese forma la prima rivoluzione agricola medievale dopo molti secoli di crisi e stagnazione: l’aumento della superficie coltivabile, le nuove tecniche agricole e una maggiore “libertà” della forza lavoro favorirono una crescita fortissima della produzione e la possibilità, anche per i piccoli contadini, di mettere sul mercato il surplus del raccolto. Nel Duecento le campagne erano molto più ricche e ben coltivate dei due secoli precedenti, le comunità di villaggio più forti e in grado di imporre ai signori una distribuzione meno squilibrata dei carichi di lavoro e una ripartizione concordata delle risorse.
In questo contesto di crescita economica presero forma le città. Ne furono anzi una delle creazioni più originali. Le città divennero centri di trasformazione e di scambio delle merci con le campagne circostanti, mantenendo stretti rapporti di dipendenza con i poteri signorili, che tollerarono e in molti casi favorirono la formazione delle nuove istituzioni politiche all’interno delle mura. Le città europee, infatti, non furono mai anti-signorili, a differenza, in parte, dell’Italia: i magistrati cittadini erano eletti e confermati dai signori laici ed ecclesiastici che esercitavano la loro influenza anche sui centri urbani interni al loro territorio.
Questo mosaico di poteri diversi e intrecciati fece da sfondo alle vicende dei regni fra 11 e 13 secolo. Le monarchie, almeno in una fase iniziale, erano istituzioni deboli, poco estese e con una scarsa capacità di coalizzare i poteri regionali in un disegno unitario condiviso. La crescita territoriale dei regni rimase infatti fino al Duecento relativamente modesta, mentre i rapporto con i principati locali furono caratterizzati da una diffidenza che spesso sfociò in aperta ostilità. Davanti a queste sfide i re cercarono da una parte di imporre un ordine gerarchico alle fedeltà vassallatiche, dall’altra di sperimentare nuove pratiche amministrative in grado di assicurare una rudimentale struttura centrale di governo. Le medesime corti elaborarono pertanto elaborate strategie di sottomissione dei feudi e, allo stesso tempo, innovativi strumenti di indagine per conoscere il potenziale economico e militare dei regni. Tutto poteva essere usato per dare forza a un’idea di sovranità che elevava i re al di sopra dell’intreccio delle fedeltà locali. Del resto la tensione fra pretese regie e poteri territoriali alimentò ancora a lungo il gioco politico dei paesi europei, dall’Inghilterra alla Francia, dalla Spagna alle terre d’Impero e all’Italia meridionale.
Da questo quadro così ampio abbiamo isolato il caso dell’Italia centro settentrionale, contrassegnato da una tipologia specifica di potere territoriale: le città comunali autonome con pretese di governo sul territorio circostante (contado). Non perché si tratti di un caso unico e irripetibile: l’Italia centro-settentrionale faceva parte dell’Impero (come regno d’Italia) e le città italiane presentano molti tratti comuni alle altre città europee. E’ vero tuttavia che le istituzioni urbane, in Italia, hanno assunto un ruolo politico diverso, vicino, per certi versi, a quello giocato dai poteri principeschi negli altri paesi europei. Furono le città – prima coordinate dai vescovi e poi da collegi di consoli – a tentare, con molti sforzi, un riordino giurisdizionale dei territori del regno, riutilizzando le circoscrizioni di antica originecarolingia (i comitati); e furono i magistrati comunali ad assolvere le funzioni di autogoverno cittadino all’interno di un quadro regio ormai privo di istituzioni permanenti. I magistrati comunai riempivano un vuoto, svolgevano una funzione di supplenza, esercitando in città e nel contado gli stessi poteri (pubblici) dei vecchi ufficiali carolingi.
Una finzione, in buona misura, perché quel modello era lontano e non più applicabile e soprattutto perché i re non avevano più nessun controllo delle istituzioni urbane; eppure fu una finzione efficace, che animò esperienze politiche di assoluta originalità nel contesto europeo, con città di fatto autonome, governate da magistrati eletti dai consigli e da assemblee formate dai cittadini scelti a rotazione tra la popolazione urbana. Fu nelle città comunali che maturò il primo lessico politico e che presero forma esperimenti di una statualità non “regia” che segnarono a lungo le vicende di questa parte d’Italia.

Cap. 1 Le istituzioni della Chiesa e l’inquadramento religioso delle popolazioni fra 11 e 12 secolo.

Riassunto

Nel corso del secolo 11 le chiese, benché condizionate sempre di più dai contesti locali come gli altri poteri territoriali, conservarono una maggiore capacità rispetto ai regni di modellare i quadri sociali delle popolazioni europee, di dare una parvenza di ordine al caos delle relazioni di potere interne al mondo signorile, di immaginare schemi di governo in grado di individuare chiaramente una gerarchia di comando. Fu uno sforzo che coinvolse in un primo momento la Chiesa stessa come istituzione sacra sulla terra. Sulla spinta di tante chiese locali, di vescovi capaci, di imperatori pii e di intellettuali militanti si mise in moto un processo di ripensamento delle funzione della Chiesa conosciuto con il nome di Riforma. Nei primi decenni del secolo 11 si individuarono i temi portanti di questa nuova visione della Chiesa: recupero dei beni delle chiese, affermazione della natura inalienabile e indisponibile delle cose sacre, a cominciare dalle cariche che non potevano essere cedute per denaro (simonia), esaltazione del carattere sacro del sacerdozio da non contaminare con i rapporti carnali (celibato del clero), necessità di un vertice della Chiesa libero da condizionamenti esterni. Il programma era lungo, difficile da imporre e ancora più difficile da accettare. Le resistenze vennero in primo luogo dagli stessi quadri episcopali, che pure approvavano molti punti della riforma, ma si opposero all’ondata moralistica dei riformatori radicali che mettevano in discussione le basi tradizionali del loro potere.
Sotto il pontificato di Gregorio 7 questo scontro coinvolse, oltre n numero imprecisato di vescovi, anche l’imperatore Enrico 4. La scintilla fu causata da una questione tecnica, il potere di un’autorità laica di “investire” i vescovi; ma emerse presto il motivo profondo dello scontro: il tentativo del papa di inserire i vescovi in una gerarchia solo religiosa, guidata dal pontefice di Roma, eliminando il ruolo dell’imperatore nella creazione delle cariche ecclesiastiche. Ne seguì una lotta violentissima fatta di scomuniche, deposizioni e maledizioni incrociate, con risultati, sul piano politico, tutto sommato modesti: dopo cinquant’anni di scontro, il compromesso che mise fine alla lotta lasciava le cose più o meno come erano prima di Gregorio.
Cambiò invece, e in maniera sensibile, il modo di pensare le istituzioni ecclesiastiche o meglio di pensare la Chiesa come istituzione. Le istituzioni dovevano avere una vita propria, dovevano seguire delle regole che si ripetessero nel tempo senza farsi troppo condizionare dalla azioni ei singoli. La riflessione dei giuristi diede corpo a questo insieme di regole per definire i funzionamenti delle chiese episcopali, del clero associato alle chiese, dal papato e degli uffici centrali. Si inquadrarono anche i nuovi movimenti monastici all’interno di modelli antichi (regola di San Benedetto) riattualizzati secondo le diverse necessità degli “ordini2. Questo ampio processo di produzione di norme esprimeva una profonda esigenza di stabilità che la Chiesa inseguì a lungo per sé e per la società.
Rendere stabili le istituzioni era condizione necessaria per svolgere meglio il compito fondamentale della Chiesa sulla terra: portare alla salvezza il maggior numero possibile di uomini. I modi di raggiungere la salvezza dovevano essere decisi solo dalla Chiesa. I fedeli, battezzati, rinnovati dai sacramenti, educati dai pastori a una retta condotta di vita, dovevano accettare le regole in silenzio e seguire con fiducia la guida illuminata del clero. Non era necessario capire, era sufficiente ubbidire. Il processo di inclusione dei fedeli in un percorso salvifico si interrompeva solo in caso di aperta ribellione agli ordini del clero o di disobbedienza palese ai suoi recetti di vita. Accadeva spesso che gruppi di persone decidessero in proprio come leggere il messaggio evangelico e quale forma di vita poteva assicurare meglio la salvezza, al di là e al di fuori dei riti della Chiesa cattolica. Questa scelta errata divenne presto un peccato, un reato, un crimine grave, anzi il più grave di tutti perché offendeva la maestà divina. Non era tanto il comportamento peccaminoso ad allontanare il fedele dalla Chiesa (la via del pentimento era sempre aperta), ma la sua ostinazione a negarne la natura malvagia, a ripeterlo ancora nonostante il divieto. Testardo come un “asino selvatico” il fedele disobbediente cadeva in una spirale di perdizione senza fine: diventava eretico, qualcuno che erra, sbanda, si perde; ma anche scismatico, che crea divisioni, porta disordine e provoca la rovina della società. L’eresia, come un cancro che minaccia di espandersi all’intero corpo, doveva essere recisa con decisione.  Tra la “parte” e il “tutto” la Chiesa non ebbe indecisioni: bisognava salvare il corpo dei fedeli anche se questo comportava l’uso della forza. A questo dovevano pensare i poteri laici, incaricati di dare la morte agli eretici. Dio li avrebbe perdonati.

Bibliografia

Storia del cristianesimo: religione, politica, cultura, vol. 5: Apogeo del papato ed espansione della cristianità. – Città nuova, 1997
La storia religiosa / G. Miccoli. – In: Storia d’Italia, vol. 2. – Einaudi, 1974
Storia del monachesimo medievale / A. Rapetti. – Il mulino, 2013
Certosini e cistercensi in Italia / a cura di R. Comba, G. G. Merlo. – Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, 2000
Le istituzioni ecclesiastiche della cristianità medievale, 1130-1378, vol. 12 della Storia della Chiesa / A. Fliche, V. Martin. – SAIE, 1973-1974
La nascita del purgatorio / J. Le Goff. - Einaudi, 1982
Eretici ed eresie medievali / G. G. Merlo. – Il mulino, 1989
Il sole e la luna: papato, impero e regni nella teoria dei secoli 12 e 13 / O. Hageneder. – Vita e pensiero, 2000

Cap. 2 La guerra, la Chiesa, la Cavalleria

Riassunto

Dalla fine del 10 secolo l’assenza di una forte autorità centrale era stata avvertita dagli ecclesiastici come un pericoloso vuoti di potere, un elemento di disordine che liberava una violenza incontrollata e senza limiti. Una violenza che colpiva le fasce deboli della società, o poveri, i contadini, gli inermi, gli stessi uomini di Chiesa indifesi dalle scorrerie del ceto militare ormai privo di inquadramento stabile in un esercito regio. Era una conseguenza inevitabile del venir meno di un re “difensore della Chiesa” in grado di salvaguardare gli interessi delle chiese dalla rapacità degli uomini armati. Tra 10 e 11 secolo alcuni vescovi tentarono di frenare questa violenza, di incanalarla verso un uso legittimo della forza, sottoposto al controllo etico degli uomini di Chiesa e a quello politico delle autorità laiche. Se esisteva dunque una violenza giusta che difendeva lo stato di pace, poteva esistere anche una ‘guerra giusta’ o santa per difendere la fede, come scoprirono presto i papi della Riforma.
Nel corso della seconda metà del secolo 11 si assiste a un ampio processo di legittimazione della guerra da parte dei pontefici di Roma. Sulla spinta di questa sacralizzazione della violenza contro i nemici della Chiesa, il tradizionale pellegrinaggio verso i luoghi santi subì, negli anni finali del secolo 11, un’improvvisa torsione bellica: invece di partire per pregare sul santo sepolcro, quattro armate franco-normanne-tedesche partirono per combattere, riuscendo pure a prendere Gerusalemme. Il pellegrinaggio si trasformò in guerra santa. Nacquero nuovi stati “cristiani” nell’Oriente musulmano e nuove forme di unione di vita religiosa e vita militare: gli ordini monastici cavallereschi, esperimento ultimo dello sforzo della cultura ecclesiastica di creare un modello di cavaliere che combattesse per la salvezza della Chiesa.
Tentativo riuscito sul piano della rappresentazione ideologica del ceto militare, ma poco efficace sul piano del disciplinamento delle clientele militari, così poco disposte a sottomettersi a Dio, figuriamoci a un signore unico.  Gli elementi che facilitavano l’autonomia degli uomini armati erano numerosi: indebolimento delle fedeltà, attenuazione del servizio militare a favore del signore, ampia disponibilità dei benefici ricevuti che potevano essere anche venduti. A queste forme di dispersione, lo strato alto del ceto militare, quello che aveva maggiore disponibilità di beni e uomini fedeli, cercò di rispondere con una rinnovata concezione dei doveri impliciti nel legame di vassallaggio: aumentarono le occasioni di sequestro del bene concesso (chiamato ora “feudo”) in caso di disobbedienza, fu imposta ai vassalli una fedeltà esclusiva e un impegno a non attaccare il proprio signore.  Anche la diffusione di modelli letterari di cavalieri ideali contribuì a rafforzare l’idea di una comune appartenenza a un ceto eletto, dedito alla guerra e geloso al proprio “onore”. E’ bene tuttavia non prendere alla lettera questi modelli: il mondo composito dei militari non si chiuse in una classe nobile esclusiva e impenetrabile. Rimase un gruppo mobile, contraddistinto dall’uso professionale delle armi, ma differenziato al suo interno da livelli di ricchezza e di potenza molto distanti. La differenza non era ancora fra nobili e non nobili, ma fra signori potenti e signor i meno potenti.

Bibliografia

La guerra santa: la formazione dell’idea di crociata nell’Occidente cristiano / J. Flori. – Il mulino, 2003
L’invenzione della crociata / C. Tyerman. – Einaudi, 2000
Le guerre di Dio: nuova storia delle crociate / C. Tyerman. – Einaudi, 2012
I cavalieri di Cristo: gli ordini religioso-militari del Medioevo / A. Demurger. – Garzanti, 2002
La cavalleria medievale / J. Flori. – Il mulino, 2002
Cavalieri e cavalleria nel Medioevo / J. Flori. –Einaudi, 1998
Vassalli, feudi e feudalesimo / G. Albertoni. – Carocci, 2015
Che cos’è il feudalesimo? / L. Ganshof. – Einaudi, 1989
La società feudale / M. Bloch. – Einaudi, 1949

Cap. 3 Il dominio signorile

Riassunto

Il rafforzarsi dell’identità sociale dell’aristocrazia militare si espresse in forme molto concrete in un mutamento e un’accentuazione della pressione e del controllo politico sugli strati sociali inferiori. Il secoli 10 e 11 in tutta l’Europa furono infatti teatro di un mutamento profondo delle forme di potere: si indebolì la capacità regia di controllo, si frammentarono i distretti affidati a conti e marchesi, le chiese e le dinastie aristocratiche costruirono poteri locali autonomi, signorie di piccole e piccolissime dimensioni. Non fu in alcun modo una rinuncia volontaria da parte del regno: le signorie non erano infatti poteri concessi dal re ai suoi fedeli, ma costruzioni politiche dal basso, attuate senza alcuna delega, ma valorizzando le basi locali del potere, ovvero la terra, i castelli e le clientele armate. Se il processo fu comune a tutta l’Europa carolingia, i suoi tempi, le sue forme, e i suoi esiti furono profondamente diversi da un luogo a un altro: possiamo quindi delineare le principali linee di tendenza, sapendo però che in questi secoli ogni luogo fa storia a sé.
I poteri signorili partivano dalla terra, dal grande possesso fondiario: solo chi era ricco di terra aveva le risorse per imporre il proprio dominio sui vicini più deboli. Ma i poteri signorili non erano semplicemente uno sviluppo e un approfondimento del rapporto tra il padrone della terra e i contadini, un legame economico e sociale che era già efficace in età carolingia; qui ci troviamo di fronte a un salto di qualità importante, con il passaggio a una vera e propria forma di potere politico, una dominazione territoriale proiettata non solo sui contadini che coltivavano la terra del signore, ma su tutti i vicini. Il salto di qualità fu connesso prima di tutto alla nuova capacità di azione armata dell’aristocrazia, di quei cavalieri la cui identità sociale si andava consolidando lungo l’11 secolo.

Bibliografia

L’Italia dei poteri locali: secoli 10-12 1998
Signorie di Mezzogiorno: società rurali, poteri aristocratici e monarchia, 12-13 secolo / S. Carocci. – Viella, 2014
Comunità e clientele nella Toscana del 12 secolo: le origini del comune rurale nella piana di Lucca / C. Wickham. – Viella, 1995
I confini del potere / G. Sergi. – Einaudi, 1995
I paesaggi dell’Italia medievale / R. Rao. – Carocci, 2015

Cap. 4 Le città nell’Europa medievale

Introduzione

Nel corso del secolo 11 insieme alle signorie, ai principati territoriali e alla piena affermazione del ceto militare si sviluppò anche una fitta rete di città in molte regioni europee: in particolare la Francia settentrionale intorno a Parigi (Reims, Tours, Chartres); le Fiandre (Ypres, Bruges, Gand) e il corridoio verso le città tedesche lungo il Reno e la Mosa; una piccola ma importantissima costellazione di città sul Baltico; le città della Provenza e della Linguadoca (Arles, Avignone, Tolosa, Montpellier, fino a Marsiglia) e naturalmente l’Italia, dove però il sistema urbano, pur condividendo molti elementi con le esperienze europee, assunse una natura istituzionale diversa, che merita un’analisi separata.
Si trattò quindi di un fenomeno diffuso, che ha riguardato centri di origine molto diversa: dai villaggi rurali, ai borghi nati intorno ai castelli ( città castrensi) o alle abbazie (città ecclesiastiche), dalle città di origine romana, ai piccoli porti di scambio già attivi nei secoli precedenti e rapidamente divenuti città. Gli storici hanno avanzato spiegazioni molto diverse per giustificare questa rinascita urbana così ampia, che ha modificato in profondità l’assetto sociale e politico dei principati e poi dei regni: per alcuni le città erano l’esito inevitabile dello sviluppo economico e della formazione di una nuova classe di borghesi, i mercanti; per altri il frutto di iniziative signorili, appoggiate dagli abitanti; per altri ancora le città si formarono solo dopo una rivolta della popolazione urbana contro i poteri signorili. Sono tutte letture parzialmente valide, ma insufficienti a spiegare un processo che riguarda campi troppo diversi per avere una sola causa. Dobbiamo cercare altre vie per comprendere il fenomeno urbano, a cominciare da una definizione meno statica della città stessa. La città europea non può essere separata dal suo territorio, questo è un dato preliminare da cui dobbiamo partire: viveva con il territorio circostante, ne assorbiva le risorse in surplus, attirava nuovi abitanti, assicurava lo scambio di prodotti e merci lavorate.
Era legata anche ai centri di potere signorile che governavano i principati regionali. Senza arrivare a sostenere che le città furono creazioni interamente signorili, è vero che dovettero molto all’iniziativa dei signori. Le condizioni degli abitanti si definirono spesso in contrasto con i poteri locali, ma non senza un loro esplicito riconoscimento.
Nel corso del 12 secolo questo movimento assunse ritmi più ordinati. Le mura definirono ovunque lo spazio urbano separato dalla campagna, atti giuridici ufficiali sanzionarono lo statuto politico di città; l’affermazione di una nuova élite economica cambiò il modo di fare politica e la stessa struttura sociale. Nel corso del 13 secolo un processo di stratificazione sociale mise in luce i contrasti e le gerarchie interne al mondo urbano. Era un segnale importante della maturità raggiunta dal mondo urbano, a prezzo, appunto, di una forte emarginazione delle frange basse dei seti salariati. Lo spessore economico delle città ne fece dei soggetti politici di primo livello: furono i principi ora ad aver bisogno delle città e più ancora i regni, che conferirono alle città comunali uno statuto privilegiato.

 

Bibliografia

La città medievale / A. Grohmann. – Laterza, 2003
La città dal Medioevo al Rinascimento / E. Guidoni. – Laterza, 1981
Strutture del potere ed élites economiche nelle città europee dei secoli 12-16 / a cura di G. Petti Balbi. – Liguori, 1996
L’Europa delle città: il volto della società urbana tra Medioevo e Età moderna / M. Berengo. – Einaudi, 1999

Cap. 5 I regni e i sistemi politici europei fra 11 e 13 secolo

Riassunto

Il reticolo dei poteri dell’Europa nei secoli centrali del Medioevo sembra lasciare poco spazio ai tentativi di creare una dominazione politica unitaria sotto il governo di un re: signorie di castello ormai autonome, un ceto militare in cerca di una faticosa sistemazione in reti stabili di alleanze, principati regionali in conflitto e gelosi della propria autonomia, città in crescita come centri economici in gradi di influenzare gli assetti regionali. I re esistevano, naturalmente, ma fino a buona parte del secolo 12 il loro potere aveva limiti ben precisi: controllavano un territorio ristretto, dovevano contrattare le principali azioni di governo con i grandi potentati locali, provenivano da dinastia poco legittimate che faticavano a imporre i propri candidati alla successione al trono.
Una condizione di debolezza che caratterizzò a lungo le monarchie europee. Da nessuna parte era scritto che le monarchie fossero destinate a diventare la struttura politica prevalente nell’Occidente medievale. La storiografia europea tra Otto e Novecento ha spesso peccato di anacronismo, proiettando sui poteri monarchici deboli e intermittenti del secolo 12 un disegno organico di costruzione di uno ‘Stato’ nel senso moderno del termine. I compiti delle monarchie dei secoli tra l’11 e il 13 erano più elementari – e allo stesso tempo difficili – di quanto gli storici abbiamo immaginato: bisognava in primo luogo affermare un ‘diritto a esistere’ come entità politiche superiori, e quindi sforzarsi di recuperare un coordinamento (non certo un controllo diretto) dei poteri sparsi in mani diverse e contesi da principi regionali da tempo abituati a governare in piena autonomia i propri territori. Gli strumenti usati variarono moltissimo da regione a regione, ma ovunque furono improntati al più spregiudicato opportunismo politico, a un’empirica capacità di adattarsi alle realtà circostanti e di superare i vincoli posti dai rapporti di forza esistenti. Fu questa la chiave del successo dei re, almeno di quelli che riuscirono a presentare il proprio dominio come un ‘regno’ in maniera sufficientemente credibile.
Seguiremo alcuni casi più importanti per mostrare le forme e i tempi di questo processo di costruzione di un’istituzione di raccordo superiore: l’Inghilterra normanna da Guglielmo il conquistatore a Giovanni Senzaterra; la Francia fino a Filippo Augusto; la spagna dei regni lanciati verso la riconquista dei territori sotto il dominio musulmano; la Germania imperiale che intrecciò le sue vicende con il regno di Sicilia fondato dai Normanni e passato sotto il dominio di Federico 2 che era anche imperatore e dunque re d’Italia e di Germania.

Conclusioni

L’analisi dei contesti ‘nazionali’ ha messo in luce un quadro pieno di contrasti: i tentativi dei re di porsi come vertice di una configurazione sovraregionale che esisteva solo sulla carta, le contraddizioni generate dalle incerte fedeltà dei grandi, che mal sopportavano il peso dell’inquadramento regio, le tensioni continue con gli apparati pubblici promossi dai re. Il risultato, possiamo dirlo, non è nitidissimo. Se pensiamo alla costruzione di apparati monarchici ‘nazionali’ in termini di processo evolutivo, si trattò certamente di un processo interrotto, tutt’altro che risolto all’affacciarsi del Duecento. Le carte territoriali dei regni sono ancora occupate dalle macchie irregolari e mutevoli dei principati regionali, in teoria legati feudalmente ai re. Guardiamo la Francia a metà del 12 secolo e nel primo quarto del 13: le aree di dominio regio sono leggermente aumentate, ma sono ancora ‘isole’ in un sistema di dominati locali. Per la Spagna valgono le linee di espansione portate avanti dai regni: la linea del 13 secolo si arresta poco sotto la metà della penisola; il sud è ancora sotto i regni musulmani. Anche l’Impero non presenta un quadro molto migliore. Anzi, come si è visto, i principi aumentarono le sfere di autonomia sotto Federico 2, confermando una frammentazione strutturale delle regioni imperiali tedesche.
Il regno normanno d’Italia è apparentemente uno dei più solidi sul piano territoriale. Diversamente dalla Germania l’azione di Federico 2 è stata energica ed efficace sotto il profilo politico.
Se invece guardiamo alle soluzioni pratiche, agli strumenti di governo, ai sistemi amministrativi, allora il giudizio cambia. I re si proposero – o si imposero, secondo i casi – come le autorità legittimate da un lato a ricomporre un quadro unitario di questi poteri dispersi e dall’altro a creare un nuovo equilibrio fra le prerogative della potenza privata dei signori (laici ed ecclesiastici) e ‘esercizio delle funzioni pubbliche di coordinamento e di pacificazione riservate al potere regio. Perché era questo che alla fine il re doveva fare: assicurare una convenienza possibilmente ordinata dei principati, delle città, delle signorie, delle popolazioni rurali, disciplinando la violenza del ceto militare e recuperare, almeno sul piano simbolico, le funzioni di controllo della vita politica degli antichi territori del regno. Non si andava molto oltre. Nessuno pretendeva – né avrebbe permesso – un controllo diretto e capillare dei territori locali da parte dei sovrani né una vera sottomissione degli individui al governo regio. Qualche pretesa in tal senso fu avanzata, ma si arrestò presto davanti alla natura delle cose: i potentati regionali potevano essere messi al servizio del re nei momenti di necessità, ma non ‘appartenevano’ al re come depositario di un potere pubblico unico e sovrano.
In sostanza i re potevano contare sulle fedeltà dei territori, non sui territori in quanto suoi dominati. Per tutto il secolo la mediazione dei signori regionali e dei principi, che potevano controllare le forze militari locali, rimase infatti una condizione inevitabile per determinare il successo e la durata delle monarchie. Come strutturale rimase la tensione fra i progetti di centralizzazione monarchici e le difese delle sfere di autonomia dei grandi.
Per promuovere le funzioni regie, i monarchi usarono metodi molto diversi fra loro, in combinazioni altrettanto variabili. Nonostante la pretesa di superiorità ‘sovrana’ infatti dovevano procedere in maniera empirica e graduale, tenendo conto delle loro forze e delle reali capacità di imporre una fedeltà superiore ai loro vassalli.
In primo luogo, in maniera non dissimile dai vicini potenti, i re fecero ampio ricorso al diritto feudale per intervenire in territori esterni al loro dominio. Rivalutando la loro funzione di senior – il superiore a cui si doveva fedeltà – rispetto ai principi suoi vassalli, intervennero spesso nelle liti fra potenti e fra questi e i loro vassalli minori. Capitava spesso che questi ultimi, sentendosi offesi ingiustamente dal loro signore, facessero appello al re per essere difesi. In questi casi il re interveniva appunto come superiore feudale del principe e poteva arrivare anche a privare del feudo il signore che non si presentava alla sua curia o che veniva riconosciuto colpevole dai pari. Sia i re di Francia che l’imperatore di Germania, come vedremo, usarono spesso le curie feudali per regolare i conti con i grandi vassalli avversari.
Anche un secondo aspetto del sistema feudale permetteva ai re di manipolare i dominati territoriali: la natura ormai patrimoniale del feudo. Lo si è visto prima: nel secolo 12 la gran parte dei feudi o dei benefici era considerata parte integrante del patrimonio dei vassalli e poteva essere trasmesso in eredità o in dote. I re approfittarono di questa trasmissibilità del feudo, sia con politiche matrimoniali accorte sia attraverso un controllo serrato dei passaggi ereditari. E’ vero che affidare la costruzione di un regno ai matrimoni era rischioso, ma il legame matrimoniale creava obblighi giuridici che alimentavano le pretese regie per molti anni. Rivendicare i territori della moglie come dote fu una tattica usatissima dai re di Francia. Altrettanto usata fu la retrocessione (riconsegna dopo un periodo di tenuta) dei feudi di vassalli morti sena eredi o con eredi ancora in minore età, che venivano incamerati per poi essere ceduti ai nuovi eredi a caro prezzo.
La frenetica attività di controllo di nascite, morti, eredità che animava le corti europee del 12 e 13 secolo si spiega in questo modo. Era necessario seguire gli innumerevoli fili delle successioni dei principati per cercare di riunire in una trama unitaria i possessi ‘in mobilità’. In altri casi i re, sempre all’interno di una logica patrimoniale, non esitarono a comprare feudi e principati usando il denaro per acquisire poteri pubblici su territori, in teoria, di loro pertinenza. Ma ancora una volta prevaleva il criterio del possesso: rispetto a una fedeltà incerta e contrattata, l’acquisto in denaro di un feudo dava garanzie enormemente maggiori di stabilità.
Su un piano invece più tecnico-amministrativo, i re capirono che una chiave importante del successo dipendeva dai funzionari di corte e dagli ufficiali locali che dovevano governare i soggetti del loro dominato. Per lungo tempo – ancora nella prima metà del secolo 12 – i maggiori uffici di corte erano affidati, per via ereditaria, a grandi vassalli di rango principesco, spesso gli stessi che guidavano o progettavano le resistenze più accanite contro i re. Al di fuori del loro dominio poi, il controllo dei centri abitati e dei castelli era totalmente in mano ai signori territoriali. Verso la fine del 12 secolo, invece, questa tendenza si invertì. A corte emersero persone di livello sociale medio, spesso di origini non nobili – cavalieri, chierici, agenti contabili di provenienza urbana – che presero il posto dei grandi vassalli: avevano meno ambizioni ed erano più fedeli; soprattutto s dimostrarono capaci di usare tecniche contabili più complesse, perché i regni, come i grandi principati, avevano un pressante bisogno di rinnovare i sistemi di prelievo e gli apparati finanziari per condurre campagne militari efficaci.
La guerra si era monetizzata: per pagare il soldo ai vassalli, grandi e piccoli, che decidevano le sorti di una battaglia, bisognava avere risorse disponibili e in crescita. Il controllo del territorio si rivelò allora uno strumento importante: sul piano giudiziario, in primo luogo, ma poi sempre più su quello fiscale. Sotto la direzione del ristretto nucleo di corte, gli agenti locali, chiamati balivi o maniscalchi – diffusi già nella prima metà del secolo 12 in Normandia e Fiandra e poi in Borgogna e dal 1190 anche in Francia – divennero i collettori locali del fisco regio: curarono la raccolta delle tasse, individuarono nuovi soggetti tassabili e nuove fonti di reddito. Sfruttarono meglio il ‘dominio’ (le terre di proprietà del governante) dei principi, ma riuscirono a integrare nella contabilità regia nuove acquisizioni, prima di tutto le città.
Su un piano tuttavia, le corti monarchiche erano naturalmente superiori ai loro vicini: quello dell’elaborazione culturale e giuridica delle forme del potere. Non si trattava solo di promuovere teorie più o meno generali sulla monarchia – cosa che peraltro alcuni re fecero – quanto di porre il sovrano come “vertice politico” in base a cui gli altri poteri dovevano conformare il proprio spazio di azione. Il re occupava una sfera di potere in qualche modo superiore perché era in grado di fare cose che gli altri principi non potevano ripetere: le funzioni di pacificatore, di giudice supremo, di difensore della fede e dell’ortodossia delle popolazioni, di detentore legittimo dei poteri pubblici concessi feudalmente; tutte funzioni che servivano a identificare i contorni di questa maestà di costruzione.

Bibliografia

Autorità pubblica e chiesa nell’età feudale / J.-F. Lemarignier. – Jouvence, 1989
Feudalesimo e potere monarchico in Francia nel basso Medioevo / J.-F. Lemarignier. – Jouvence, 1998
La domenica di Bouvines / G. Duby. – Einaudi, 1977
Federico Barbarossa / F. Opli. – Ecig, 1994
Feudi e vassalli / S. Reynolds. – Jouvence, 2004
Gli inizi del diritto pubblico: L’età di Federico Barbarossa: legislazione e scienza del diritto / a cura di G. Dilcher, D. Quaglioni. – Il mulino, 2007
Fra cristiani e musulmani: economie e territori nella Spagna medievale / M. Vaquero Pineiro. – Bruno Mondadori, 2008
Signorie di Mezzogiorno: società rurali, poteri aristocratici e monarchia, 12-13 secolo / S. Carocci. – Viella, 2014
Federico 2, un imperatore medievale / D. Abulafia. – Einaudi, 1990
Federico 2 imperatore / E. Kantorowicz. – Garzanti, 1976
I misteri dello stato / E. Kantorowicz. – Marietti, 2005

 

 

Cap. 6 Nuove strutture politiche nell’Italia medievale: città e comuni

Riassunto

Nei secoli passati, la città medievale è stata oggetto di valutazioni altalenanti e contraddittorie. Considerata per lungo tempo il “principio ideale” della storia italiana, il vero centro organizzatore della vita politica della penisola, la città è stata caricata nel corso dell’Ottocento di miti politici assai ingombranti: sede delle popolazioni latine contrapposte a una nobiltà feudale germanica del territorio, primo embrione delle libertà italiane contro l’imperatore tedesco, prefigurazione dei governi liberali rappresentativi del 19 secolo. Di contro dal primo ventennio del Novecento si ebbe una reazione violenta contro il mito comunale della borghesia: le città furono accusate di essere piccoli organismi corporativi, luoghi di passioni politiche insensate e violente, generatrici di fazioni e di quello spirito grettamente “municipalista” che ha segnato le borghesia italiane di antico regime. Negli ultimi decenni il ridimensionamento della storia urbana medievale è continuato, anche se in maniera meno ideologica. Questa volta è stata messa in dubbio la sua capacità di essere veramente un centro in grado di coordinare ambiti territoriali coerenti. Anche sul piano politico si tende a contenere l’esperienza comunale in un campo ristretto di realizzazioni limitate e temporanee. Sono critiche parziali, in parte eccessivamente riduttive di un fenomeno complesso. Sfaccettato, che ha segnato a lungo il panorama politico italiano. E’ ora di ridare centralità – al di là delle mitologie negative e positive – a una delle più importanti “strutture elementari” del sistema politico del basso Medioevo.

Bibliografia

I comuni italiani / G. Milani. – Laterza, 2010
I comuni italiani, 1100-1350 / F. Menant. – Viella, 2011
Cavalieri e cittadini: guerra, conflitti e società nell’Italia comunale / J. C. Maire Vigueur. – Il mulino, 2004
A consiglio: la vita politica nell’Italia dei comuni / L. Tanzini. – Laterza, 2014
Giustizia pubblica medievale / M. Vallerani. – Il Mulino, 2005
Le guerre del Barbarossa: i comuni contro l’imperatore / P. Grillo. – Laterza, 2014
Signorie cittadine nell’Italia comunale / J. C. Maire Vigueur. – Carocci, 1991

Parte 4 Crisi e inquadramento delle società europee: metà 13-15 secolo

Introduzione

Alla fine del Duecento l’Europa aveva raggiunto uno sviluppo ormai imponente: la crescita economica dovuta ai progressi dell’agricoltura e dei commerci aveva rivitalizzato le campagne, trasformato le strutture insediative, disseminato i territori di centri urbani in grado di assicurare uno scambio commerciale regionale e interregionale a lunga distanza. La mobilitazione delle ricchezze monetarie aveva condizionato in profondità le forme di dominazione dei signori di banno, sempre più basate sul privilegio in denaro, e aveva favorito l’affermazione di élite urbane formate da banchieri e da ricchi mercanti. Anche i regni avevano attraversato una fase di crescita, nonostante le debolezze che ancora scontavano nel 13 secolo: grazie a una miscela di strumenti amministrativi e feudali erano riusciti a imporre un ruolo centrale dei poteri monarchici nella costruzione degli spazi politici sovraregionali.
Nei secoli successivi la messa in opera di questi apparati ancora imperfetti si scontrò con una serie di difficoltà strutturali che ne misero in forse l’esistenza. Si trattò di una crisi a più livelli, che scontava alcune contraddizioni fortissime degli assetti politici e sociali. Da un lato le pretese di questi poteri erano altissime: i re e i papi si ergevano al di sopra delle loro istituzioni e della società reclamando poteri quasi assoluti e il riconoscimento dell’origine divina delle loro cariche. Dall’altro queste pretese a volte troppo astratte e slegate dai contesti locali, suscitarono resistenze fortissime in seno alla società e ai gruppi politici più organizzati. Abbiamo ricostruito questo quadro seguendo quattro fili principali: la Chiesa e il controllo dei fedeli, l’affermazione della monarchia come forma di governo, la saldatura fra le istituzioni del regno e le forze sociali, l’inquadramento gerarchico dei rapporti sociali in una convivenza disciplinata di ceti diversi.
La Chiesa sperimentò presto la violenza di questi contrasti. Per tutta la prima metà del Duecento il papato si rafforzò sul piano istituzionale interno ed esterno, imponendo il suo controllo sulla vita delle diocesi e sull’elaborazione dottrinale della fede. Ma dovette fare i conti con un episcopato non sempre disposto all’obbedienza e con una pluralità di modi di vivere la religiosità dei laici assai distante dai disegni unitari del clero cattolico- Esclusi dalle funzioni sacre, i laici riemergevano come corpo di fedeli indocile e non sottomesso. Era necessario trovare strumenti nuovi e più flessibili che integrassero una parte delle esigenze del mondo urbano più dinamico e colto; ma allo stesso tempo si impose una repressione feroce delle resistenze più ostinate, che non accettavano alcuna forma di compromesso. Si spiega così la coesistenza della spiritualità evangelica promossa dai nuovi ordini mendicanti e dell’apparato repressivo dell’Inquisizione affidata agli stessi ordini. Persuasione e repressione erano due facce della stessa medaglia. Di certo la disciplina religiosa della popolazione divenne un elemento centrale nella costruzione degli Stati e la crisi del papato nel Trecento favorì un processo di trasferimento ai re della difesa della fede e della salvezza della comunità.
I regni si dibattevano in contraddizioni altrettanto profonde. La forma monarchica si sviluppò enormemente nel Trecento e ancora di più nel Quattrocento, sia sul piano culturale e ideologico sia su quello istituzionale; ma fu proprio questo il periodo in cui più forte si fece la resistenza ai re (esponenti di dinastie ancora incerte e deboli) e più violenta la lotta delle fazioni per il dominio sui regni. Guerre civili, deposizioni, uccisioni di regnanti, cambi di dinastia e artificiose alleanze matrimoniali accompagnarono la crescita delle monarchie “nazionali” per tutto il basso Medioevo. Anche in questo caso i processi di ricomposizione seguirono vie empiriche e non predeterminate. Alcuni regni superarono la crisi grazie alla forza delle istituzioni centrali che assicuravano un controllo del regno anche in assenza dei re; in altri la nascita di istituzioni rappresentative permise ai re di negoziare le decisioni politiche più delicate con le forze sociali locali; quasi ovunque fu necessario integrare una parte della nobiltà principesca concorrente (e più ostile ai re) in qualche forma di governo condiviso del regno. In sostanza la monarchia si impose o si salvò grazie alla sua flessibilità, alla sua capacità di adattamento alle situazioni più diverse e alla scelta, per certi versi obbligata, di condividere il governo del regno con le élite regionali più dinamiche, dalla nobiltà signorile che controllava di fatto gran parte della società rurale, ai ceti dirigenti delle città che dominavano i giochi dello scambio finanziario ed economico.
Questa relativa stabilizzazione istituzionale andò di pari passo con un processo di inquadramento della società portato avanti dai ceti eminenti del tardo Medioevo (esaminato nell’ultimo capitolo). Nelle campagne e nelle città si avviò una profonda trasformazione dei rapporti sociali, ancora una volta con numerose contraddizioni. I ceti signorili e in generale detentori di capitali e di mezzi di produzione (grandi mercanti, banchieri-investitori, capi bottega) si sforzarono di imporre un controllo diretto e più “economico” sui processi di produzione e sulla forza lavoro. Nuovi assetti proprietari e nuove forme contrattuali si diffusero fra Tre e Quattrocento nelle campagne, già duramente colpite dalle crisi di carestia e dalla peste del 1348. Una massa ingente di contadini rimasti senza terra fu impiegata come forza lavoro salariata alle dipendenze dei signori più vicini e più esigenti; un’altra parte emigrò in città ingrossando le file di un salariato operaio poco specializzato e poco pagato. I rapporti fra queste masse di lavoratori non proprietari (e dunque dipendenti dal lavoro salariato) e i poteri politici ed economici delle città e delle campagne europee furono spesso turbolenti, segnati da ribellioni violente e da repressioni altrettanto feroci. In molte regioni europee, la condizione contadina peggiorò sensibilmente, fino a un ritorno più o meno mascherato del servaggio o comunque a una riduzione sensibile delle libertà personali.
In altri contesti le crisi ripetute portarono i ceti eminenti e i governi a elaborare nuove strategie di contenimento della povertà. Istituzioni caritative, ospedali, confraternite si impegnarono in una diffusa opera di redistribuzione di una parte dei profitti in forme organizzate di “carità pubblica”. Il controllo della povertà divenne per i ceti dirigenti delle città un segno esplicito di sensibilità religiosa verso il deboli, una sorte di redenzione in terra per le ricchezze accumulate e fornì allo stesso tempo una fonte di sostegno necessaria per le fasce a rischio delle popolazioni urbane e rurali. In ogni caso questa capacità di intendere e di gestire l’economia in tutte le sue declinazioni (commercio, finanza, ricchezza dello Stato, bene della comunità) divenne un carattere indispensabile per accedere alla sfera politica delle società della fine del Medioevo per indicare il legame dinamico fra le parti e il tutto. Per continuare a vivere bisognava restare uniti e ripetere nel tempo le funzioni assegnate a ciascun organo. Cambiare ruolo, rifiutare la propria condizione metteva a rischio l’equilibrio generale della società. I re erano garanti di questa necessaria stabilità.

 

Cap. 1 Il papato, gli ordini mendicanti e la crisi della Chiesa (1215-1378)

Riassunto

La vasta costruzione dottrinale e pastorale elaborata nei 150 anni successivi alla Riforma fu sistematizzata all’inizio del Duecento, sotto Innocenzo3, in un famoso concilio ecumenico (a cui parteciparono tutti i vescovi) tenutosi nel 1215 a Roma, in Laterano. Il concilio lateranense 4 disciplinava e rinnovava la procedura giudiziaria interna alla Chiesa, la lotta agli eretici, le pratiche pastorali da seguire nelle diocesi, inquadrando queste regole in un sistema istituzionale sempre più centrato sulla figura del papa come guida spirituale e politica dell’intera cristianità. La curia pontificia di Roma divenne un vero centro di potere e di controllo della vita religiosa delle diverse diocesi europee. Nel tardo Duecento presero forma anche nuove teorie teocratiche, che attribuivano al pontefice romano poteri di giudice e di legislatore: il papa prendeva sempre le decisioni giuste per la Chiesa, emanava leggi valide per tutti e poteva derogare da quelle stesse leggi grazie all’autorità di dispensare dalla loro osservanza; si preparava il terreno per la dottrina della potestà assoluta del papa e della sua infallibilità.
Il concilio lateranense 4 promulgò anche due canoni che cercavano di dare una forma ai nuovi movimenti religiosi nati nei primi anni del Duecento. Soprattutto ai due principali ordini mendicanti – così chiamati perché avevano rinunciato alle ricchezze e ai possessi sostenendosi con il lavoro e le elemosine – i predicatori, fondati da Domenico di Caleruega, e i minori, seguaci di Francesco d’Assisi (più tardi chiamati domenicani e francescani). La nascita e la rapidissima diffusione dei due ordini rappresentò senz’altro una delle maggiori novità nella vita religiosa delle società europee: con il loro esempio riuscirono a conquistare un ruolo di guida delle coscienze delle popolazioni urbane in qualità di predicatori e di confessori, e si posero come mediatori fra le istanze di ordine della Chiesa e le domande dei laici di una partecipazione attiva alla vita religiosa. Come inquisitori esercitarono certo anche una funzione di ‘polizia’, ma questo rientrava nei loro compiti di difensori della fede e di devoti servitori del papa di Roma.
L’eresia divenne infatti un campo di tensioni fortissime nel mondo politico-religioso del tardo medioevo. Da un lato esisteva chiaramente l’eresia religiosa, quella perseguita dagli inquisitori; dall’altro però il reato di eresia fu sempre di più applicato alla politica: l’infedeltà politica divenne anche infedeltà religiosa, la ribellione si confuse con l’eresia in un unico reato di lesa maestà che richiedeva un intervento eccezionale del potere religioso e civile.
Il ricorso spregiudicato all’eresia per salvare la Chiesa dalle resistenze dei fedeli riottosi non mise il papato del secolo 14 al riparo da una crisi politica senza precedenti. Prima lo scontro fra Bonifacio 8 e il re di Francia nel 1303, culminato con un processo per eresia intentato contro il papa ormai defunto; poi l’abbandono di Roma e il trasferimento del papato ad Avignone per un settantennio (1307-1378). E infine, dopo il primo tentativo di riportare la sede a Roma nel 1378, uno scisma fra un papa romano e un antipapa francese che divise in due l’Europa per un altro cinquantennio. Le pretese di dominio sul mondo cristiano avanzate dai papi romani si scontrarono con le debolezze interne della Chiesa e dovettero fare i conti con il sistema politico dei regni europei che non accettava più inquadramenti dall’alto, neanche sul piano religioso. Anzi, proprio la lotta tra i papi romani e papi francesi mise in luce il carattere “nazionale” delle chiese che sempre di più ubbidivano a logiche locali nelle loro scelte. Il controllo delle istituzioni ecclesiastiche era condiviso ormai con i re e la vita religiosa era anche un affare di Stato.

 

Bibliografia

Il trono di Pietro: l’universalità del papato da Alessandro 3 a Bonifacio 8 / A. Parravicini Bagliani. – Carocci, 1996
Il diritto nella storia medievale / E. Cortese. – In: Il basso medioevo, vol. 2. – Il cigno, 1995
Frate Francesco / G. G. merlo. – Il mulino, 2013
Francesco d’Assisi: realtà e memoria di un’esperienza cristiana / G. Miccoli. – Einaudi, 1991
Nel nome di San Francesco: storia dei frati minori e del francescanesimo sino agli inizi del 16 secolo / G. G. Merlo. – Edizioni francescane,2003
Francesco e Chiara d’Assisi / a cura C. Leonardi. – FondazioneValla-Mondadori, 2004
I laici nel Medioevo: pratiche ed esperienze religiose / A. Vauchez. – Il saggiatore, 1989
L’ordine dei peccati: la confessione fra Medioevo ed età moderna / R. Rusconi. – Il mulino, 2002
Contro gli eretici: la coercizione all’ortodossia prima dell’Inquisizione / G. G. Merlo. – Il mulino, 1996
L’età dei processi: inchieste e condanne tra politica e ideologia nel ‘300 / a cura di A. Rigon. – Istituto storico italiano per il Medioevo, 2009
La Chiesa, il segreto e l’obbedienza / J. Chiffoleau. – Il mulino, 2010

Cap. 2 La costruzione dello spazio politico dei regni europei

Riassunto

Nel corso del 14 secolo le società europee furono inquadrate in strutture regie più ampie e più definite. Francia e Inghilterra consolidarono i governi monarchici su gran parte dei territori soggetti. I regni spagnoli iniziarono a ordinarsi intorno a un’egemonia della Castiglia. Presero forma anche una serie di nuovi regni nell’Europa dell’est, prima assorbiti nella galassia imperiale tedesca, o poco visibili sul piano politico: Boemia, Ungheria e Polonia estesero la forma monarchica nella regione danubiana, creando le basi di un complesso sistema geopolitico ai confini orientali dell’Europa. Così nelle regioni scandinave: la natura regia dei poteri territoriali acquisì una fisionomia più chiara in Danimarca, Norvegia, Svezia. Alla fine del 15 secolo i regni coprivano buona parte del territorio europeo: Visto dalle corti centrali, sembra un mondo avviato verso un processo coerente di unificazione nazionale degli Stati.
Ma si trattò veramente del trionfo della forma monarchica o do un’inarrestabile affermazione della figura del re come sovrano assoluto di uno Stato Nazione? Per molto tempo si è pensato di si. Soprattutto gli storici francesi, fra Otto e Novecento, hanno insistito sul processo di centralizzazione delle corti regie come motore dello sviluppo dello Stato, che avrebbe compresso irrimediabilmente le autonomia locali e i poteri feudali concorrenti. Le monarchie si affermarono contro le altre forze sociali. Oggi le cose sono sostanzialmente cambiate. Nuove ricerche hanno messo in luce aspetti prima poco noti o poco studiati. Per esempio la vitalità del particolarismo delle signorie locali, che sfruttavano i vantaggi dell’inserimento nella corte centrale del re, senza però rinunciare alle prerogative sui propri territori; la lunga durata dei legami feudali che condizionarono ancora per buona parte del Trecento i rapporti fra i re e i grandi del regno; la capacità di resistenza delle comunità locali e delle città davanti alle esose richieste finanziarie del re; e in generale l’esistenza di solidarietà regionali che identificavano nel “paese” un luogo di appartenenza più vicino e più rilevante rispetto al regno.
In sostanza si tende a dare un peso maggiore a quelle regioni che componevano gli Stati conservando una propria fisionomia politica, anche nei regni più accentrati come la Francia. Si è capito che essere parte di un regno non cancellava le realtà territoriali, anzi, spesso le riattivava, favorendo una riattivava, favorendo una riorganizzazione degli interessi locali prima poco definiti. Davanti alle richieste di un’autorità esterna, le società regionali furono spinte a presentarsi come istituzioni, sotto forma di assemblee, parlamenti, stati provinciali, diete; elaborarono anche una cultura politica che legittimava la difesa degli interessi regionali davanti alle ingerenze del re. Per alcuni storici, soprattutto di lingua tedesca, fu proprio questa dimensione “negoziata” la caratteristica maggiore dello Stato moderno: non l’imposizione di un potere assoluto, ma la lenta integrazione di entità regionali autonome in un regno composito, mobile, che si basava anche sull’ascolto dei propri sudditi. Ci fu dunque uno scambio fecondo di informazioni che contribuiva ad avvicinare governanti e governati. Forse questa è una visione troppo ottimistica, ma è vero che l’attenzione alla dimensione regionale e locale dei poteri, rappresentati nelle assemblee territoriali, è oggi necessaria per capire l’evoluzione anche degli Stati apparentemente più accentrati.
E’ opportuno quindi ricostruire i modi in cui si mise in opera un governo politico del regno attraverso un lento processo di integrazione di diversi gruppi di interesse, dai ceti nobiliari alle élite economiche urbane, in un sistema di istituzioni a guida regia. Lo faremo in due tempi.
In questo capitolo vedremo a grandi linee la dimensione territoriale degli Sati europei: come svilupparono o adattarono a territori diversi un modello di governo impostato sulla monarchia (o su forme imitative della monarchia), pur in presenza di forze nettamente contrarie alla centralizzazione regia. Nel prossimo cercheremo invece di esaminare la natura politica dei rapporti che si crearono tra la legalità, l’amministrazione pubblica e le assemblee rappresentative dei territori.

Gli eventi

1315 Rivolta delle regioni, carte di libertà
1328 Passaggio alla dinastia di Valois
1337 Inizio della guerra dei Cento anni
1356 Sconfitta di Poitiers, prigionia del re francese Giovanni il buono
1392 Infermità di Carlo 6, nascita dei due partiti di Armagnacchi e Borgognoni
1407 Inizio della guerra civile
1420 Pace di Troyes, Carlo 6 nomina erede e successore il re inglese, Enrico 5
1422 Enrico 6 e Carlo 7 competono per il regno
1429 Carlo 7 incoronato re
1453 Fine della guerra dei Cento anni
1461 Regno di Luigi 11
1498 Ultima annessione, la Bretagna

In Inghilterra, dopo il lungo regno di Edoardo 1 i successori misero in evidenza la debolezza strutturale della monarchia:
- un regno incapace di finanziarsi, anzi impoverito e in mano al volere dei grandi
- un ruolo spropositato dei baroni, che per decenni attaccarono i detentori della Corona in una competizione apertissima e senza regole
- un Parlamento – l’assemblea di nobili, ecclesiastici e rappresentanti dei comuni – molto forte nell’imporre un controllo stretto intorno al re e alla gestione delle finanze regie, ma non altrettanto forte nel proposri come garante di un assetto istituzionale stabile

In questo quadro di frammentazione relativa possiamo distinguere tre aree politico-territoriali principali:
1 I grandi stati regionali principeschi
                - il ducato dei Savoia, tra il Piemonte e la Savoia (oggi francese)
                - lo Stato dei Visconti, tra Lombardia, Piemonte e Emilia
                - lo Stato estense, comprendente parti dell’Emilia e di Romagna, con capitale Ferrara
                - lo Stato della Chiesa, dai confini ancora incerti tra Lazio, Marche, Umbria e Romagna

2 Le formazioni regionali ancora sotto regimi repubblicani:
                - la repubblica di Venezia con la terraferma (Veneto e Friuli)
                - la repubblica di Firenze, estesa su quasi tutta la Toscana dopo la conquista di Pisa nel 1406
                - la repubblica di Genova

3 Le regioni meridionali inserite nei regni:
                - la Sicilia sotto gli Angioini e poi gli Aragonesi
                - il regno di Napoli sotto gli Angioini fino al 1442 e poi unito alla corona de Aragona

Conclusioni

Il rapido quadro generale dei principali eventi dei regni europei ci consegna dunque un’immagine fortemente contrastata. La configurazione territoriale dei regni fu condizionata pesantemente dall’intreccio fittissimo di reti parentali e di scelte matrimoniali interne alle aristocrazie europee. Un sistema di potere che la nascita degli Stati monarchici non riuscì a soppiantare. Anzi, le vicende dinastiche rimasero ancora un meccanismo fondamentale della vita politica dei paesi europei alla fine del Quattrocento: la Spagna moderna e l’Impero sotto gli Asburgo ne sono una dimostrazione palese.
Tutti i regni, in ogni caso, dovettero affrontare le resistenze di istituzioni assembleari rappresentative che si ponevano come potere “esterno” alla monarchia, anche se non sempre in conflitto con essa. Il rapporto con queste assemblee fu decisivo per i re. In alcuni casi dovettero far fronte a una supremazia di fatto di questi corpi intermedi, concedendo loro poteri amplissimi, al limite dell’autonomia (Impero e regni dell’est). In altri la contrattazione fu più serrata e diede modo al re di usare le assemblee per entrare in contatto con le forze sociali più rappresentative delle regioni. Alla fine, dopo un periodo di crisi acutissima – intorno alla metà del 15 secolo – i regni trovarono una forma istituzionale più stabile, che si poteva certo modificare o “riformare”, come prudentemente si esprimevano i consiglieri del re nel tardo Quattrocento, ma non più contestare apertamente.
Il definitiva la monarchia resse all’urto di potenti forze contrarie intenzionate a deformarla non perché fosse per natura la forma di governo migliore – come scrivevano i suoi sostenitori – ma perché riuscì a radicarsi come istituzione territoriale, creando una base sociale ampia che aveva interesse a mantenere un livello centrale di coordinamento superiore dei territori regionali. Nessun annullamento dei poteri signorili e locali dello Stato; semmai un coinvolgimento diretto nell’amministrazione dello Stato delle forze politiche potenzialmente dissolutrici.
Le basi ideologiche e materiali di questo potere devono essere ora indagate con maggiore attenzione.

Bibliografia

L’Occidente nei secoli 14 e 15, gli Stati / B. Guenee. – Mursia, 1992
La guerra dei Cent’anni / Ph. Contamine. – Il mulino, 2013
La lotta per il dominio: i regni del Mediterraneo occidentale dal 1200 al 1500 / D. Abilafia. – Laterza,1999
La corona d’Aragona: storia di un regno medievale / T. Bisson. – ecig,1998
L’Italia degli stati territoriali / I. Lazzarini. – Laterza, 2003
Lo stato del Rinascimento in Italia / a cura di A. Gamberini, I. Lazarini. – Viella, 2014
La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado, secoli 14 e 15 / G. Chittolini. – Einaudi, 1979
Città, comunità e feudi negli stati dell’Italia centro-settentrionale, secoli 14-16 / G. Chittolini. – Unicopli,1996
Lesa maestà all’ombra del biscione: dalle città lombarde ad una monarchia europea, 1335-1447 / F. Cengarle. – Ed. di storia e letteratura, 2014
Baroni di Roma: dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e nel primo Trecento / S. Carocci. – Ecole française de Rome, 1993
Il Regno di Napoli: il Mezzogiorno angioino e aragonese, 1266-1494 / G. Galasso. – In: Storia d’Italia, vol.15. –Utet,1992
Governare un regno: potere, società e istituzioni in Sicilia fra trecento e Quattrocento / P. Corrao. – Liguori, 1991

Cap. 3 Società politiche del basso Medioevo: un processo di integrazione conflittuale

Riassunto

La definizione dell’assetto politico dei territori europei si configura come un insieme di processi necessariamente intrecciati: un’integrazione conflittuale fra monarchie, istituzioni territoriali e forze sociali da cui tutti i soggetti uscirono profondamente trasformati. Da un lato, la corte centrale e l’ideologia monarchica si definirono meglio sul piano culturale e amministrativo: elaborarono una nuova ideologia regia e svilupparono un costoso apparato burocratico in grado di estendere il controllo pubblico in odo capillare nei territori del regno. Separarono anche la figura concreta del re da quella astratta della Corona. Se i re morivano e potevano essere deposti, i regni, nella loro proiezione ideale sotto forma di Corona, continuavano a vivere.
Dall’altro lato, anche i “paesi” si organizzarono per proprio contro. Eleggevano i rappresentanti nei singoli luoghi, elaboravano le richieste da fare al re, votavano a maggioranza le decisioni comuni. La loro esistenza, tuttavia – ed è questo il punto che ci interessa – era strettamente legata a quella del regno: per la distribuzione delle risorse, la contrattazione dei carichi fiscali che comunque venivano loro richiesti, la politica estera che li coinvolgeva. Le regioni dovevano essere “regioni di un regno” per contare politicamente. Da qui lo sforzo di usare le assemblee rappresentative come luogo dove mediare e negoziare le richieste dei re con le esigenze locali.
Naturalmente non bisogna esagerare la natura rappresentativa di queste assemblee. Nei Parlamenti e negli Stati sedevano in prima fila le forze aristocratiche più vicine al potere e quindi più interessate a trovare un accordo per loro vantaggioso. Nonostante queste assemblee funzionassero con il voto a maggioranza, vigeva una regola non scritta ma molto seguita: i voti si pesavano e non si contavano. L’aristocrazia, sempre più definita come ordine di nobili separati dal resto della società, il suo peso lo fece sentire sempre e lo fece accettando una relativa integrazione nelle strutture pubbliche. Trasformandosi in nobiltà del regno, si inseriva in un nuovo ordine politico che alla fine del 15 secolo sembra vedere la luce: un grande “corpo della nazione”, con la monarchia come testa e guida delle altre componenti che in armonia dovevano svolgere le funzioni assegnate secondo una scala gerarchica; un disegno organico, immobile, in cui ognuno doveva riprodurre all’infinito i comportamenti assegnati al suo stato sociale

Questo insieme di celebrazioni e di immagini religiose della monarchia non era solo strumento di propaganda. Le virtù assegnate al re furono, in qualche modo, tradotte in poteri di governo in quasi tutti i regni:
- la protezione dei poveri e dei deboli richiedeva un rafforzamento della giustizia pubblica verso i potenti arroganti che affliggevano i sudditi
- la misericordia del re si tradusse ben presto in un potere di grazia in base al quale il re poteva condonare le pene comminate dai giudici, accogliere le suppliche dei sudditi e cambiare il normale corso delle leggi
- l’amore verso il re portava con sé una celebrazione religiosa della sua superiorità istituzionale
- i fondamenti celesti del regno, infine, rafforzavano l’immagine della monarchia come scudo protettivo, guida naturale della nazione

Lo sviluppo di una burocrazia pubblica, nelle corti e nei territori, fu importante per diversi motivi:
- favoriva una via autonoma del regno che funzionava, in caso di necessità, anche “senza re”, come accadde spesso in tutti i contesti europei tra 14 e 15 secolo
- assicurava una presenza capillare nei territori di un corpo di ufficiali che, nel bene e nel male, “rappresentavano” il re in quel luogo
permetteva la promozione del ceto intermedio urbano, favorendo gli esponenti più dinamici delle classi cittadine, che avevano più facilmente accesso a una formazione di base (scrivere e far di conto).

Queste assemblee conservavano alcune caratteristiche “strutturali” che è bene ricordare:
- erano ancora “temporanee” e furono convocate con una periodicità variabile caso per caso
- avevano una rappresentanza sociale “limitata”, vale a dire che, salvo il caso castigliano, non rappresentavano tutti gli ordini nello stesso modo
- non erano ideologicamente contro la monarchia; potevano attaccare un re, ma alla fine furono proprio le assemblee che sostennero l’unità della corona, almeno nei paesi dove più forte si poneva l’istanza regia (Francia, Inghilterra e Spagna)
- e infine, ma non ultimo, fissarono la divisione in ordini, conferendo alla nobiltà un prestigio pubblico che ne sostenne a lungo la preminenza politica oltre che sociale.

I motivi di questo declino (delle assemblee rappresentative) furono diversi ma tra loro collegati:
- i re, alla fine del Quattrocento, avevano in genere reintegrato i beni della corona, ridotto il numero delle guerre e quindi diminuito le richieste di aiuto dei sudditi
- la tassazione ordinaria era ormai un dato accettato e poco contestato anche dai territori: si poteva discutere l’importo ma non la sua imposizione
- infine,  in quasi tutti i regni, la nobiltà e la medio-alta aristocrazia terriera e urbana erano ormai esenti dalle imposte ordinarie; se prima dovevano partecipare alle assemblee per difendere i propri interessi (limitare le esazioni pubbliche sui propri domini) alla fine del 15 secolo questo non era più necessario: Le tasse ormai colpivano solo i contadini e le campagne. La nobiltà non si interessava più delle assemblee: le vie di affermazione furono altre e più prestigiose

Cap. 4 Gerarchie sociali alla fine del Medioevo

Riassunto

Lo sviluppo delle istituzioni politiche dei regni ha messo in luce un processo generale di aristocratizzazione della società: Parlamenti, Stati generali, Diete sono organi dove i membri dell’alta aristocrazia riuscirono a imporsi nel corso del 15 secolo sulle altre componenti, al piccola nobiltà, le borghesie urbane, il basso clero. Naturalmente questi ordini venivano ancora convocati e spesso ascoltati, ma le leve dell’iniziativa politica sembrano essere sempre più riservate agli esponenti di una nobiltà signorile in grado sia di controllare i propri territori a livello regionale sia di dialogare con le corti regie della capitale. Alla base del successo delle istituzioni rappresentative che negoziano con i re, ne giudicano le prerogative, limitandone spesso le richieste, non vi erano dunque i “territori”, come un astratto insieme di residenti in un luogo, ma gli esponenti di un’élite sociale ed economica che ne rappresentavano gli interessi in maniera più efficace.
Questa aristocrazie, ormai chiuse in uno stato nobile rigidamente definito, si erano rafforzate ovunque. Nelle campagne avevano radicato il loro potere attraverso un maggiore controllo sulle terre, adesso date in concessione con contratti a breve termine che imponevano prestazioni più pesanti e una dipendenza molto più stretta dal padrone. Una massa ingente di contadini fu di fatto privata della terra, espulsa dalle campagne o costretta a lavorare come bracciante. Un processo simile si ebbe con i lavoranti delle migliaia di botteghe artigiane sparse nelle città europee. Il divario tra élite dei maestri legati al commercio e il resto dei lavoranti si fece incolmabile. Una degradazione costante delle condizioni di lavoro fra Tre e Quattrocento portò molti “garzoni” di bottega a perdere la speranza di un lavoro in proprio, assimilandoli sempre di più ai lavoranti di basso livello, privi di mezzi di produzione e di altre risorse e costretti a vendere il loro lavoro a giornata o a settimana. In sostanza il mondo bassomedievale dovette fare i conti con una massa crescente di persone “non proprietarie”, senza terra e senza mezzi di sussistenza: una massa da far lavorare a salario, che aveva solo il lavoro come risorsa economica. Le classi dirigenti si preoccuparono di fornire un quadro teorico a questa nuova forma di dominazione: sia la cultura ecclesiastica sia quella laica giustificarono l’esclusione politica dei dipendenti salariati in base a un’antica diffidenza per il lavoro manuale dipendente, una condizione che sminuiva la qualità umana della persona.
Si poneva ugualmente il problema del sostentamento di masse urbane che vivevano in uno stato di incertezza continua. Proprio il rischio di cadere in povertà, più che la povertà in sé, spinse le autorità laiche ed ecclesiastiche a costruire strutture permanenti di accoglienza e di aiuto. La redistribuzione degli ingenti flussi di elemosine raccolti dalle istituzioni caritative fu affidata a un’élite mista che si incaricava di raccogliere le offerte, organizzare gli aiuti e soprattutto decidere a quali persone e per quali motivi potevano essere concessi. La carità istituzionalizzata non si limitava dunque a far fronte a momenti di bisogno delle fasce basse della popolazione urbana, ma serviva anche a ridisegnare gerarchie sociali, a graduare il valore delle persone e delle loro attività, a riaffermare un quadro di valori dominanti che dovevano regolare la vita collettiva delle società.

Bibliografia

Economie urbane ed etica economica nell’Italia medievale / R. Greci...et al. – Laterza, 2005
Contadini e proprietari nell’Italia moderna / G. Giorgetti. – Einaudi, 1974
La peste nera / J. Kelly. – Piemme, 2005
La mobilità sociale nel Medioevo / a cura di S. Carocci. – Collection de l’Ecole française de Rome, 2010
Salariati e artigiani nella Parigi medievale / B. Geremek. – Sansoni, 1975
Oltre il tumulto: i lavoratori fiorentini dell’arte della lana fra Tre e Quattrocento / G. Franceschi. – Olschki, 1993
Tra preghiera e rivolta: le folle toscane nel 14 secolo / Ch. M. de la Ronciere. – Jouvence, 1993
I poveri nel Medioevo / M. Mollat. – Laterza, 1993
Visibilmente crudeli / G. Todeschini. – Il mulino, 2009
Come Giuda: la gente comune e i giochi dell’economia all’inizio dell’epoca moderna / G. Todeschini. – Il mulino, 2011

Congedo

Fissare una data finale del Medioevo non è possibile e forse neanche utile. Possiamo dire che alla fine del Quattrocento si moltiplicano i segni di una trasformazione profonda dei quadri territoriali e mentali delle società europee. Le coordinate geografiche si stavano modificando radicalmente con la formazione dell’imponente compagine statale dell’Impero ottomano nel Mediterraneo, l’aprirsi degli spazi europei a est verso i principati della Russia, le nuove rotte intorno all’Africa, l’intensificarsi dei contatti con l’Estremo Oriente, India e Cina. Anche sul piano interno, il mondo culturale e politico europeo fu attraversato da fratture violente dei quadri precedenti: dalle divisioni religiose nate nel paesi nordici dopo lo scisma di Lutero alla rottura con gli schemi culturali passati rivendicata dagli umanisti italiani con il recupero della classicità latina. Si tratta certo di fenomeni complessi che si nutrono tuttavia di materiali già ampiamente presenti nelle società europee del tardo Medioevo.
Su un terreno invece la novità era veramente sorprendente: la scoperta del Nuovo Mondo. Una scoperta che fu compresa, nella sua reale portata storica, solo grazie ad Amerigo Vespucci agli inizi del Cinquecento. Vespucci era uno scienziato, un tecnico della navigazione e della geografia, un vero esploratore che si rese conto, dopo un attento studio delle coordinate dei suoi viaggi, di essere approdato in un continente nuovo, al contrario di Colombo che credeva ancora, dopo quattro viaggi, di essere arrivato in qualche parte dell’India. Vespucci comprese anche che il mondo che aveva scoperto era abitato da un’umanità lontana e totalmente altra da quella europea. Il ritratto che ne fece nella lettera sul Mondo Nuovo disegna una società ancora immersa in un ambiguo “stato di natura”, dove gli uomini potevano vivere senza regole, senza leggi e religione, senza ricerca di lucro, sena desiderio di possesso.
………….
In più non hanno regole sociali, si nutrono quando vogliono, si uniscono liberamente senza regole matrimoniali.
…………….
Infine non usano denaro e non conoscono proprietà
……………
Davanti a questo mondo incognito, Vespucci oscilla fra lo stupore per il primitivo (genuino e in molti aspetti positivo) e una più conformista presa di distanza dal “selvaggio”, ma in ogni caso non può fare a meno di notare l’alterità assoluta dei popoli che ha incontrato. Non era certo la prima volta che nei viaggi remoti si scoprivano popoli strani e lontano. Ma era forse la prima volta che si poneva la possibilità di plasmare i nuovi territori e i loro abitanti secondo un modello importato da fuori. L’Europa (in questo caso Spagna e Portogallo) si assunse così il diritto-dovere di costruire una società a sua immagine e somiglianza in una terra nuova abitata da non-uomini non soggetti ad alcuna legge.
Prendiamo questo momento come soglia simbolica di fuoriuscita dal Medioevo: l’Europa che inventa un mondo nuovo. Quali modelli scelse per costruire questo suo alter ego nel continente appena scoperto? Quale immagine esportò di sé stessa per forgiare una società dal nulla?
La prima forma scelta per inquadrare i nuovi territori fu il vassallaggio. I re si dichiararono i signori di tutte le terre conquistate, i proprietari naturali dei diritti sui beni di quei paesi remoti. Esercitavano, dunque, un potere politico basato sul possesso dei beni, che riguardava tutti gli abitanti, anche i conquistatori europei.
Più difficile era la condizione degli indios locali, che in un primo momento furono tenuti isolati e considerati come “privi di anima”. Ben presto però le condizioni si avvicinarono e spagnoli e indigeni furono soggetti alle medesime regole.
A tutti i residenti delle Americhe fu imposto di vivere all’interno di insediamenti accentrati, villaggi e città. La convivenza in comunità doveva favorire una vita ordinata, guidata dalla religione, sottoposta alle leggi e disciplinata dai giudici. La città, come recitano i progetti di popolamento per le Americhe del sud, assicura infatti “una buona amministrazione dei sacramenti e della giustizia e che tutti gli spagnoli vivano in forma di repubblica”. Al di fuori di questi quadri, invece, “ciascuno vive a suo modo sotto il comando delle sue pulsioni” e “senza altra regola che il capriccio e il desiderio”. La paura di “isole sociali” autonome, formate da coloni e nativi, lontane da tutti e allo stato brado animava queste disposizioni dove diritto e morale erano ormai inscindibili, dove giudici e sacerdoti erano entrambi utili alla “repubblica”.
E’ un linguaggio per certi versi modernissimo, che esprime la pretesa d creare una nuova società come un controcanto “civile" alla lettera di Vespucci sulla Natura da disciplinare. Eppure i termini e gli strumenti concettuali di questa opera di creazione avevano una lunga storia che abbiamo più volte ripercorso in questo volume: il vassallaggio come forma di dominio sugli uomini, l’identità di vita religiosa e vita civile, la città come mezzo di incivilimento e di inserimento dei sudditi nello Stato, il possesso come base del potere, la famiglia come schema naturale di riproduzione della società. Un lungo Medioevo che continua e si intreccia in modo inestricabile con la formazione di un mondo che si voleva nuovo.

Cronologia

313         Editto di Milano
324         Fondazione di Costantinopoli
325         Concilio di Nicea
375         Adrianopoli: i Visigoti sconfiggono l’imperatore Valente
380         Editto di Tessalonica
406-407 Crollo del limes romano
410         I visigoti saccheggiano Roma
429         Stanziamento dei Vandali in Africa occidentale
476         Deposizione dell’ultimo imperatore romano d’Occidente
489         Gli Ostrogoti conquistano l’Italia
507         Vouillé: il re franco Clodoveo sconfigge il visigoto Alarico 2
510         Redazione del Pactus legis Salicae nel regno franco
535-553 Guerra greco-gotica
568         Conquista longobarda dell’Italia
622         Egira, fuga di Muhammad a Medina
643         Redazione dell’editto del re longobardo Rotari
661         Uccisione di Alì, quarto califfo: ascesa al potere dei califfi omayydi
717-718 Conquista araba della penisola iberica
751         Ascesa al trono di Pipino 2, primo re carolingio
774         Carlo Magno, re dei Franchi, conquista l’Italia
800         Incoronazione imperiale di Carlo Magno
814         Morte di Carlo Magno
840         Morte dell’imperatore Ludovico il Pio
843         Pace di Verdun tra Lotario, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico
888         Morte dell’imperatore Carlo il Grosso
909-910 Fondazione dell’Abbazia di Cluny
955         Lechfeld: Ottone 1 sconfigge gli ungari
962         Ottone 1 è incoronato imperatore
987         Morte di Ludovico 5, re di Francia, ascesa al trono di Ugo Capeto
1002      Morte di Ottone 3 imperatore, ascesa al trono di Enrico 2
1030      Primo insediamento di un contingente normanno nell’Italia del sud ad Aversa
1046      Deposizione dei tre papi romani a Sutri da parte dell’imperatore Enrico 3, elezione del papa tedesco Clemente 2
1054      Scisma tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Bisanzio ortodossa
1059      Decreto di Nicola 2 sull’elezione del papa
1059      Giuramento di fedeltà del duca normanno Roberto il Guiscardo al papa Niccolò 2
1066      Battaglia di Hastings e inizio del regno di Guglielmo il conquistatore in Inghilterra
1072      Conquista di Palermo da parte dei Normanni (Ruggero il gran conte)
1074      Elezione di Ildebrando di Soana al pontificato, sotto il nome di Gregorio 7
1075      Concilio di Roma, primo divieto delle investiture degli ecclesiastici da parte dei laici
1076      Concilio di Worms e deposizione di Papa Gregorio 7 da parte dei vescovi fedeli all’Impero
1084      Insediamento di Bruno di Colonia a Chartreuse (certosini)
1086      Redazione del Domesday book sotto Guglielmo 1 re d’Inghilterra
1095      Conferimento a Ruggero d’Altavilla della carica di legato apostolico in Sicilia
1098      Prima comunità fondata da Roberto di Molesme a Citeaux (Cistercensi)
1099      Conquista di Gerusalemme da parte dei cavalieri occidentali, Baldovino di Boulogne incoronato re
1108      Inizio del regno di Luigi 6 in Francia, recupero delle contee ribelli nel dominio
1119      Carta di Carità dei cistercensi approvata dal papa Callisto 2
1122      Concordato di Worms sulle investiture fra papa Callisto 2 ed Enrico 5
1127      Redazione delle Consuetudini dei Certosini
1137      Inizio del regno di luigi 7
1138      Conferma del titolo di re a Ruggero 2 da parte del papa Innocenzo 2
1140      Assise di Ariani del re normanno
1142      Redazione del Catalogo dei baroni del regno normanno
1146      Predicazione di San Bernardo per una nuova crociata in terra santa
1152      Inizio del regno di Federico 1 di Hohenstaufen
1154      Pace dell’Impero proclamata da Federico 1 di Svevia
1154      Enrico 2 dei Plantageneti re d’Inghilterra, duca di Normandia e d’Aquitania
1155      Proclamazione della pace del re di Francia da parte di Luigi 7
1158      Dieta di Roncaglia di Federico 1, definizione dei poteri dell'imperatore e richiesta ai comuni italiani di restituire le regalie (diritti regi)
1162      Assedio di Milano da parte di Federico 1
1167      Primi giuramenti della Lega lombarda stretta fra i comuni lombardi e veneti
1180      Inizio del regno di Filippo Augusto in Francia
1183      Pace di Costanza fra i comuni della Lega e Federico 1
1186      Matrimonio dell'erede all'impero Enrico 6 con Costanza d'Altavilla
1187      Terza spedizione in terra santa
1190      Morte di Federico 1 Barbarossa in Siria
1194      Riccardo cuor di leone re d'Inghilterra
1197      Morte di Enrico 6, il figlio di Federico Ruggero, poi Federico 2, diventa erede
1199      Successione al trono di Giovanni senza terra figlio di Enrico 2
1204      Perdita dei domini plantageneti in Francia: Filippo Augusto re di Francia conquista la Normandia
1209-1210           Viaggio a Roma di Francesco d'Assisi per farsi riconoscere oralmente dal papa la sua forma di vita
1215      Primo riconoscimento dei predicatori di Domenico di Caleruega da parte del vescovo di Tolosa
1216      Onorio 3 riconosce l'ordine dei predicatori; Domenico redige le consuetudini
1212      Battaglia di Las Navas di Tolosa e vittoria del re di Castiglia sull'esercito musulmano
1212      Federico 2 di Svevia eletto re di Germania
1214      Battaglia di Bouvines, vittoria di Filippo Augusto di Francia
1215      Concessione ella Magna Charta ai baroni inglesi
1215      Concilio del Laterano 4 sotto Innocenzo 3
1220      Federico di Svevia unto imperatore da Onorio 3
1220      Costituzioni di Federico contro gli eretici: privilegio ai principi ecclesiastici in Germania
1231      Redazione del Liber Augustalis da parte di Federico 2
1226      Morte di Francesco d’Assisi
1227      Prima scomunica di Federico 2 da parte di Gregorio 9
1231      Federico 2 emana le costituzioni di Melfi o Liber Augustalis
1250      Morte di Federico 2
1273      Elezione di Rodolfo d’Asburgo re dei Romani (imperatore)
1282      Vespri siciliani, rivolta contro il dominio angioino in Sicilia e divisione del regno meridionale:  la Sicilia sotto Pietro 3 d’Aragona; Napoli sotto gli Angioini
1296      Primo scontro fra Filippo il Bello di Francia e papa Bonifacio 8 sul contributo fiscale del clero francese
1302      Bolla di Bonifacio 8 Unam sanctam in cui si enunciano i principi della teocrazia papale
1303      Arresto e morte di Bonifacio 8
1307      Prima inchiesta lanciata da Filippo il Bello contro i templari e arresto dei membri dell’ordine di Francia
1309      Trasferimento della sede papale da Roma ad Avignone
1310      Ascesa di Enrico 7 re di Germania in Italia
1313      Morte precoce di Enrico 7 imperatore
1315      Luigi 10 di Francia accorda le carte di libertà alle regioni ribelli, Borgogna, Piccardia e Betagna
1316      Elezione di papa Giovanni 22 ad Avignone e inizio dei processi di stregoneria
1328      Fine dei Capetingi ed elezione di Filippo di Valois in Francia
1337      Edoardo 3 d’Inghilterra rivendica il trono di Francia, inizio della guerra dei cento anni
1340      Edoardo 3 entra a Gand e prende il titolo di re di Francia
1356      Sconfitta dell’esercito francese a Poitiers, il re Giovanni il Buono è fatto prigioniero
1356      Bolla d’Oro, nuova costituzione dell’Impero, e privilegi riconosciuti ai 7 principi elettori
1378      Inizio grande scisma, due papi e due sistemi di fedeltà nei regni europei
1431      Carlo 7 incoronato re di Francia dopo la guerra con i Borgognoni
1431      Concilio di Basilea, si afferma la superiorità del Concilio sul papa
1438      Alberto d’Asburgo eletto re di Germania, inizio del dominio della dinastia d’Asburgo
1440      Federico 3 d’Asburgo succede ad Alberto come re di Germania
1442      Alfonso d’Aragona conquista il regno di Napoli
1453      Fine della guerra dei cento anni
1453      Caduta di Costantinopoli, fine dell’Impero romano d’oriente
1454      Pace di Lodi fra i Visconti e Venezia: inizio della politica dell’equilibrio in Italia
1455      Inizio della guerra delle due rose in Inghilterra
1469      Matrimonio di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, unione personale delle due corone
1492      Caduta dell’ultima enclave musulmana in Spagna, il regno di Granada
1492      Scoperta delle isole caraibiche da parte di Cristoforo Colombo convinto di aver raggiunto le Indie da Occidente
1494      Inizio delle guerre d’Italia
1495      L’imperatore Massimiliano 1 tenta una riforma dell’Impero durante la dieta di Worms
1507      Amerigo Vespucci per primo ha realizzato di aver scoperto un mondo nuovo: il nuovo continente viene chiamato America